MICHELA IORIO

Rispondendo all'urgenza di immaginazione... Quattro chiacchiere con Michela Iorio, giornalista e blogger,con una passione viscerale per il mondo del teatro

MICHELA IORIO

“La mia è una vita nomade, non scelta per la prima parte e abbracciata per la seconda”  racconta Michela Iorio, giornalista, blogger, con una passione viscerale per il mondo del teatro e non solo. Originaria di Foggia, oggi abita in campagna fuori Modena: in mezzo 13 traslochi  (“il motivo di tanto vagabondaggio è che mio padre lavorava per la Banca d'Italia ed ogni promozione era un trasloco...”).


La tua passione per il giornalismo ha radici lontane, quando alle medie fondasti il giornale della scuola: come si chiamava? Ricordi di cosa parlava il tuo primo articolo?    Il giornalino si chiamava "Lo studente". E mi ricordo che fu pure difficile trovargli il nome, d'altronde ancora oggi non sono brava con i titoli. Per un periodo ho voluto chiamare Vladimiro un ipotetico figlio perché mi piacevano le abbreviazioni in "Vlad" e "Miro". E credo che questo spieghi tutto. Il primo articolo parlava dell'inquinamento. La passione per il giornalismo non è mai nata. Nel senso che mi è sempre piaciuto scrivere da che ho memoria, ma non mi era mai passato per la testa di diventare giornalista. Il mio professore di Lettere al Liceo Scientifico mi diceva sempre che avrei dovuto scrivere e ogni volta che ci siamo incontrati dopo il diploma mi ha sempre chiesto: "Ma allora fai la giornalista?". Per anni gli sono sfuggita, ma alla fine ho ceduto. Non mi considero però una vera e propria giornalista, direi più che mi piace scoprire, raccontare storie e vedere come cambiano il mondo che mi circonda. Sì, in effetti, forse è questo che significa essere giornalisti.

Dal giornalino scolastico a un blog di cucina...    Si! Nel tempo libero (quando ne rimane) scrivo sul mio blog legato al mondo della cucina (www.tagliatellealragu.wordpress.com) e partecipo a "Postrivoro" (www.postrivoro.it) un progetto di "itinerari per gastropellegrini" nato nel 2011 con un bel gruppo di amici romagnoli da un'idea di mio marito che lavora nel campo della ristorazione. Nel tempo non libero, ho in piedi diverse collaborazioni, tutte attinenti all'ambito della comunicazione: sono responsabile dell'Ufficio Stampa dell'Arci di Modena poi seguo la Rete Italiana Città Sane OMS e lavoro da free lance.

Come si vede dagli esordi (alle medie, oltre a scrivere, recitavi e dipingevi scenografie) il teatro è l'altra tua grande passione: nel 2005 a Modena sei stata tra i fondatori del Teatro dei Venti. Come ci sei riuscita?    Io amo ascoltare e raccontare storie. Tra tutte le arti amo particolarmente il teatro e la danza, ma credo siano più mezzi attraverso cui soddisfo l'urgenza della mia immaginazione. Questa sensazione è sempre stata con me e accompagnata dalla mia famiglia.  Mia nonna materna era la sarta del paese e le chiedevo di cucirmi i vestiti di scena o di darmi le "pezze", gli scampoli di stoffa, per giocare. Mio nonno materno aveva aperto un cinema nel suo paese di 4000 abitanti e mi ha fatto vedere tutto Chaplin, tutto Hitchcock, Stanlio e Ollio. E mi ricordo ancora che il mio primo spettacolo teatrale fu un adattamento di "Marcovaldo" di Calvino. Avevo sei anni e riesco a vedere ancora le quinte e una luce color corallo che inquadra il protagonista.
Ho poi frequentato corsi di teatro e corsi di danza classica fino a che nel 2004 ho incontrato Stefano Tè, il direttore artistico e regista del Teatro dei Venti. Pensavo di voler provare a fare l'attrice e sono stata conquistata dalla sua passione. In realtà, ho capito che quello che mi riusciva veramente bene era organizzare, stare dietro le quinte, assaporare l'inquietudine della prima e gustarmi quegli splendidi momenti dopo che il pubblico era uscito di sala e guardarne i visi, i gesti, le mani. Il Teatro dei Venti è nato grazie all'incontro di un gruppo di persone motivate e guidate da un sogno, il resto è venuto da sé. Non riesco a dire come sia successo, semplicemente non ci siamo posti il problema che fosse qualcosa di irrealizzabile.  Da qui penso che le caratteristiche del Teatro dei Venti credo che siano l'incoscienza e la tenacia di credere in un sogno.
Nel 2010 ho lasciato la carica di vice presidente perché non riuscivo più a conciliare tutte le attività visto che nel frattempo il Teatro è diventato una realtà importante per Modena e di un certo rilievo a livello nazionale. Da lì in poi ho seguito i progetti dell'Associazione Amigdala con una nuova produzione e due edizioni del festival Periferico.

I tuoi interessi spaziano in ambiti molto diversi: dalla cucina al teatro... Quali parallelismi?    Nel progetto di "Postrivoro" nel quale sono coinvolta, sono rimasta affascinata da quanto il mondo della cucina abbia dei parallelismi con il mondo del teatro: ogni cena o pranzo è come andare in scena e, se fatto con arte, i piatti sono come gli atti di uno spettacolo dal vivo, i capitoli di un libro. Devo questa scoperta a mio marito che è uno dei migliori cantastorie che abbia mai incontrato e che mi ha aperto gli occhi su questo mondo.

Cosa ti aspettavi dal mondo teatrale quando alle medie recitavi e dipingevi scenografie e cosa hai incontrato nella tua esperienza? Come definiresti la funzione culturale e sociale del teatro oggi?    Per un po' ho pensato di voler fare l'attrice, ma mi sono resa conto di non avere le doti di disciplina e abnegazione necessarie. Alle elementari ero conosciuta come "San Tommaso" perché dissi alla maestra che non credevo alla prova del nove e doveva dimostrarmela. Per lo stesso motivo non potrei abbandonarmi totalmente ad un regista. Forse un giorno scriverò o proverò a dirigere qualcosa, se ne avrò il coraggio. Di certo mi piace organizzare e creare qualcosa insieme agli altri condividendone anche le delusioni. E non si può dire che manchino nel mondo teatrale. Spettacoli pagati poco e male, professioni non riconosciute e lo scoglio della parola "artista" che in Italia sta per qualcuno che "non vuole avere un lavoro vero". In questo credo che chi fa teatro, e non il teatro in generale, abbia la fondamentale funzione di ricordare a tutti che c'è un'urgenza dentro ognuno di noi che ci spinge a cercare un senso, diverso per ognuno, che dia forma al mondo. Vedo i teatranti, e gli artisti in generale, come dei "resistenti", per non voler scomodare la parola partigiani. Resistono al tempo frenetico, ai significati precotti, ai programmi imposti in fast forward. Il teatro e le arti sono lentezza, assimilazione, dettaglio. In un mondo che lascia indietro in un batter d'occhio, gli artisti sono in grado di fermarsi senza paura. E, se sono bravi, riescono a trasmetterci quella sensazione di tempo ritorto, esteso, rattrappito in quell'ora, in quelle due, tre, cinque ore in cui si esibiscono e l'hic et nunc si sgretola e si ricompone. Amo le arti performative perché non le puoi mettere in pausa, devi prestare attenzione e ti lasciano dei semi che germogliano a distanza. Quale modo migliore per trasmettere messaggi, speranze, progetti?

E non è finita qui...
   Amo leggere e adoro i giochi di ruolo e i videogame. Mi definirei nerd. Ho studiato un pochino di fotografia e ho una vecchia reflex del 1976 dall'affascinante nome di Miranda, come la figlia di Prospero nella "Tempesta" di Shakespeare, con cui ho realizzato qualche bello scatto che è stato anche esposto. Ma più di tutto direi che mi piace condividere le storie che raccolgo e vedere come possono cambiare il mondo, anche in piccolo. Per questo anche nel lavoro di giornalista mi dedico principalmente al sociale e alla cultura. Ricopro anche il ruolo di Presidente della Consulta delle Associazioni Culturali del Comune di Modena e devo dire che mi piacerebbe un giorno dedicarmi alla politica. Mi ricordo che avevo all'incirca sedici anni e stavo rientrando a casa in bici e ho pensato che tra tutte le città in cui avevo vissuto Modena era quella che mi aveva offerto di più, quella in cui mi sarebbe piaciuto restare. Quindi, forse, un giorno mi piacerebbe dedicarmi proprio alla città che mi ha adottata.