CRONACHE DA UN CAMPO DELLA LEGALITÀ A CORLEONE
La modenese Valentina Scaglioni racconta la sua esperienza in un campo antimafia di lavoro e formazione
I campi e i laboratori di legalità sono l'esempio che, anche in quei luoghi dove la mafia ha spadroneggiato, è possibile ricostruire una realtà sociale ed economica fondata sulla legalità e sul rispetto della persona.
La promozione della cultura e dei diritti può infatti diventare uno strumento essenziale nella contrapposizione ai fenomeni mafiosi.
Questa estate la modenese Valentina Scaglioni ha partecipato a un campo a Corleone all’interno del progetto LiberArci dalle Spine. Di seguito la sua intensa testimonianza.
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“Ragazzi, godetevi la vita, innamoratevi, siate felici ma diventate partigiani di questa nuova resistenza, la resistenza dei valori, la resistenza degli ideali. Non abbiate mai paura di pensare, di denunciare e di agire da uomini liberi e consapevoli”.
Queste parole, pronunciate dal giudice Antonino Caponnetto, fondatore del pool antimafia di Palermo, si trovano incise su una targa apposta su un edificio sito in via Crispi in prossimità della Piazza Falcone e Borsellino di Corleone, un tempo la casa della famiglia Grizzaffi, nipoti di Riina. Tale immobile, dopo alcuni anni dal provvedimento di confisca, è infatti stata assegnato alla Cooperativa Lavoro e Non Solo la quale ha appunto deciso di intitolare la casa al famoso giudice.
La Cooperativa, nata da un progetto di Arci Sicilia e partner di Libera, gestisce dal 2000 un’azienda agricola che coltiva terreni confiscati a Cosa Nostra tra Corleone, Morreale e Canicattì. I prodotti ottenuti dal lavoro dei campi hanno marchio “Libera terra” e vengono venduti in tutta Italia. L’attività agricola, condotta interamente secondo i principi e i metodi della coltivazione biologica, si sposa con l’impegno della Cooperativa in fatto di inserimenti lavorativi di persone con problemi di salute mentale. La Cooperativa infatti ha iniziato a coinvolgere lavoratori segnalati dai Servizi sin dall’inizio della sua attività (tanto da essere chiamata scherzosamente “cooperativa dei pazzi”) e grande è stato il successo dei progetti di inserimento dei soci. Alcuni di loro vi sono entrati come “utenti”, ma grazie ad un continuo coinvolgimento nelle attività della Cooperativa, sono riusciti a riscattarsi dalla propria condizione di emarginazione, trovando una propria dimensione lavorativa e sociale.
Casa Caponnetto è la base in cui si svolgono i cosiddetti “campi di lavoro”, a piano terra ci sono cucina, postazioni di lavoro e tavole da pranzo, nelle stanze dei due piani superiori alloggiano i volontari. Infatti, qui ogni estate dal 2008, alloggiano centinaia di giovani (e meno giovani) volontari del progetto LiberArci dalle Spine che scelgono di affiancare i soci della Cooperativa nell’attività agricola e di prendere posizione contro la mafia, partecipando, dopo il lavoro nei campi la mattina, anche ad incontri con magistrati, forze dell’ordine, giornalisti impegnati quotidianamente alla lotta contro la mafia. Quindi lavoro e momenti dedicati alla riflessione e alla discussione vanno di pari passo.
Per chi ha avuto la fortuna come me di partecipare come volontaria a uno dei campi antimafia di lavoro e di formazione, risulta chiaro come la intitolazione e la citazione del giudice Caponnetto non abbiano mero valore simbolico ma costituiscano quello che si potrebbe definire un vero e proprio “manifesto programmatico”.
Difatti accade spesso che l’impegno antimafia si tramuti in qualcosa di retorico e vuoto, buono solo per qualche titolo di giornale, ma privo di concretezza e vera passione. Questo tipo di esperienza (e il lavoro svolto tutto l’anno dalla cooperativa) mi ha dimostrato come invece esista un modo differente di impegnarsi, applicabile in realtà non solo con riferimento al fenomeno mafioso, ma come modus vivendi quotidiano, per affrontare le piccole e grandi ingiustizie che ci sta più a cuore cambiare. Un modo che, in questo caso letteralmente, parte dalla terra, da quella che definirei la “materialità delle idee”. Dopo avervi dedicato ore di lavoro, è grande la soddisfazione di vedere che i propri sforzi si sono concretizzati in qualcosa di tangibile (non vuote chiacchiere), sia esso della conserva di pomodori oppure un cortile di una scuola finalmente reso agibile agli studenti. Azione e pensiero, quindi, come un connubio imprescindibile per la lotta alle mafie.
Ciò che mi preme infine sottolineare è la forza dirompente di questo messaggio e quindi il coraggio di chi ha fondato e lavora in cooperativa. Non va dimenticato che essa si trova a Corleone, il simbolo negativo della Sicilia negli ultimi anni, il luogo della mafia per antonomasia. Gli stessi soci avevano, e continuano ad avere, mafiosi come compagni di scuola, vicini di casa. Tanto per fare un esempio non è raro vedere passare, davanti a Casa Caponnetto, ogni mattina la moglie di Totò Riina che ancora abita in città. Il percorso che hanno intrapreso è stato spesso molto doloroso perché li ha in ogni caso costretti a distanziarsi da persone con cui sono cresciuti e ad essere considerati, da molti concittadini, come coloro (loro, non i mafiosi) che rovinano e infangano il nome di Corleone. Non sono stati pochi e irrilevanti gli atti intimidatori ricevuti; in modo particolare dal presidente della Cooperativa, Calogero Parisi. La vera sorpresa della mia esperienza sta proprio nell’aver scoperto una Corleone diversa, lontana dagli stereotipi, culturalmente dinamica, ansiosa di combattere i pregiudizi e orgogliosa di affermare di essere “la prima città in cui, ancora prima della mafia, è nata l’antimafia” come ho sentito più volte affermare da molti concittadini che non accettano più l’equazione corleonesi uguale mafiosi. Perciò penso siano proprio questi ultimi, anche se non lo ammetterebbero tutti ad alta voce, i corleonesi onesti, che fanno più affidamento sui giovani volontari che ogni anno decidono di dedicare le proprie vacanze al lavoro in cooperativa. E questo affinché possano poi tornare alle proprie vite, nelle rispettive città, a diffondere un’idea di Corleone, differente lontana da ogni cliché.
Altra grande meraviglia per alcuni, conferma per quanto mi riguarda, sono stati i miei compagni d’avventura. Chi pensa che i giovani italiani siano dei buoni a nulla, attratti soltanto dalle cose più superficiali, dovrebbe fare l’esperienza di uno dei campi della legalità. Vi incontrerebbe giovani volenterosi, impegnati e presi da mille interessi. Desiderosi di contare qualcosa in questo mondo, quindi; ma allo stesso tempo di godersi la vita, innamorarsi ed essere felici proprio come richiamano a gran voce le parole di Caponnetto.
E infatti, proseguendo proprio con le parole del giudice (“State attenti, siate vigili, siate sentinelle di voi stessi!L’avvenire è nelle vostre mani”) è proprio grazie alla testimonianza raccolta dai volontari e alla loro consapevolezza di essere “sentinelle della legalità”, che si può realizzare la speranza di un nuovo avvenire libero, appunto, dalle spine.
Valentina Scaglioni
Ottobre 2012