"Apeirogon", di Colum McCann

Un libro poliedrico, ricolmo di storie, sentimenti e con sfaccettature inaspettate. Marilia Piccone ci accompagna con la sua recensione all'interno del romanza di Mc Cann, dove i protagonisti sono due padri, di fazioni opposte, ma inscindibilmente uniti dal dolore per la perdita delle figlie. Questo libro è però molto di più, un viaggio all'interno di aneddoti, storia ed emozioni.. provare per credere.

"Apeirogon", di Colum McCann
Copertina del libro Apergon di Colum McCann


Apeirogon: un poligono con un numero infinitamente numerabile di lati.


È questo il titolo del nuovo romanzo di Colum McCann, un libro che presenta un numero infinitamente numerabile di una realtà così vasta e dai tanti molteplici aspetti come è quella del conflitto tra israeliani e palestinesi. Un libro in cui ci si perde se non si tengono sempre in vista i due tragici avvenimenti principali, la morte di due bambine.

Nel 1997 Smadar Elhanan è stata vittima di un attacco suicida da parte di un attentatore palestinese a Gerusalemme. Aveva 14 anni.

Nel 2007 Abir Aramin fu uccisa da un proiettile di gomma di fabbricazione americana sparato da un soldato diciottenne. Abir, nata nello stesso anno in cui Smadar era morta, era uscita in anticipo da scuola, aveva appena comperato un braccialetto di caramelle.

Smadar, un nome che deriva dal Cantico dei Cantici e che vuol dire ‘il grappolo della vigna’.

Abir, dall’arabo antico. Significa ‘la fragranza del fiore’.


Due vite troncate sul nascere, due famiglie in lutto, due padri, l’israeliano Rami e il palestinese Bassam che si incontrano in una riunione di Parents Circle, un’organizzazione di sostegno per i genitori che hanno perso dei figli in un conflitto senza fine. Ne nasce un’amicizia, fonderanno insieme il movimento Combattenti per la Pace, porteranno in giro per il mondo la loro testimonianza, la storia delle loro vite, rinnoveranno il loro dolore sempre uguale davanti ad un pubblico sempre diverso. E però Smadar ed Abir vivranno per sempre finché ci si ricorderà di loro.


Lo stile adottato da Colum McCann non è facile, ci si deve abituare alla frammentarietà, ai capitoli che si susseguono con una numerazione che arriva a 500 e poi inizia a decrescere, alludendo ad uno dei leit motiv del libro, dividi la morte per la vita e avrai un cerchio, alcuni capitoli lunghi solo una riga, altri parecchie pagine, un paio del tutto bianchi (come già faceva Laurence Sterne), con gli argomenti più vari che si possano immaginare in questo poligono dai lati infinitamente numerabili. Lo studio del volo degli uccelli e l’esibizione funambolica di Philippe Petit nel 1987 (ha camminato su un filo teso verso la pace attraverso la valle dell’Hebron), la lettera di Einstein a Freud in cui chiedeva se era possibile rendere l’umanità immune alle psicosi dell’odio e della distruzione, la vicenda di Bassam in prigione per sette anni per aver lanciato delle pietre e poi Bassam con una borsa di studio in Inghilterra, il padre di Rami sopravvissuto ad Auschwitz, la villa palladiana di Munib al-Masri, l’uomo più ricco della Palestina, il campo di Theresienstadt ripulito e abbellito per l’ispezione della Croce Rossa, il Requiem suonato in quella occasione da Schachter che poi era immediatamente finito gassato ad Auschwitz, i rotoli del Mar Morto, “Le mille e una notte” e l’opera d’arte dell’artista palestinese esibita a Sydney, e altro e altro ancora.

Per ritornare alle due bambine, descrivendo più volte quello che era successo, l’ambulanza con Abir ferma al checkpoint, la ricerca di Smadar che non era rientrata a casa, sperando al di là di ogni speranza, per trovarla nell’obitorio.

Due i momenti di epifania dopo di cui Bassam e Rami indirizzano il loro odio in un’altra direzione, cercando la via della pace: quando Bassam vede i filmati dei campi di sterminio e quando Rami vede la donna palestinese con la fotografia della figlia sul cuore. E innumerevoli refrain, la sola cosa interessante è vivere (sono parole di Mitterrand), la sola vendetta è fare la pace, non finirà finché non parliamo, non fate cadere dalla mia mano il ramo di ulivo (dal discorso di Arafat scritto per lui dal poeta Mahmoud Darwish).


“Apeirogon” è un libro importante, un bel libro anche se non è uno di quei libri che si fanno amare. È un libro che non offre soluzioni, che prospetta la necessità innegabile di una pace, ma è sufficiente? Non siamo certi che non poggi su un certo buonismo, su una facile presa di coscienza che siamo tutti esseri umani - sentiamo echi di Primo Levi nel condannare la forzata disumanizzazione e di Shakespeare, quando Bassam si appropria delle parole di Shylock, Non ho l’aspetto di un essere umano? Non sanguino come un essere umano? Sono considerazioni sufficienti?

Ed. Feltrinelli, trad. Marinella Magrì, pp. 518 (Euro 22,00).

Recensione a cura di Marilia Piccone

Giugno 2021

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