FRANCESCA TESTI
Ieri giornalista, oggi insegnante. Ma con la stessa voglia di raccontare, spiegare, condividere. Sul blog Scuola Liquida Francesca raccoglie appunti, note, riflessioni, regalando spunti originali e stimolanti su tutto ciò che ruota attorno all'insegnamento
Francesca Testi ha sempre amato scrivere. Per raccontare, spiegare, condividere. E non stupisce vederla oggi, dopo anni dedicati al giornalismo (Sole 24 Ore, Gazzetta di Modena, ma anche ufficio stampa per Democentersipe e per il Comune di Soliera), dietro a una cattedra. Ancora una volta a raccontare, spiegare, condividere.
Laureata in Scienze Politiche, perfezionatasi in Scienze della Cultura alla Scuola di Alti studi presso la Fondazione Collegio San Carlo di Modena e con una specializzazione in giornalismo di precisione conseguito alla Uam e a El Pais, Francesca fa l’insegnante di professione ma continua a scrivere per passione, raccogliendo appunti, note, riflessioni sul blog Scuola Liquida (http://scuola-liquida-modena.blogautore.repubblica.it/).
Quando hai deciso di diventare insegnante?
Non sono sicura che ci sia stato un momento preciso. Forse è un sogno che è sempre stato dentro di me: da bambina mettevo le bambole in fila e giocavo a fare la maestra. A scuola mi piaceva dare vita alle matite e alle penne. Ciononostante dopo la laurea ho sperimentato altre attività professionali, per curiosità, ma anche per necessità.
Fino al 2006, quando in occasione dell’iniziativa “Un treno per Auschwitz”, la Gazzetta di Modena, con cui collaboro, mi ha incaricato come inviata per raccontare il viaggio e dare voce alle emozioni e alla riflessioni dei 600 studenti partecipanti.
Quei giorni, ma sopratutto l’incontro con la realtà della scuola, hanno risvegliato l’idea di insegnare. Poi sono passati ancora alcuni anni prima di diventare effettivamente docente.
Quali punti di contatto hai trovato tra le professioni di insegnante e quella di giornalista?
Diciamo che entrambe si basano sulla curiosità: se non hai voglia di imparare non potrai insegnare bene, perché insegnare significa innanzitutto apprendere; e anche per raccontare la cronaca o altro devi principalmente interessarti di molto, se non di tutto, e cercare la notizia che non sempre nel giornalismo locale è a portata di mano, perché quella locale è una realtà giornalistica che ha bisogno di ricerca, per intenderci non sempre arrivano comunicati stampa ufficiali.
Oggi sei dall’altro lato della cattedra. Cosa riconosci negli studenti di oggi che era anche tuo? E cosa invece trovi di nuovo, magari legato a questi anni così veloci e virtuali?
Partiamo dal presupposto che io non sono stata una studentessa brillante, e che non ho sempre amato la scuola, e questo mi aiuta, perché so cosa si prova nell’avere difficoltà a studiare.
Quello che riconosco in loro è la voglia di imparare che avevo io, non in tutti sia chiaro, infatti gli allievi che non hanno questo desiderio sono sempre la sfida maggiore. Sicuramente gli studenti di oggi, a differenza della mia generazione, hanno più accesso a forme di conoscenza nuove grazie a Internet che, a volte li favorisce, a volte no. Per questo cerco di introdurre le tecnologie nella mia didattica, per aiutarli a usarle, e non a farsi usare. Sono fortemente convinta che in Italia dovremmo avere una materia dedicata all’educazione ai media a partire dalle scuole medie, se non elementari.
In loro vedo le stesse paure e le stesse domande che fanno parte del passaggio alla vita adulta e che sono appartenute anche ad altre generazioni, ma a differenza del passato loro si affacciano al mondo con più disillusione perché sono consapevoli della crisi economica e dei problemi che comporta.
Il decalogo del “bravo” insegnante.
Ricette non ne ho chiaramente, impossibile darne, però posso dire che in primis cerco di conoscere le mie classi, di capire chi ho davanti per stilare anche la programmazione, ogni classe ha un’identità specifica, ci sono classi che non sono neppure gruppo e classi dove si creano sinergie incredibili. Ed è proprio sulla loro specificità che adatto il mio piano di lavoro, e quindi stabilisco
come e cosa insegnerò. Poi li ascolto, li osservo, senza avere delle aspettative in modo che la mia valutazione resti il meno possibile prigioniera delle mie aspettative. Cerco il dialogo con loro per condividere i miei obiettivi didattici.
Lo scrittore Frank Mac Court dice che ci sono solo 2 tipi di classe: quello da cui non vorresti mai uscire e quello in cui non vorresti mai entrare. Di certo un gruppo di persone non è automaticamente classe.
A mio avviso una classe è come una comunità e quindi un insegnante, di qualsiasi ordine scolastico, deve necessariamente costruire quella comunità politica che è la sua aula.
Nel lavoro quotidiano non si deve mai perdere di vista che l’aula è tua, e devi esserne il regista quando li guidi nella comprensione di un argomento, cioè devi esserci a sovraintendere ma lasciarli liberi di sperimentare, o il capitano- per usare una metafora nautica- quando il mare è in burrasca e quindi riportarli sulla rotta.
Infine valutare i progressi che effettivamente uno studente compie (da dove lo studente parte e dove arriva) e non misurare una performance.
Com’è il rapporto con “i tuoi ragazzi”? Leggere tra i tuoi post il pezzo “Quello che ho imparato dai miei studenti quest’anno” è abbastanza indicativo di un modo diverso, rispetto al passato, di lavorare/vivere/ assieme.
Ritengo che questo mestiere ti metta alla prova innanzitutto come persona: stare davanti a ragazzi ogni giorno comporta un continuo riesame di sé come professionista ma anche come essere umano, questo non implica il mettere in discussione chi sei, ma cosa e come lo fai. I giovani sono esigenti e hanno ragione di esserlo, cercano modelli, messaggi, dialogo, punti di riferimento, per questo il precariato dei docenti non è ammissibile perché ogni anno un numero rilevante di insegnanti lascia le proprie classi e viene spedito in altre scuole venendo meno a quel legame.
Quello che intraprendi con gli allievi è un percorso che li coinvolge e, ci coinvolge, come professionisti ma anche come esseri umani perché poter accompagnare le persone in un cammino di crescita e scoperta è sempre un’esperienza formativa.
E tutte le volte che ci si saluta per loro è una sofferenza, noi lo misuriamo dalla quantità di affetto e lettere,mail, telefonate da cui veniamo sommersi ma quel che non si dice è che anche a noi questo costa.
Insomma quel che voglio dire è semplicemente che tu insegni loro ma da loro impari anche.
La scuola ti permette di entrare in contatto con famiglie, culture diverse, le storie delle persone, le loro vicende insomma con la società.
Com’è nata l’idea del blog Scuola liquida? Perché hai scelto questo titolo? Cosa racconti su Scuola liquida?
L’ide a del blog è nata dal bisogno di raccontare la scuola lontana dai pregiudizi, raccontarla da dentro, dalla quotidianità, nel bene e nel male. Nel blog si trovano commenti a fatti di cronaca legati al mondo scolastico, ma anche esperienze, idee, considerazioni su come migliorarla.
Volevo uscire dalla retorica di una scuola pubblica fatta di docenti vecchio stampo e fannulloni che lavorano part-time, e di ragazzi sconsiderati e delinquenti.
Come in tutti gli ambienti professionali anche noi abbiamo le nostre pecore nere.
Ma nella scuola ci sono anche bravi insegnanti appassionati- io ne conosco tanti e di ogni età- che lavorano tra mille difficoltà, tra cui l’autofinanziamento del materiale scolastico e il mancato stipendio come la cronaca nazionale ci ricorda in questi giorni, eppure tutte le mattine entrano in aula e fanno lezione per non far mancare ai loro studenti il diritto a imparare.
Non penso a questo come a una missione o una vocazione, però penso che si debba fare con passione per accendere nei giovani il desiderio per la conoscenza e la vita.
Quanto al nome mi sono interrogata a lungo, poi mi è sembrato naturale ispirarmi a Zygmunt Bauman e alla sua visione di società liquida per descrivere la scuola italiana come un’istituzione che è ancora fondamentale nella costruzione di un Paese ma che ha perso la sua forma, e che quindi deve rivedersi, riformarsi in modo serio, a partire dagli ordini scolastici che- come scrivo nel blog- andrebbero rimodulati sulla base dei cambiamenti antropologici dei ragazzi di oggi.
I tuoi studenti ti leggono? Ti suggeriscono post?
Non sono sicura di sapere se mi leggono, qualcuno lo fa per farmi piacere, qualcuno per curiosità, i più audaci intervengono, ma la maggior parte non mi dà riscontro. In ogni caso non li coinvolgo.
Mi piacerebbe che mi dessero suggerimenti ma non lo fanno, però, è indubbio che loro siano la mia ispirazione, senza loro Scuola Liquida non esisterebbe.