VINCENZO MALARA
Poco più di 30 anni, da sempre appassionato di storie e scritture, tre romanzi pubblicati e uno appena terminato. A tu per tu col giornalista/scrittore Vincenzo Malara
Cresciuto a pane e Stephen King, Vincenzo Malara, modenese, poco più di 30 anni, scrive per lavoro e per passione. Dopo aver pubblicato tre libri, ha da poco terminato l'ambizioso "Dio è nella pioggia".
Lo abbiamo incontrato e abbiamo parlato con lui di storie, letteratura e paure.
Presentati ai lettori di Stradanove.
Sono un giornalista della testata ModenaQui. Da sempre mi diletto nello scrivere storie thriller-horror. Per il mio ultimo romanzo ‘Persi nel vuoto’ del 2010 ho ideato un reading visivo-musicale con cui ho girato l’Italia. Due anni fa mi sono classificato secondo al premio nazionale ‘Gruppo Dello Zuccherificio’ per il giornalismo d’inchiesta a Ravenna con un servizio sulla subsidenza.
Nel 2010 ho curato i racconti per l’evento Ant Xmas tenutosi nel periodo natalizio a Modena, Reggio Emilia e Parma. Nel 2012 alcune mie storie hanno fatto da sfondo ad un’esposizione fotografica allo Spazio Gerra di Reggio Emilia. A inizio anno il mio racconto “Montesilenzio” è risultato tra i vincitori del premio Rotary e incluso nell'antologia 'Il Voltatore di pagine', edito da Moby Dick.
Quando hai capito che volevi scrivere, raccontare, creare storie?
Ho scritto la mia prima storia quando avevo sette anni. Si intitolava “La Foresta Nera” e parlava di cavalieri, nani e gnomi. Quasi sicuramente ero stato influenzato da qualche film fantasy. Amando molto il cinema, raccontare storie mi aiuta a creare quei mondi che mi emozionano sul grande schermo.
Il fantastico, il lato misterioso o spaventoso della realtà è da sempre la tematica che prediligi. Quali sono i tuoi scrittori di riferimento?
Da piccolo sono rimasto folgorato da Stephen King, nonostante sia uno scrittore sconsigliato ai bambini. In età più adulta mi sono appassionato alla desolazione narrata da Cormac McCarty e al fantasy in stile cinematografico di Neil Gaiman. Poi tra i miei preferiti non posso dimenticare Edgar Allan Poe e Dean Koontz. Oltre alle storie più oscure, però, apprezzo anche i romanzi di Scott Turow, Bernard Henri Levy (quello di ‘American Vertigo’) e, tra gli italiani, Niccolò Ammaniti.
Un libro “sconosciuto” assolutamente da recuperare?
Ultimamente ho riscoperto un romanzo per ragazzi che avevo in un cassetto da anni: “Nel paese dei mostri selvaggi” scritto da Maurice Sendak. E’ l’avventura eccezionale di un bambino di nome Max e, soprattutto negli Stati Uniti, è un cult anche tra gli adulti.
Il libro della tua vita, quello da isola deserta?
Amo le storie intrise di disperazione e malinconia, per questo il mio romanzo preferito è “La Strada” di Cormac McCarthy. Il racconto di un padre e un figlio che attraversano un mondo crudele devastato dall’Apocalisse.
Il libro più spaventoso?
Sicuramente la raccolta “Racconti del Terrore” di Edgar Allan Poe. Amo leggere una storia prima di addormentarmi e quelle brevi sono perfette perché non devi lasciarle in sospeso: tutto si conclude in poche pagine. In particolare le prime novelle di Poe sono un concentrato di inquietudine e brivido inimitabili.
Cosa ti fa paura (situazioni, personaggi, luoghi) in un horror?
Le ambientazioni sono sicuramente un passaggio fondamentale di ogni storia. Una casa infestata dagli spettri, piuttosto che una città dispersa nel deserto, sono in grado di evocare quell’irrealtà spaventosa che si nasconde dietro le apparenze. In particolare ad appassionarmi non è l’horror splatter, ma le tensioni che possono nascere tra i personaggi di una storia. Tensioni in situazioni eccezionali che svelano egoismi, prepotenze, rivalità, violenze represse.
Come nascono i tuoi lavori? Da un articolo di giornale, da una conversazione tra amici, dal finale di un film che poteva essere migliore, da un sogno/incubo che non vuole togliersi dalla memoria?
Non c’è un modo particolare in cui raccolgo gli spunti. Diciamo che le storie arrivano per caso. Se ho un’idea me l’appunto poi vedo se prende forma nei giorni a venire. Può essere una canzone, piuttosto che una persona singolare che vedo camminare per strada. Faccio un esempio: il racconto “Sam e la voce” contenuto in “Persi nel vuoto” parla di un uomo che inizia a sentire un bisbiglio dal buco del lavandino, che lo convince a fare qualcosa di tremendo. L’idea mi è venuta mentre mi facevo la barba e sentivo il gorgoglio dell’acqua.
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"Quando piove sento che Dio è nella pioggia. È una verità che sale dentro di me, una consapevolezza che è cresciuta piano piano come se il seme avesse soltanto bisogno di fede. La potenza dell’acqua che sbatte sulla strada, il suo rumore così impetuoso, ma allo stesso tempo consolante, mi dà la sensazione che sia Dio in persona a scendere sulla terra sotto forma di lacrime e fragore".
Da "Dio è nella pioggia"
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“Tom Ford” è stato il tuo (giovanissimo) esordio letterario. Di cosa parlava?
Diciamo che è stato proprio un esperimento. Buttato giù d’istinto, ispirato da una miriade di storie fantasy lette in passato. Avevo diciassette anni e ci ho messo dentro tutto quello che appassionava: mondi paralleli, strane creature e scenari irreali. Riassumendo parla di un ragazzo di nome Tom Ford che deve attraversare più dimensioni per aiutare una forza sconosciuta che si è messa in contatto con lui.
Con la Delos Books hai pubblicato “Loro”, un’originale storia mistico/fantascientifica.
“Loro” è stata la prima storia di cui sono realmente orgoglioso. Mi sono ispirato a quelle sette che allo scoccare dell’anno 2000 sostenevano che sarebbero arrivati gli alieni a salvare l’umanità. Ho immaginato di entrare nella testa di uno di questi guru e ho raccontato la sua fuga attraverso gli Stati Uniti alla ricerca di nuovi adepti da convertire. Le parole del protagonista del romanzo hanno un potere eccezionale e sono in grado di costringere le persone a fare cose terribili.
Hai da poco terminato un nuovo romanzo per cui sei attualmente alla ricerca di un editore.
Si intitola “Dio è nella pioggia” e si discosta, almeno in parte, dai temi che mi hanno caratterizzato sino ad oggi. E’ una storia drammatica e inquietante allo stesso tempo. Parla di un ragazzo di nome Vincent imprigionato da dieci anni in una cantina di New York. Quando è stato rapito ne aveva soltanto tredici e il tempo passato nell'oscurità lo ha ucciso lentamente, annullandone pensieri e passato. Il protagonista non sa perché è stato segregato nel buio. A vegliare su di lui sono un gruppo di uomini incappucciati, che ogni giorno lo sfamano e lo lavano. L'unico battito di vita per Vincent è la visione quotidiana di una bambina che nell'ultimo anno viene sempre a fargli visita, affacciandosi dalla piccola finestra della cantina all'altezza del marciapiede. Nessuno può accorgersi della sua presenza da quello spicchio di vetro, ma ugualmente la bambina ha la sensazione ci sia qualcosa nascosto in quel buco. Ad alleviare il terrore della prigionia c'è anche la pioggia, il cui fragore che echeggia sulla strada dà a Vincent la sensazione che un'entità potente venga a fare visita alla terra, probabilmente Dio. Poi improvvisamente accade qualcosa e che lo portano a fare strani sogni. Incubi che rievocheranno frammenti del suo passato, dando vita ad un viaggio nella mente che lo condurrà verso il perché del suo rapimento.
Hai mai pensato di ambientare a Modena uno dei tuoi romanzi o racconti?
Proprio recentemente ho ambientato un mio racconto intitolato “Montesilenzio” in un paese immaginario nascosto tra le colline reggiano-modenesi. E’ la prima volta che scelgo come ambientazione un luogo affine alla mia terra e penso che non sarà l’ultima.
Progetti/storie future?
Attualmente ho iniziato a scrivere un romanzo intitolato ‘Moise’. Parla di un uomo che si appunta in un taccuino tutte le frasi più originali che trova scritte sui muri dei bagni o dei motel. Un giorno come un altro si imbatte in alcune frasi apparentemente insignificanti che, però, hanno a che fare con un tragico episodio del suo passato. Inizia così un viaggio sospeso tra follia e irrealtà.