"L’ultimo lenzuolo bianco", Fahrad Bitani
La reazione di Fahrad ci dice tanto dell’Afghanistan in cui ci porta con il suo libro che non ha pregi letterari, ma ha il valore di una testimonianza.
Quando Fahrad, in Italia dove il padre ha un incarico diplomatico, vede sventolare le bandiere bianche fuori dalle ambasciate, sussulta di paura- i talebani sono arrivati anche in Italia? Perché quello è il loro vessillo. Il padre lo tranquillizza - in questo mondo, lontano dall’Afghanistan divorato dalle guerre, il bianco è un colore di pace.
La reazione di Fahrad ci dice tanto dell’Afghanistan in cui ci porta con il suo libro che non ha pregi letterari, ma ha il valore di una testimonianza.
“Non sono uno scrittore”, esordisce Fahrad Bitani, “io sono un militare e mio padre è un generale afghano. Ho studiato Scienze Strategiche all’Accademia militare di Modena. E nel mio paese ho fatto la guerra, come fanno tutti i soldati.”
In queste poche righe c’è il riassunto essenziale de “L’ultimo lenzuolo bianco”, ma Fahrad ha 33 anni quando scrive e c’è altro che gli preme raccontare- perché si sappia.
Alcune date sono punti di svolta nella sua narrazione, affastellata di immagini spesso scioccanti. Nato nel 1986, Fahrad deve credere a quello che gli dicono i suoi genitori, che c’è stato veramente un “prima” con re Zahir Shah che aveva instaurato una monarchia costituzionale, quando le donne non portavano il burqa, a Kabul c’era un’università di prestigio e pure un collegio femminile: era un Islam dai costumi liberi.
Poi il colpo di Stato nel 1973 e l’inizio delle lotte interne fra le varie etnie. Il padre di Fahrad è generale dell’esercito dell’ultimo presidente della Repubblica Democratica afghana, Najibullah Ahmadzai. Si respira ancora: il presidente assicura la pluralità dei partiti, la libertà di espressione, un sistema giudiziario indipendente.
1992. addio alla Repubblica Democratica, Rabbani diventa presidente del Nuovo Stato Islamico. Il padre di Fahrad è arrestato dai mujaheddin. Esce di prigione perché rinnega il passato e diventa combattente. Quattro anni da incubo. Quando arrivano i talebani, nel 1996, sembrano una liberazione e invece non è cambiato niente. Il padre di Fahrad finisce di nuovo in carcere, da dove riuscirà a fuggire.
Il racconto di questi anni- fino al ritorno dei mujaheddin, sostenuti dagli americani, nel 2003, e l’approdo in Italia nel 2004 - è fitto di avvenimenti e di descrizioni di una situazione spaventosa. È la brutalità che permea l’aria che fa spavento. La brutalità che diventa spettacolo. L’orrore delle mani mozzate per furto, delle donne che si accasciano sotto il lancio delle pietre perché condannate come adultere, la violenza che diventa un divertimento esemplare, qualcosa a cui si desidera prendere parte attivamente in prima persona.
Il potere del mullah Omar- il comandante supremo dei talebani- si basa sull’ignoranza della popolazione: quando manca l’educazione scolastica, quando l’unico libro consentito è il Corano, un popolo è facile preda delle dittature. Quando le donne non valgono nulla, quando lo stupro è uno spettacolo a cui si assiste con indifferenza, i figli possono essere facilmente manipolati.
I bambini afghani non hanno un’infanzia normale. Tutti i bambini, ovunque, hanno giocato alla guerra, ma c’è più realismo nel gioco dei bambini afghani, in quell’ambizione di uccidere un infedele. E Fahrad Bitani ci parla con orrore e disgusto del “bachabazi” che significa “divertimento sul bambino”, l’abitudine diffusa, di un uomo adulto, di avere un ragazzino per divertimento. È un segno di potere, un vanto raccontarlo.
Neppure il popolare gioco di far volare gli aquiloni, reso famoso dal bestseller “Il cacciatore di aquiloni”, riesce ad ingannarci. Anzi, il gioco, che si chiude in maniera drammatica, ci toglie ogni speranza. L’innocenza infantile è morta in Afghanistan.
Questo romanzo-testimonianza è anche, però, un romanzo di formazione, il percorso individuale di un giovane che non resta insensibile davanti alle esperienze di un mondo diverso dal suo. Il ragazzo viziato che arriva in Italia pensando che i soldi e il potere lo mettano al di sopra della legge, cambia, lentamente. Resta un musulmano, ma riesce a vedere “oltre la nebbia del fondamentalismo”, e dice basta all’indottrinamento- vuole cercare la verità. Questo è il nuovo Fahrad Bitani (contro cui è stata emessa una fatwa).
“L’ultimo lenzuolo bianco” è un libro duro da leggere, ma è una voce “dall’interno” dell’Afghanistan che dobbiamo ascoltare.
Ed. Neri Pozza, pagg. 206, Euro 17,00
Recensione a cura di Marilia Piccone
Novembre 2020