Zalava, di Arsalan Amiri
Vincitore della Gran Premio Settimana Internazionale della Critica, Zalava è un film di Arsalan Amiri, regista di origini curde che ha esordito a Venezia con il suo primo lungometraggio.
È il 1978. Ci troviamo in Iran, nel periodo caldo che precede quella che sarà poi ricordata come la rivoluzione islamica iraniana. In un piccolo villaggio di montagna, Zalava, gli abitanti vengono terrorizzati da un demone che pare impossessarsi di poveri sventurati. Il rimedio? Sparare agli indemoniati dalla cintura in giù, in modo da forzare il demone a fuoriuscire dal corpo della vittima insieme al sangue copioso. Per mettere fine al caos bestiale di queste usanze al limite del tribale interviene il sergente Massud (Navid Pourfaraj), uomo di ragione che non può e non riesce ad accettare consuetudini tanto crudeli. Gli abitanti di Zalava non sono però persuasi e non appena il demone torna a visitarli decidono di rivolgersi a un esorcista locale, Amardan (Pouria Rahimi Sam), il quale intrappola lo spirito maligno dentro un vasetto di vetro. Massud assiste incredulo al sinistro rito di purificazione, ma ancora più sinistra è la reazione festosa del paese. In un coro di grida, pianti e risa gli abitanti di Zalava celebrano la superstizione e l’inganno violento che si consuma con essa. Al fianco del sergente, la seducente dottoressa del paese (Hoda Zeinolabedin). Come lui, ella incarna la fede nella scienza e nella ragione, ma a differenza di Massud, quest’ultima accetta con rassegnazione i limiti culturali dei suoi compaesani, accontentandosi di sottoporli a qualche sporadica analisi del sangue. Rimane però un problema: cosa fare a questo punto dell’incriminato vasetto di vetro? Da qui il film prende un sentiero diverso. In un crescendo delirante che mischia il genere del thriller ai binari dell’horror, la trama si infittisce fino a raggiungere il climax tragico decisivo.
Per citare le stesse parole del regista, Amiri, e della moglie Ida Panahandeh che con lui ha collaborato strettamente, si tratta di un film che si colloca volontariamente fra il cinema di genere e il realismo cinematografico. Un pizzico di horror, una manciata di melodramma, due pugni di thriller, il tutto condito da una mise en scene e una fotografia assolutamente realistiche e profondamente radicate nella cultura cinematografica iraniana (ndr : Abbas Kiarostami anyone?).
Intense e convincenti anche le performance attoriali di un cast che, ricordiamolo, ha lavorato in piena pandemia di Covid-19, in Iran, ben prima dell’arrivo dei vaccini.
Per concludere, un film che invita sicuramente a riflettere sul peso di credenze e superstizioni nelle quali tutti noi, più o meno consapevolmente, nuotiamo quotidianamente. Perché, come dice Massud, “superstitious people don’t just hurt themselves. They are dangerous to everyone”.
Settembre 2021
Articolo a cura di Chiara Minarelli