GIUSEPPINA TORREGROSSA
Quattro chiacchiere tra letteratura, Sicilia e… ginecologia, con l’autrice de ‘Il conto delle minne’
Palermitana, madre di tre figli, ginecologa con un’esperienza ventennale ed un’intensa attività professionale spesa a favore della prevenzione e della cura dei tumori al seno, Giuseppina Torregrossa è da tre anni anche scrittrice (“L’assaggiatrice” nel 2007, edizioni Rubbettino, e “Il conto delle minne” nel 2009 per Mondadori) e autrice di un monologo teatrale, “Adele”, aggiudicatosi il premio opera prima “Donne e teatro” di Roma nel 2008. Stradanove.net l'ha incontrata per una chiacchierata a tu per tu a ritroso fra le storie letterarie degli attuali personaggi dei suoi libri e i racconti di vita reale delle pazienti nel suo passato di medico.
Nei ringraziamenti in chiusura del suo primo romanzo, “L’Assaggiatrice”, rivela di aver iniziato a scrivere per gioco, nel corso di un’estate, incentivata da un’amica. Ci racconta meglio com’è andata?
E' accaduto tutto in maniera molto naturale: mi trovavo in Sicilia, nella casa al mare in cui andavo da ragazza in compagnia di mio padre e della mia famiglia e nella quale tutt'ora continuo a recarmi, nonostante il passare degli anni e il mio non essere più la ragazza di allora. Era per me un momento difficile, reduce com'ero da problemi di salute che mi hanno incupita per lungo tempo. Si trattava, tuttavia, di una tristezza sana, non una forma di depressione nel senso consueto con cui l'etichetta scientifica amerebbe definirla, medicalizzando i sentimenti per rendere il tutto più rassicurante. In quel periodo mi sono data molto da fare in cucina e ho preparato innumerevoli piatti al fianco di un'amica davvero molto abile ai fornelli: trascrivendo le tante ricette sperimentate, ho iniziato per puro divertimento ad inventarmi una storia per ciascuna di esse, finendo poi per accorpare questi brevi racconti in un'unica narrazione avente la figura di Anciluzza come protagonista assoluta. Il suo è un personaggio d'invenzione letteraria ma è inutile dire che in lei rivive un pezzetto di me e che in ogni suo gesto c'è qualcosa delle mie amiche, oltre che di moltissime donne accostabili alla sua immagine. Anciluzza ha così cominciato ad abitarmi, a farmi compagnia, ed io ho voluto raccontare la sua storia, incoraggiata calorosamente da quelle stesse amiche che, apprezzando la mia scrittura, mi sollecitavano entusiaste a fare girare il manoscritto attraverso le varie case editrici. Così è nata l' “Assaggiatrice”.
Le sue origini siciliane rappresentano l’ossatura dell’ impianto narrativo dei suoi romanzi: la Sicilia non è solo terra di ambientazione delle vicende descritte ma anche motivo di caratterizzazione dei suoi personaggi, che spaziano dal più prevedibile e clicheizzato maschio siculo possessivo alla meno ipotizzabile massaia “incazzata e depressa all’idea della sua vita da casalinga” e bramosa di riscatto. Quale fra questi prototipi crede possa essere il più rappresentativo della società siciliana contemporanea?
Della regione Sicilia si parla sempre al singolare ma io credo che sarebbe più corretto esprimersi in termini pluralistici, circa “Le Sicilie”: si tratta infatti di un luogo estremamente composito, un melting pot territoriale dentro cui si amalgamano realtà ben distinte e identità diametralmente opposte, dal siciliano ultramoderno che ragiona come un finlandese progressista all'integralista siculo che sembra giungere direttamente dal regno borbonico. E' piuttosto improbabile, pertanto, tentare di individuare un'icona che ben rappresenti questa terra: forse la Sicilia stessa è inquadrata proprio dall'insieme delle sue peculiari e molteplici contraddizioni.
Le figure femminili raccontate nei suoi testi sono personaggi pregni tanto di disperazione quanto di temperamento: crede che questo dualismo possa accomunare, in misure e per ragioni diverse, ogni donna?
Penso di sì. Le donne sono solitamente piene di slancio e di personalità, ed è forse questa loro peculiare attitudine caratteriale a renderle altrettanto disinvolte nel giungere, con uguale immediatezza, a picchi di fragilità assoluta. Il mio profondo interesse nei confronti dell'universo femminile si alimenta proprio di questo, ossia della capacità delle donne di esprimersi e vivere tali contraddizioni in maniera iperbolica e violenta. Essendo poi le mie conterranee siciliane, c'è la tendenza a pensare che io le identifichi con i personaggi dei miei libri: in verità le donne di cui scrivo si muovono sì su uno scenario siculo, ma lo fanno ispirandosi a prototipi femminili di ogni parte. In ciò, sulla mia scrittura e nei contenuti narrativi da essa rappresentati, credo abbia influito moltissimo il mio aver esercitato a Roma buona parte della professione medica.
Quali sono, se ve ne sono, i punti di contatto e di contrasto fra Agatina e Anciluzza, le protagoniste dei suoi due romanzi?
Credo che se Agatina avesse avuto il tempo di sposarsi sarebbe stata Anciluzza (Angela), prima di diventare Agata. Mi piace pensare che Anciluzza abbia in sé qualcosa di Agatina e che ne “L'Assaggiatrice” ci siano già tutte “le Minne” in nuce: tuttavia, mentre quest'ultimo è un romanzo assolutamente variegato, denso di personaggi dotati di un'esistenza autonoma rispetto a quella della protagonista che pure li racconta presentandoli al lettore, nel primo libro c'è un soggetto femminile unico ed assoluto dinnanzi al quale gli altri elementi del racconto si muovono come fossero comparse chiamate ad infittirne la trama esistenziale. Non posso quindi completamente sostenere che Agatina sia Anciluzza da bambina, ma immagino che se l'Agata cresciuta de “Il conto delle minne” fosse arrivata anch'essa all'altare sarebbe diventata, con tutta probabilità, Angela ne “L'Assaggiatrice”. Il loro percorso è a tratti simile ma, al contempo, inverso: Angela passa infatti attraverso due gravidanze ed un matrimonio distruttivo che le lascia alcuni punti di forza su cui ricostruire la propria autonomia di donna fieramente libera. Agata, al contrario, affronta prima la passione annientatrice e, solo in un secondo momento, la maternità. Sono entrambe donne fragili che si misurano con una forma diversa di dipendenza: la prima, quella di Agata, è una subordinazione per lo più psicologica, la seconda invece, nel caso di Anciluzza, è piuttosto un desiderio di emancipazione economica e, insieme, sentimentale.
Sia ne “L’Assaggiatice” che ne “Il conto delle minne” l’arte culinaria è fondante, rappresentando un terapeutico e introspettivo momento di rilassatezza ma favorendo anche gli scambi fra età e identità femminili diverse, nell’unire – citando – “occhi giovani” e “mani anziane”. Crede esistano altri laboratori altrettanto attivi nel rendere le donne complici e coese?
Si, certamente. In passato l'idea della cucina si identificava col concetto di luogo destinato allo scambio dei saperi femminili, saperi che le donne, con un ruolo cosi' preciso e rigidamente ritagliato fra gli attori del tessuto sociale, erano solite tramandarsi. Questo passaggio del testimone avveniva con estrema naturalezza ed era quasi una tappa d'obbligo. La pratica del ricamo, l'attività del bricolage, l'arte di cucire, la preparazione dei cibi, l'accudimento: ciascuna mansione era decorosamente e immancabilmente trasmessa. Io sono stata di recente testimone di alcuni progetti di passaggio di sapere fra donne: donne giornaliste, donne scrittrici, donne pittrici e donne che, in un qualche modo, potevano redistribuire la loro conoscenza in un certo campo, fornendosi scambievolmente gli strumenti per affrontare la vita. Credo sia questo il modello al quale noi donne contemporanee dovremmo attingere: non so se sia effettivamente praticabile nel mondo di oggi ma sono convinta che chi ha un sapere dovrebbe redistribuirlo alle nuove generazioni. E' anche questo un modo per aiutarle. Le famiglie sono oramai atomizzate: non difendo affatto la dinastia patriarcale – si badi bene – ma certamente la passata rigidità di ruoli all'interno di nuclei familiari così permeati e ben codificati era motivo di maggiore chiarezza. Oggi questa divisione interna è saltata e, nell'attesa di una ridefinizione degli assetti parentali, l'obbligo sociale dei più grandi, sopratutto di chi magari è in pensione e non ha più ben chiaro di cosa occuparsi, dovrebbe essere quello di ripartire i propri saperi ad uso e consumo degli altri.
Nei suoi due romanzi il cibo è anche e sopratutto amore, erotismo. In cucina e nel sesso più tecnica o più intuizione? E’ la misura o l’istinto che conta?
A naso, direi l'istinto. Parlando di cibo, tutte le migliori ricette non riportano mai i quantitativi esatti degli ingredienti: io che sono una dilettante in cucina appunto spesso le quantità al dettaglio, ma la verità è che la massaia sa bene da sola quanto occorre. E quelle che fanno la differenza ai fornelli sono per lo più quantità infinitesimali, vincolate per altro da elementi che sfuggono al nostro controllo, come le condizioni atmosferiche: impastare le “minne” a Modena è infatti diverso dal prepararle a Napoli o a Roma, a causa del variare del grado di umidità e, conseguentemente, della consistenza dell'impasto. In cucina, dunque, come nel sesso, a vincere è l'intuito. Certo, quando non c'è perspicacia, il metodo aiuta. Ma la tecnica e' un po' come i protocolli medici: vale per gli asini. Il professionista preparato è in grado di assumersi autonomamente la responsabilità delle proprie decisioni in relazione al paziente; se invece è un incompetente, la salvaguardia di quest'ultimo è garantita dalla canonica applicazione del protocollo.
Nelle pagine de “L’Assaggiatrice” e in quelle de “Il conto delle minne” il sesso sembra non essere ricollegabile a etichette o definizioni sull’orientamento: l’intesa fra due corpi prescinde la natura di quei corpi, maschili o femminili che siano. Quanto pensa possa essere pronta a questa tesi super partes l’Italia di oggi?
Secondo me l'Italia e gli italiani di oggi sono molto più aperti di quello che la televisione, la stampa e i politici vogliano comunemente farci credere. Il problema del sesso di genere, dell'appartenenza ad una categoria rigidamente definita, omo o etero che sia, è una finta complicazione: da che mondo è mondo, infatti, ciascuno di noi ha sempre seguito le proprie inclinazioni, innamorandosi per altro di un essere e non di un corpo. Il razzismo è giocato sulla costruzione di teorie politiche che cavalcano il mal di pancia di qualcuno. Persino la Sicilia, a dispetto di quanto si potrebbe comunemente pensare, è una terra molto libera: è infatti un luogo di frontiera che grazie alla sua collocazione in mezzo al Mediterraneo ha visto passare sul proprio suolo tutti, accogliendo tutti. C'è stato un momento in cui i nostri connazionali sono sembrati votati ad una società progressista come quella svedese, quasi come fossero in corsa per la libertà: non so cosa stia succedendo ora e quale sia il motivo reale dell'indietreggiamento contemporaneo, ma sono certa che la gente sia molto più pronta ad accogliere “l'altro” di quanto si possa immaginare. Certo, siamo pure un po' ignoranti, e la nostra parte più triviale risulta sempre la più semplice da tirare fuori.
Quello del seno è uno spunto letterario di assoluto rilievo in entrambi i testi, rappresentando per certe figure femminili la più potente arma di seduzione e, per certe altre, la via d’accesso a malattie tormentose e parzialmente invalidanti. Qualcuna di queste vite letterarie trae forse ispirazione dal confronto con le sue reali pazienti?
Assolutamente si.
Nella sua esperienza di ginecologa quali sono le principali problematiche emerse a livello emotivo dalle utenti visitate?
Quando esercitavo la mia professione di ginecologa accadeva molto spesso che le donne si rivolgessero a me per il puro desiderio di parlare, per la voglia e la necessità inespressa di rivelare i propri sentimenti a qualcuno, di trovare un contatto umano, un sostegno: soluzioni mediche e, al contempo, esistenziali. E’ come un bisogno di chiarezza. Il medico ginecologo non è solo un burocrate abilitato a prescrivere ricette e rilasciare certificazioni ma è una figura che entra per davvero nell'intimità fisica ed emotiva della donna: per questo motivo il suo ambulatorio è anche un luogo di racconto. E lo è tanto più oggi, in un tempo di così grande solitudine in cui ciascuno trova a fatica qualcun altro in grado di rappresentarlo. Il ginecologo segue le sue pazienti per molti anni, presenziando ai cambiamenti del loro corpo e dello stato di salute oltre che al subentrare di possibili gravidanze, menopause, tumori e di qualsiasi altra condizione possa incidere sul cambiamento che ciascuna donna ha dell’immagine di sé. La vita affettiva di una donna si congiunge infatti strettamente a quella del suo corpo, legata com’è ad alcune zone ben precise. Il cancro al seno è, per esempio, una ferita forte all'identità femminile: non un semplice danno narcisistico ma uno squarcio profondo ed estremamente difficile da “ricucire” al vissuto e alla personalità di ciascuna donna.
Consulenza on line in tema di sessualità e affettività negli adolescenti e nei giovani adulti: cosa ne pensa? E’ a conoscenza di servizi web simili a quelli offerti dalla rubrica “Sesso e volentieri” del nostro sito?
Pur non essendo in possesso di un'esperienza diretta in questo campo, penso che oggi la fetta di popolazione che accede alla Rete sia sempre più consistente in termini quantitativi, oltre che giovanissima d'età, pertanto suppongo che quello della consulenza on line sia un servizio molto utile: i ragazzi tendono infatti a parlare poco fra le mura di casa, preferendo trascorrere connessi un discreto numero di ore. La possibilità di un accesso ed una reperibilità immediati rispetto ad informazioni più vincolanti e macchinose da procacciare altrove è quindi una risorsa preziosissima. Ciò detto, continuo a sostenere con convinzione l'idea che la prima fonte di informazione dovrebbe essere quella fornita dalla scuola, dove l'educazione sessuale è sì sostenuta e ininterrottamente riproposta ma in maniera disgiunta rispetto all'orientamento sui sentimenti e la sfera affettiva. Quando si parla di sesso, infatti, il bivio cui ci si trova spesso innanzi è quello che conduce da un lato ad un atteggiamento estremamente permissivo e, dell'altro, ad un'inclinazione proibizionistica di impronta sessofobico-cattolica. La verità è che il sesso è spesso una diretta conseguenza di una relazione affettiva, dunque dovremmo entrare nell'ottica di approcciare in maniera simbiotica l'educazione sessuale e quella emotiva: è un po' quello che fa nonna Agata ne “Il conto delle minne” con la nipote Agatina, pur se con le competenze di una donna nata nel 1939 e operante all'interno di un contesto societario di un certo tipo. Quello che riguarda il corpo, in altre parole, non può non riguardare anche l'affetto. Certe volte mi viene persino da pensare che la colpa di tutto questo sia di Platone e di quel suo dualismo fra anima e corpo che abbiamo accettato così acriticamente e sul quale da tempo ci siamo spalmati imperturbabili, continuandovi a indugiare.