ENNIO MARCHETTO
Quattro chiacchiere con Ennio Marchetto, uno dei più grandi trasformisti al mondo
Stradanove ha incontrato e intervistato, in occasione del suo spettacolo a Carpi, l’eclettico e inimitabile Ennio Marchetto, uno dei più apprezzati comici trasformisti al mondo, un artista capace di creare e interpretare grazie a costumi di carta oltre 300 personaggi.
Ennio Marchetto, classe 1960, veneziano: il legame con la Serenissima ha suggestionato la tua arte creativa?
Assolutamente si: grazie al Carnevale di Venezia ho capito che volevo continuare a fare il mimo. Un trentennio fa, quelli del Carnevale erano gli unici giorni dell'anno in cui ci si poteva mostrare bellamente creativi. Ho cominciato agli inizi degli anni '80 costruendo costumi con materiali poveri, non cuciti, magari incollati, ma pur sempre grandiosi, con stoffe recuperate persino dalla spazzatura o scovate d'estate in riva al mare. I veneziani, in quegli anni, avevano ancora voglia di vivere quelle giornate di festa. Ora non più: c'è troppa gente, un autentico boom di turisti, e il Carnevale è scolorito in una macchina per fare soldi.
Come e quando è nata l’idea per questo insolito show-mix di cabaret e trasformismo? L'idea mi è venuta una notte, dormendo. Avevo vent'anni e ho sognato Marilyn Monroe, completamente vestita di carta, che ballava fra le nuvole. Al risveglio ho subito riprodotto il suo costume: petto da maggiorata, fianchi larghi, una parrucca bionda, ed ecco la mia Norma Jeane in “carta ed ossa”. E' rimasta sola per sei anni, poi qualcosa è cambiato: i primi provini per nuovi comici ed un concorso ben riuscito (la Zanzara d'Oro di Bologna, nel 1988, in cui ho vinto sul secondo e il terzo posto di Daniele Luttazzi e Natalino Balasso) hanno “dato il la” a questo modo insolito, tutto mio, di fare cabaret. Di lì, ho cominciato a lavorare sotto agenzia, in Italia per un paio di anni e poco dopo anche all'estero, con un nuovo agente inglese. Poi, nel 1990, il lancio su scala globale grazie al Festival di Edimburgo: all'estero, chance più grandi, risposte più eloquenti.
Un varietà di sola carta: dove hai imparato l’arte dell’origami? Sono sempre stato abile nel disegno e appassionato di lavori creativo-manuali. Un amico, fashion designer di professione, mi ha aiutato a comporre costumi più strutturati: oggi, ciascun personaggio ne contiene almeno altri tre; ed è così che un lupo muta in Lucio Dalla, il cui corpo si riassetta in una vespa con in sella Cesare Cremonini, o la Regina d'Inghilterra, aggiunto un baffo - from Queen to Queen -, da Elizabeth diventa Freddie (Mercury). Fatalità, c'è sempre un nesso. E a conquistare il pubblico è proprio questo effetto matrioska, assieme alla velocità dei cambi di immagine sul palco.
Quanto tempo impieghi per confezionare i costumi? E quanto durano in media? Il tempo varia a seconda della quantità di personaggi che ciascun soggetto contiene: i costumi più laboriosi possono richiedere un'intera giornata, mentre quelli più semplici sono fattibili in un'ora. In media, sono tutti riutilizzabili un centinaio di volte. Quando ricreo un costume usurato, mi disfo di quello vecchio, regalandolo, e per ciascuno conservo a casa una duplice copia: visti i tanti viaggi, c'è sempre il rischio di smarrirne in aeroporto!
Quanto conta la mimica, a supporto dei costumi di scena? Come si impara a cambiar faccia? Quando provo un personaggio davanti allo specchio, ne replico la gestualità una decina di volte, ma la piena immedesimazione la ottengo assimilandone il brano: un cartonato originale e il playback della voce originaria bastano a fare il resto. Non c'è scuola, solo istinto. E ritmo sanguigno in quantità.
Marcel Marceau o Lindsay Kemp? Fra i grandi mimi delle passate generazioni, scelgo il secondo: l'ho incontrato, ho partecipato alle sue lezioni e assistito ai suoi spettacoli, appassionandomi della sua arte e dei suoi colori.
Un catalogo di oltre 300 personaggi, fra icone di ieri e nuovi volti della modernità: come nasce la scelta dei soggetti? Attingo tanto dall'evergreen quanto dall'attualità: quel che più conta è che siano figure riproducibili e immediatamente riconoscibili con due pezzi di carta. Oltre a ciò, dev'esserci una canzone che tutti conoscano.
Fra messe in scena teatrali e dirette televisive, “A qualcuno piace carta” è giunto in più di 80 paesi: quanto influisce l’itinerario sul repertorio? Ho un assortimento di grandi classici internazionali sempre “sul pezzo” (senza Liza Minnelli o King Elvis non si va in scena), ma una parte dello show è adattabile a seconda del Paese: in Giappone, ad esempio, introduco una decina di artisti del pop nipponico, divertendomi a studiarne i clip.
Il tre costumi più applauditi?
Monnalisa, Whitney Houston e Tina Turner.
Il tuo preferito? Sempre l'ultimo creato!
Nessun cartone incartatosi? E' capitato che il velcro non aderisse o si formassero strappi, ma dietro a ciascun costume c'è un attento lavoro di controllo e una manutenzione pressoché giornaliera.
In platea, è mai stata presente una delle celebrità cartonizzate? Sì, è capitato mentre mi esibivo davanti alla Regina d'Inghilterra: tra gli spettatori c'era anche Liza Minnelli. A fine spettacolo ci siamo conosciuti e le ho raccontato che è proprio lei, ogni sera, a concludere il mio show!
Carta accorta: hai mai riprodotto figure politiche, dando spazio alla satira umoristica? No, scelgo solo personaggi musicalmente funzionanti e corrispondenti al mio gusto. Per questo, fuori Berlusconi o - chessò - Albano & Romina, e dentro la pur sempre nazionalpopolare Berti con la sua canticchiata e godevolissima barca (almeno finché va!).
Ameresti l’idea di un duetto trasformista con Arturo Brachetti? Con Brachetti siamo amici: appena un mese fa ci siamo visti a Parigi, ciascuno in giro col proprio spettacolo, e abbiamo cenato assieme. Ma artisticamente siamo piuttosto lontani: lui non potrebbe fare a meno delle sue stoffe, come io non tradirei mai il mio mondo di carta. E su ciò: carta canta!