LUIGI MAIELLO
Stradanove incontra il raffinato compositore romano e chiacchiera con lui di musica e ricambio generazionale
Luigi Maiello è un giovane e ricercato compositore che coltiva l'ambizioso progetto di riavvicinare la musica colta a un pubblico giovane. La sua raffinata produzione che racconta passioni umane, mondi lontani e visioni è ora disponibile nei maggiori negozi di dischi on-line (iTunes, Amazon Napster etc). E' probabile che alcuni di voi abbiano ascoltato alcune delle sue composizioni in trasmissioni televisive come Stargate linea di confine, Atlantide storie di uomini e di mondi,Voyager ai confini della conoscenza e molte altre. Tra le colonne sonore segnaliamo quella di Parva e il principe Shiva (prodotto da Film-Auro, con la sceneggiatura di Vincenzo Cerami e disegni di Milo Manara) e tra gli spettacoli teatrali Ricorda con rabbia di John Osbourne, per la regia di Ennio Coltorti. Finalista inoltre ai David di Donatello con Darkness, corto d'animazione del quale ha realizzato musica, regia e disegni, Luigi Maiello è un artista tutto da scoprire.
Per saperne di più è possibile visitare il sito ufficiale www.luigimaiello.com, che merita certamente più di una visita.
La tua ambizione è quella di riavvicinare noi giovani alla musica colta. Cosa si intende oggi per musica colta? La musica colta per come la intendo, non ha connotazioni di genere: spazia dalla lirica ai Pink Floyd, dal sinfonismo dell'Ottocento alle migliori colonne sonore. Credo che in giro ci sia molta fame di cose di qualità, molta più quanta si possa immaginare. Noi giovani abbiamo bisogno di forme d'arte che non siano autoreferenziali e che parlino di emozioni importanti, di temi avvincenti, di scenari densi e di prospettive coinvolgenti. La musica colta contemporanea del Novecento, che in troppi casi parla un linguaggio autoreferenziale perché fatta di rumori e di onanismi intellettuali, ha finito con l'allontanare il pubblico sia dalle sale da concerto che dall'ascolto radiofonico intelligente. La mia musica nasce dall'interesse per tematiche che riguardano le grandi sfide del nostro tempo come l'ambiente, le scoperte scientifiche o la denuncia di una società malata che affoga la fantasia e lo spirito vitale dei giovani. In conclusione, tra la musica seria del recente passato e il martellamento commerciale al quale siamo sottoposti quotidianamente, credo esista un'oasi, una zona d'ombra da rispolverare, nella quale cerco di muovermi con la mia musica.
Se da una parte la tua musica affronta temi molto seri, dall'altra appare legata anche al mondo dell'immaginario. Da dove trai origine questo dualismo? Potrei dire che la mia produzione si divide in due filoni principali: da una parte c'è la produzione ispirata alle grandi sfide dell'uomo, a questioni come l'ambientale o le scoperte scientifiche. Dall'altra c'è una produzione molto legata all'immaginario, ispirata alle fiabe, alla fantascienza e ai ricordi della mia infanzia. Se una parte di me è quindi molto sensibile ai temi fondamentali dell'uomo e alle sfide generazionali, l'altra subisce molto il fascino di suggestioni legate al mondo della fantasia, del gioco e dei ricordi.
Credi nell'ispirazione? Credo che l'ispirazione sia il punto di partenza per ogni artista, o almeno dovrebbe. Essa è la motivazione prima per cui decidiamo di dar vita ad una creatura artistica. Non considero però l'ispirazione una sorta di emanazione divina o di deus ex machina che ci viene in aiuto quando siamo senza di idee. Ritengo piuttosto che essa dipenda pienamente dal nostro vissuto quotidiano. Leggere dei libri importanti, osservare ciò che accade con spirito critico, discutere con gli amici di questioni intelligenti, sono nutrimento per la nostra mente, cibo per la nostra anima. Nulla di troppo astratto dunque; circondarsi di cose belle e importanti è l'unico modo per provare a crearne di altrettanto.
Puoi citarci qualche autore che ami ascoltare, leggere e guardare? Adoro Wagner, Mahler, Bach, Allegri, Schoenberg, Bartòk; i Pink Floyd, i Genesis e i Queen, fino a John Williams e James Newton Howard. Sono un grande lettore di fantascienza, Dick e Ballard trai miei preferiti, ma leggo anche molta saggistica e i classici. Terrence Malick (La sottile linea rossa) è certamente uno dei registi che amo di più insieme a Boorman e Ridley Scott; adoro anche i neorealisti italiani che mi rievocano alla memoria quando era l'Italia a insegnare agli altri come fare i film. Trai pittori citerei Caravaggio, Pussen, Veermer e Hopper.
Che rapporto hai con la musica del passato? Mi dedico all'ascolto più di quanto mi dedichi alla composizione, studiare e conoscere il passato è l'unico modo per avere un futuro. Ripercorrere la strada tracciata dai maestri è un bel modo per elaborare un proprio stile autonomo e originale. La musica ha inoltre una storia lunghissima costellata di capolavori che è indispensabile conoscere per ogni amante dell'arte. Trovo che fin troppo spesso ai giovani il nuovo sia proposto come valore assoluto. Volendo riderci su potremmo dire che, non tutto quel che è nuovo è bello e non tutto quel che è bello è nuovo!
La tua musica è stata utilizzata molto dalla televisione e dal teatro. Che rapporto c'è tra il tuo lavoro e l'uso che le immagini ne fanno? Credo che le mie composizioni abbiano una forte impronta narrativa e un carattere di marcata indipendenza formale. Forse è anche per questa ragione che le mie musiche si fondono bene con immagini di ampio respiro come quelle proposte nei documentari. Credo inoltre che il fatto di aver scritto della musica che non dipendesse direttamente dal video, ha inevitabilmente reso più interessante l'accostamento a posteriori tra il mio lavoro e le immagini. Oggi viviamo immersi nella cultura dell'immagine e certamente anche a mia produzione artistica ha risentito di questo fattore generazionale.
Che ne pensi della musica nei film italiani? In Italia abbiamo ottimi musicisti e ottime scuole, ma la natura dei film che si producono nel nostro paese spesso non consente di scrivere della buona musica. La deriva degli ultimi anni del cinema italiano, esclusi film come Gomorra o Il Divo, è finita col ricadere anche sul mondo delle colonne sonore. La maggior parte dei film nostrani ha come tematica la sfera affettiva, l'amore, i sentimenti a buon mercato e spesso i musicisti sono costretti a ricadere in cliché e formule standardizzate che non disorientino registi poco coraggiosi. Nei film americani la musica è distribuita sull'ottanta per cento del film, a tal punto che quasi non ci si accorge della sua presenza. Nel nostro cinema invece, entrando solo in alcuni momenti topici, la musica finisce con l'avere un ruolo ancillare, da siparietto teatrale, o nella migliore dei casi addirittura da videoclip. Un esempio? I due si baciano dopo un lungo silenzio e la musica inizia!
Quali cambiamenti introduce secondo te la distribuzione digitale e che futuro hanno le etichette discografiche in questo scenario? La distribuzione digitale è un sistema molto democratico, anche se quando una cosa è per tutti, rischia allo stesso tempo di non essere per nessuno. Cercare su internet ormai è come entrare nella biblioteca di Alessandria dove dato c'è tutto, si rischia di non trovare nulla. A mio avviso la fase della promozione resta sempre e comunque quella più critica poiché per emergere dal mare magnum di un'offerta artistica sterminata ed indiscriminata, occorre moltissimo coraggio, fortuna e la consapevolezza che internet è il mezzo e non il fine della nostra musica. Gloriose etichette del passato hanno chiuso ed altre si fondono tra loro per evitare la stesa sorte; questo da la misura concreta di un mercato in profonda crisi. Le cause sono molteplici anche se in primis metterei quella che è passata l'idea che la musica non si paga. Oggi rivolgersi a un'etichetta discografica credo non abbia più molto senso perché si è estinta la figura del produttore che investiva, guidava e formava l'artista. Temo che oggi le etichette non ripongano aspettative nè economiche nè artistiche nei dischi e che quindi spesso li propongano sul mercato in modo casuale e nella speranza che uno su mille funzioni.
Vuoi dire qualcosa ai nostri giovani lettori? Direi a tutti i ragazzi della nostra generazione che se abbiamo qualcosa da dire dobbiamo far sentire la nostra voce con chiarezza e senza timori reverenziali. Questo è un momento difficile e c'è bisogno di tutte le energie proprie della nostra età; non può esserci a mio avviso spazio per il pessimismo cosmico o per il qualunquismo a buon mercato. Le nostre passioni ci possono aiutare a ritrovare e incanalare queste energie. Penso che ognuno di noi dovrebbe individuare la propria virtù e farla esplodere!