La giornalaia di Veit Heinichen
"C’è la simpatia che lo scrittore tedesco prova per questo nostro paese che riesce a bilanciare le sue nefandezze con il calore umano dei singoli e con il gusto della vita" (M. Piccone)
Un flash-back iniziale. Trieste 1991. Un’esplosione al Porto Vecchio. Salta in aria uno yacht e muore il mitico ladro gentiluomo, Diego Colombo, immigrato dall’Argentina per non essere arruolato nella guerra delle Falklands, specializzato in furti di opere d’arte. Testimone oculare, la guardia di finanza Lino La Rosa. Un giovane Proteo Laurenti raccoglie le deposizioni sul posto. E però il mare non restituirà mai il corpo di Diego Colombo, alimentando la leggenda su di lui.
Venticinque anni dopo il magazzino della GelFish, al Porto Vecchio, subisce un furto. Non di pesce, come il nome potrebbe lasciar supporre, ma di quadri. Quadri in un magazzino per il pesce? E quadri famosi, per giunta. Klimt, Modigliani, Caravaggio, Morandi. Non solo. La modalità del furto sembra avere la firma di Diego Colombo e allora si scatena una ridda di quesiti, vengono rispolverate voci e pettegolezzi. È morto veramente, Diego Colombo? Proteo Laurenti è il primo ad avere dei dubbi. Conosce molto bene Teresa, moglie di Diego, la giornalaia del titolo. Una donna non giovanissima ma ancora procace, con i suoi vestiti attillati e la scia di profumo Cartier. Nel 1991 era incinta del primo figlio di Diego, dopo ha avuto altri due figli di cui non ha mai rivelato chi fosse il padre. C’è da farsi delle domande, tuttavia, perché hanno la stessa faccia dell’uomo che dovrebbe essere morto.
Il nuovo romanzo di Veit Heinichen è ricco di personaggi, di vicende, di escursioni nel mondo dell’arte e nella storia di Trieste, sia quella ufficiale sia quella nascosta, di gustosi piatti di pesce e di bicchieri di vino. A Veit Heinichen piace il genere umano, piace mangiare e piace bere, lo si percepisce da come ne parla, con uno stile che non è mai distaccato, che ci rivela le sue simpatie e le sue antipatie. Perché ci sono diversi gradi di colpevolezza. Diego Colombo, a cui la polizia dà la caccia, non è come il corrotto Lino La Rosa che ha sempre tratto profitto dal suo incarico per ricattare gli evasori fiscali e che tuttora è un essere spregevole, anche se condannato a muoversi su una sedia a rotelle dopo essere stato investito dall’auto di Teresa. Un incidente? Lei non aveva mai fatto mistero del fatto che avrebbe preferito fosse morto perché aveva imbrogliato il marito. Anche la figlia di La Rosa lo vorrebbe morto, nonostante gestiscano insieme una casa di riposo per anziani (poveri vecchi! derubati da vivi e da morti con furti a volte spettacolari) e un’impresa di slot machines. Teresa, Daria La Rosa, la segretaria Marietta, le donne di Veit Heinichen, si fanno ricordare. Daria per le sue frustrazioni, per la sua asprezza e per il suo cagnolino bianco, e Teresa e Marietta perché - seno abbondante che attira gli sguardi, bottoni della camicetta slacciati ad arte per far occhieggiare la biancheria - ci ricordano le dive italiane degli anni ‘50, le donne-femmine del Mediterraneo.
Lo sguardo di Veit Heinichen non si ferma lì. Lo scrittore è un privilegiato che ha un angolo privilegiato come punto di osservazione - uno straniero che vive da molti anni nella città confine di Trieste, che riesce ad avere sufficiente distacco per vedere le magagne del Bel Paese, quell’economia ombra che intesta imprese a figure ombra, che porta capitali all’estero, che evade il fisco, che resta indifferente o addirittura ostile davanti alle file di profughi in coda per avere il permesso di soggiorno, “il concentrato di miseria che l’occidente democratico aveva provocato negli altri continenti in decenni di arroganza e di cieco sostegno alle dittature”. L’impressione è di una ricchezza che emigra per sottrarsi agli immigrati. E tuttavia, al di là delle critiche ammantate a volte di grottesco, al di là dell’avvincente trama di un’indagine che insegue un fantasma e il suo doppio, c’è la simpatia che lo scrittore tedesco prova per questo nostro paese che riesce a bilanciare le sue nefandezze con il calore umano dei singoli e con il gusto della vita.
Veit Heinichen, “La giornalaia”
Ed. e/o, trad. Monica Pesetti, pagg. 320, Euro 18,00
Recensione a cura di Marilia Piccone