#iorestoacasa... e mi chiedo "è così implacabile il desiderio di attività, di movimento, in questo periodo di immobilità?"

Elisabetta, volontaria presso il Comune di Modena, progetto "Narratori Strategici 5th generation" ci rende partecipi delle sue riflessioni in questo periodo di "fermo" delle attività.

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Produttività necessaria

C’è chi si è dato alla cucina, c’è chi ha ripreso un hobby abbandonato da tempo, c’è chi si è gettato su challenge mensili sul mantenimento della forma fisica, c’è chi ha scoperto una nuova passione.

Tutte queste persone hanno una cosa in comune: nessuna di loro è ferma.

L’immobilità del tempo presente in qualche modo ci costringe a rimanere in movimento, a spingere e spingere gli ingranaggi dell’enorme meccanismo sociale a cui siamo tanto assuefatti.

Siamo cresciuti con l’idea che non fare niente, non essere produttivi, ci rende meno di insetti, avvolti in ragnatele di pensiero da cui non possiamo liberarci.

Così nascono nuovi chef, così si ritrovano vecchi libri, si ordinano le soffitte, si puliscono a fondo stanze tenute chiuse per troppo tempo.

Perché?

Perché questo bisogno di produttività necessaria?

Io in questi giorni non sono riuscita a fare niente. Niente di produttivo, niente dolci, nessun dipinto, nessun oggetto di decoupage con materiali di recupero: niente.

E se da una parte la necessità di fare qualcosa, dall’altra la sensazione del tempo che passa inesorabile, lento e veloce allo stesso tempo, preme sui nervi lasciati scoperti da quello stesso far niente di cui prima, assordata dal via vai giornaliero di impegni e scadenze, a malapena mi rendevo conto.

Sola, con i miei pensieri, perseguitata da fantasmi scacciati come mosche. Riuscirò a laurearmi?

Avrò mai un lavoro con uno stipendio stabile? Avrò mai una casa mia?

Comprerò mai una macchina? Mi sposerò?

Avrò il tempo di avere figli? Come sarà il mio futuro?

Pensieri, pensieri, pensieri, sempre più invadenti, sempre più stretti intorno al petto fino a impedire il respiro.

Non ci sono più torte, non ci sono più libri, non ci sono più distrazioni. Non c’è più vita.  Solo un muro bianco da fissare ad occhi sgranati mentre i granelli di secondi, minuti e ore scorrono lentamente verso le uniche cose rimaste invariate: l’ora del caffé, l’ora del pranzo, l’ora della merenda, l’ora del tg della sera, l’ora di andare a letto.

Circondarci di piccole cose serve per nascondere il ronzio di fondo di un’insoddisfazione che tutti noi sentiamo e da cui tutti noi scappiamo.

E al contempo veniamo perseguitati dal pensiero di non essere abbastanza, di non aver fatto abbastanza, di aver sprecato le preziose ore di vita che sono già così poche da vivere su questa Terra, in questo momento, in questa timeline distorta dal Destino, dal Caso, o da una divinità distratta.

Per questo mi punisco: non vali niente, cos’hai fatto oggi, cos’hai concluso? Non sei riuscita a studiare, non hai letto neanche una pagina del romanzo che ormai prende polvere sul tuo comodino, non hai lavato i piatti, non sei scivolata neanche fuori dalle coperte per metterti in posizione eretta, l’unica cosa che ti distingue davvero da un animale.

Produttività necessaria.

Dobbiamo fare qualcosa per sentirci umani o sono le cose che facciamo e abbiamo fatto a definirci tali? Abbiamo bisogno di continua rassicurazione per non sentirci scarti, come foglie di verza lasciate sotto il banco ortofrutta.

Ma è davvero così?

È così implacabile il desiderio di attività, di movimento, da costringerci a farci del male, a colpevolizzarci per qualcosa che non dipende realmente da noi?

Fin quando penseremo che la mancanza di moto sia, per definizione, mancanza di vita chiunque si fermerà ad ascoltare se stesso riceverà il marchio della bestia.

È veramente un male smettere di respirare in fretta, in corsa, e prendere lunghe, lente boccate di un’aria nuova, diversa?

Adesso che abbiamo il tempo per riflettere, per capire, per cercare, dovremmo veramente riempirlo con attività frivole che non abbiamo davvero voglia di fare ma che sono solo un tacito monito a noi stessi, il monito sociale di continuare a muoversi perché, come dice il detto, chi si ferma è perduto?

Forse per non accettare il fatto che il mondo continua a girare anche senza di noi, forse persino meglio, stigmatizziamo chi prende coscienza e desiderio di immobilità?

Io non voglio essere vittima della produttività necessaria. Voglio prendermi i miei tempi.

Voglio rinviare. Voglio ritardare.

Voglio capire da questa ora ferma cosa e come costruirmi domani.

Non voglio costruire qualcosa perché qualcuno ha deciso che devo farlo.

Voglio affrontare il nemico che ho tenuto lontano fin adesso senza neanche rendermene conto.

Non è la noia che dobbiamo combattere, non sono le pigre ore dorate del pomeriggio, non è il tempo vuoto tra un pasto all’altro.

Dobbiamo combattere noi stessi. Forse, quando l’avremo fatto, quando ne saremo diventati consapevoli, potremmo essere davvero produttivi, non necessariamente tali.

Elisabetta, Volontaria Servizio Civile Universale

Progetto "Narratori Strategici 5th Generation"

Aprile 2020

2^ articolo

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