“Quando le montagne cantano”, Nguyễn Phan Quế Mai
Marilia Piccone ci anticipa - in questa sua recensione - che è un libro doloroso, ma bellissimo: "il fior di loto è il fiore che meglio rappresenta tutte le donne straordinarie di questo romanzo, così come è l’emblema di un paese che è stato capace di risorgere dopo una guerra durata più di vent’anni".
Il padre aveva intagliato nel legno per lei un uccellino e lo aveva affidato allo zio Ðat perché glielo portasse, se fosse riuscito a tornare a casa prima di lui. Ma l’allodola di legno, il Son ca che diventa un talismano per Huong, non esprime soltanto l’amore di un padre per la figlia da cui la guerra lo ha separato. Perché Son ca significa le montagne cantano e, dice lo zio, “ogni volta che questi uccelli cantavano, anche le montagne intorno a noi sembravano cantare”. E poi i Son ca, con il loro canto che arriva fino al cielo, imprestano le ali agli spiriti dei defunti per ritornare sulla terra.
È un’immagine bellissima che viene tuttavia cancellata da quanto dice dopo lo zio - i Son ca sono scomparsi, hanno smesso di cantare quando le sostanze chimiche spruzzate dagli elicotteri americani hanno spogliato gli alberi delle foglie.
“Le sfide affrontate dal popolo vietnamita nel corso della Storia sono come montagne altissime. Se sei troppo vicino, non puoi scorgerne le vette.”
È il 2012 quando Huong incomincia a raccontare la storia della sua famiglia che è anche la Storia del Vietnam attraverso quattro generazioni. Incomincia dagli anni 1972 e 1973, quando la bambina Huong era fuggita da Hanoi insieme alla nonna. Al loro ritorno, dopo dodici giorni e dodici notti di bombardamenti, la città era distrutta e la loro casa era in macerie.
È questa casa in macerie che fa rivivere nella nonna il ricordo della casa bellissima in cui era cresciuta, che aveva i draghi sugli angoli curvi del tetto ed era circondata da un giardino con gli alberi da frutta? Aveva dovuto lasciarla quella casa…
Al racconto in prima persona di Huong si sostituisce quello della nonna, che va più indietro nel tempo, all’occupazione francese e poi all’invasione giapponese, alla carestia del 1945 che causò due milioni di morti. Tra questi c’era anche la bisnonna di Huong.
Non è un racconto astratto da manuale, quello che leggiamo in “Quando le montagne cantano” di Nguyễn Phan Quế Mai. È la Storia vissuta da uomini e donne e bambini, riflessa negli occhi inorriditi della nonna che vede il padre decapitato dai giapponesi, nella magrezza spaventosa dei bambini che hanno fame - l’uomo soprannominato Spirito Malvagio aveva ucciso la bisnonna di Huong, sorpresa in un campo in cerca di cibo -, nell’angoscia della fuga precipitosa dopo che rozzi contadini, aizzati dalla Riforma Agraria del 1955, avevano ucciso il fratello della nonna.
Una Storia alta come una montagna deve avere più di un narratore. Deve essere un romanzo corale. Alla voce della giovane Huong e a quella della nonna si aggiungono, come in una polifonia corale, quelle dello zio Ðat, della madre di Huong, dello zio Minh. Ognuno ha la sua storia, ognuno ha la sua tragedia, perché “la guerra è morte, dolore, disperazione”. Uno ha perso le gambe, una ha perso l’anima, un altro è stato obbligato a combattere in una guerra fratricida e ad uno, infine, è toccata la maledizione dell’Agente Arancio (quale ironia, un così bel nome per quei letali prodotti chimici).
La guerra non era mai finita per nessuno di loro, non per i vivi e non per i morti. E tuttavia c’è una resilienza che non cessa di stupirci, nei personaggi del romanzo di Nguyễn Phan Quế Mai, come in tutto il popolo vietnamita. C’è un messaggio di non violenza in cui l’odio per il nemico e per lo straniero è sostituito dall’odio per la guerra e la convinzione che i figli non debbano pagare per gli errori dei loro padri.
“Quando cantano le montagne” è un doloroso romanzo bellissimo che ha molti piani, come la pagoda Tran Quoc ad Hanoi. Su un primo piano di Storia del Vietnam poggia un secondo piano di storia di una famiglia con le molteplici vicende delle varie generazioni di Tran, un piano dopo l’altro e, su questi, un ultimo piano vicino al cielo in cui si rincorrono immagini splendide che diventano metafore - la ‘casa’ (quasi un personaggio a sé), abbandonata e poi ritrovata, ma priva di ogni sua bellezza, quella che avevano dovuto lasciare e che era stata requisita durante la Riforma Agraria, distrutta e poi ricostruita quella di Hanoi; l’allodola di legno che non mantiene la promessa di un ritorno; un rubino (rosso come il sangue versato), smarrito, forse rubato e poi restituito; il fior di loto, infine, regalo del giovane innamorato di Huong, con il suo potentissimo simbolo di tenace rinascita in acque limacciose.
Il fior di loto, hoa sen, è il fiore che meglio rappresenta tutte le donne straordinarie di questo romanzo, così come è l’emblema di un paese che è stato capace di risorgere dopo una guerra durata più di vent’anni. E’ il fiore dell’amore e della riconciliazione che chiude una Storia di guerre e tante storie di perdite, di sofferenze, ma anche di coraggio.
Un romanzo imperdibile.
Ed. Nord, trad. F. Toticchi, pagg. 384, Euro 18,00
Recensione a cura di Marilia Piccone
Febbraio 2021