"L'ombrello dell'imperatore", Tommaso Scotti

Nella recensione del libro, a cura di Marilia Piccone, "le storie dei personaggi, un caleidoscopio di situazioni diverse, ci hanno dato le informazioni più varie che smitizzano l’immagine oleografica del Giappone perennemente tinto di rosa sotto i petali dei suoi ciliegi in fiore".

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La torre di Tokyo e un ombrello di plastica trasparente. La torre che si accende di una luce arancione nel buio, che sembra sorvegliare sempre, notte e giorno, la capitale del Paese del Sol Levante e l’ombrello amato dai turisti (e non solo) perché permette di guardarsi intorno anche quando piove (poco importa se lo si dimentica da qualche parte, visto il costo irrisorio)- sono la torre e l’ombrello le presenze costanti, una immobile e l’altro che passerà di mano in mano, nel singolare poliziesco “L’ombrello dell’imperatore” di Tommaso Scotti.

Un delitto all’inizio del romanzo. Un uomo viene trovato morto. È la fidanzata a rivolgersi alla polizia. L’arma del delitto è vicino al cadavere - è un ombrello banalissimo, ha soltanto un puntino rosso sul manico che rende possibile distinguerlo. Un adesivo? La scientifica rileverà soltanto le impronte della fidanzata, della vittima e - ma questo ha dell’incredibile- quelle dell’imperatore che sono in archivio perché si era prestato a fornirle, durante un evento per la prevenzione della criminalità.

Il commissario che conduce le indagini è Takeshi James Nishida, un uomo che si impone all’attenzione perché il suo fisico massiccio lo rende diverso dagli altri giapponesi e il suo secondo nome è rivelatore. Takeshi è un hāfu, un sangue misto. Sua madre era americana e lui ha sofferto per la sua diversità, in anni in cui non essere del tutto giapponese era una vergogna. Dalla madre Takeshi ha ricevuto due eredità, una in valore monetario che gli ha permesso di comprarsi un piccolo appartamento in una zona centrale e l’altra che si rivela nel suo carattere schietto, un poco sfrontato, di certo dissimile dalla riservatezza giapponese.

Ed ora parte la staffetta in cui l’ombrello passerà da una mano all’altra - un ottimo espediente narrativo per raccontare storie, piccole tessere per comporre un quadro di Tokyo parlandoci di persone diverse per finire anche a svelare il mistero del delitto. Si incomincia con il direttore esecutivo di un’azienda (immagine perfetta del manager dal completo nero impeccabile) che aveva dimenticato sul treno l’ombrello comprato di fretta perché sorpreso dalla pioggia, si passa poi all’impiegato delle ferrovie che lo aveva trovato, alla ragazza di cui questi è innamorato e che lavora in un locale in cui si cerca di far bere i clienti, al ragazzo italiano che forse assomiglia un poco allo stesso scrittore, alla madre della bella entraineuse (casalinga annoiata che mente), all’americano che sfrutta il fascino che esercita sulle donne giapponesi. E poi ancora a due rappresentanti della gioventù giapponese - lo studente sempre in lotta per eccellere e non deludere i genitori e quello che ha abbandonato la scuola per chiudersi nella sua stanza. Ci sono 500.000 hikikomori che si autoescludono dalla società e passano il tempo leggendo manga, parlando con amici virtuali e giocando ai videogiochi.

Le ‘avventure dell’ombrello’ ci hanno portato in giro per Tokyo, siamo passati più di una volta nei pressi della stazione di Shinjuku e per le strade del quartiere del piacere di Kabukicho, alzando gli occhi per vedere la testa di Godzilla in cima al grattacielo, abbiamo gustato ramen e miso con l’insolito poliziotto che, proprio perché è un hāfu (deriva da half, metà), è stato il migliore interprete tra i due mondi. Le storie dei personaggi, un caleidoscopio di situazioni diverse, ci hanno dato le informazioni più varie che smitizzano l’immagine oleografica del Giappone perennemente tinto di rosa sotto i petali dei suoi ciliegi in fiore. Il Giappone è anche il luogo dove c’è ancora la pena di morte, dove, in condizione di arresto, si è colpevoli fino a prova contraria, dove la quantità del lavoro conta di più della qualità, un abbraccio in pubblico è disdicevole. Il Giappone è il paese della solitudine, ma è anche il paese dove l’onore conta più di ogni altra cosa.

Che cosa c’entrava l’imperatore in tutta questa storia? Dovrete scoprirlo voi. Vi posso dire che l’ombrello è passato da altre due paia di mani, che c’è un clamoroso colpo di scena finale e che la conclusione è perfetta. Non riesco ad immaginare né un altro luogo né un’altra atmosfera per terminare questo romanzo che ci ha trasportato in Giappone.

Perfetti i versi finali di un haiku: Le lenticchie d’acqua/ sono fiorite lungo quella costa,/ questa mattina/ guardando uno stagno/ serenità non chiude la porta.


Ed. Longanesi, pagg. 311, Euro 16,80


Recensione a cura di Marilia Piccone

Marzo 2021

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