Quello che hai amato: la sfida di undici donne
L'incontro in Delfini con le scrittrici Carolina Crespi e Giuliana Altamura.
“Quello che hai amato” non è solo la raccolta di undici racconti, di undici storie vere.
È un coro di voci appartenenti a donne diverse per stile, origine, passato e carriera. Alcune di loro sono giovani esordienti, altre hanno già pubblicato più di un libro. Alcune sono avvezze al racconto breve, altre hanno dovuto accettare la sfida e ridimensionare una scrittura da romanzo allo spazio minore che questo genere concede.
È un coro fatto di soprani, contralti e mezzosoprani che però convogliano in un’unica e potente, forse proprio grazie a queste diversità, richiesta di ascolto editoriale che si insinua in un panorama italiano che bistratta i racconti e ancor più il genere non-fiction.
Carolina Crespi e Giuliana Altamura sono la perfetta rappresentazione di tutto questo. Basta guardarle, l’una accanto all’altra, sulle poltrone rosse della Zona Holden alla Biblioteca Delfini.
Carolina col suo vestito a fiori, i capelli biondi e sottili raccolti in un molle chignon. Gli occhiali grandi e il viso acqua e sapone. Al suo fianco, Giuliana, con i capelli scuri sciolti sulle spalle e un vestito nero come il trucco che le colora le palpebre. Così diverse, eppure così simili quando parlano della scrittura, del significato che ha per loro.
“Quello che hai amato”, come spiega Giuliana, è un’antologia varia, non scontata e non femminile nel senso dispregiativo: non parla di uomini, sebbene il titolo possa essere fuorviante. Non c’è spazio per l’amore romantico nel senso tradizionale in questa raccolta. «Sarebbe stato facile scrivere di ex. E invece no. Non ci sono uomini, se non in un racconto, quello di Flavia Gasperetti, ma anche lì è metaforico: non è detto che parli del rapporto con un uomo piuttosto che con un’altra parte di se stessa».
È un unico fiume, ingrossato dai suoi piccoli e laboriosi affluenti, che narrano di amori per un luogo, un oggetto, un numero o semplicemente per un film, che può diventare il simbolo di una relazione, di un amore filiale, ma che, infine, riconduce sempre all’autrice.
La soggettività forte di queste scrittrici, come ha sottolineato nella prefazione la stessa Bellocchio, curatrice della raccolta, emerge e fa da padrona. «Se esiste un collegamento tra queste scrittrici italiane”» chiarisce «è il forte senso dell’identità individuale: la maniera in cui sta sempre cambiando, unita alla consapevolezza che alcune parti di noi, nel bene e nel male, sono destinate a farci compagnia per molto tempo».
Gli uomini, se ci sono, giocano un ruolo di secondo piano, fanno la comparsa su una scena dominata da donne che con questi racconti hanno esorcizzato le loro paure, indagato il proprio passato e, forse, risolto alcune questioni lasciate per troppo tempo in sospeso. «Una mancanza» spiega Carolina «è un motore per le storie. Quando c’è una mancanza, la storia va a cercarla».
Se c’è una cosa che più le accomuna, come ricorda l’Altamura, è contenuta, e involontariamente teorizzata, nel racconto di Violetta Bellocchio, che chiude la raccolta. È quella forza che le spinge a scrivere e al tempo stesso le frena. Che le ha portate ad accettare la vera sfida di “Quello che hai amato”: raccontarsi senza filtri, senza costruzioni, senza personaggi di facciata che contengono pezzetti della loro creatrice. Quel coraggio e quella paura che convivono, che le tengono vive e le rendono tutte scrittrici, un’unica voce di questo bellissimo lavoro corale.
La Bellocchio, racconta Giuliana, «parla della paura che le entri qualcuno in casa. In realtà, raccontare questa paura che altri entrino in casa sua è un po’ un modo per esorcizzare la paura che altri leggano quello che lei ha scritto, la sua interiorità. Mi ha colpita, perché ha descritto, senza volerlo, quello che io stavo provando, scrivendo il mio racconto».
Precisamente, l’Altamura si riferisce al finale del racconto: «Scrivere di te stessa ti rende libera, ma ti porta una certa perdita di umanità. Perdi qualcosa nel renderti, in apparenza, conoscibile. E nello stesso tempo, ti succede qualcosa. Riesci a sentire, un tratto alla volta, l’ottanta per centro di te che diventa altro. È così che ho vinto su di me, alla fine. È per questo che sorrido».
La raccolta è stata per le autrici, come suggerisce già il titolo, un lavoro sul proprio passato. «In qualche modo ci ha chiamate a fare i conti con noi stesse, col nostro passato e personalmente non è stato facile» ammette Giuliana Altamura «anche perché non avevo mai scritto non-fiction». Le idee per i racconti sono state scelte di pancia, senza doverci pensare troppo. «Il fantasma di questa ragazza» rivela Giuliana parlando della Sonia del suo racconto «mi perseguitava da tanto tempo. C’è qualcosa di lei in un mio personaggio di “Corpi di gloria”. Finivo sempre per mettere qualcosa del nostro rapporto in altre cose che scrivevo. Allora ho detto: “Facciamola finita”. Soltanto scrivendo ho capito effettivamente l’importanza che aveva avuto il mio confronto con lei. Vivendolo, non gli avevo dato tutto questo peso. É servito. Violetta ci ha fatto fare un po’ di psicanalisi».
Ognuna ha scritto secondo il proprio stile, senza adattarlo, senza forzarlo, nonostante i limiti imposti dall’unico genere. Giuliana, che per anni ha studiato violino, si fa guidare dalla musica: «l’orecchio musicale ti aiuta anche quando scrivi: è questione di ritmo, di assonanze». Carolina cerca, invece, nelle scene quotidiane, che esulano dal suo lavoro, quella realtà da rendere protagonista dei suoi racconti.
“Quello che hai amato” è un lavoro collettivo che però ha rispettato il caratterizzante momento solitario della scrittura. «Nessuna sapeva chi fossero le altre» racconta Giuliana, ma questo, come sottolinea anche Carolina, non toglie coralità all’antologia, anzi, la esalta e la rende originale nella sua formazione
“Quello che hai amato” rappresenta un salto al buio anche per il genere così complesso da individuare. E, si sa, quel che è difficile da capire è anche difficilmente accettato e quindi venduto.
«In libreria questo libro si trova davvero in spazi diversi» fa notare Carolina «lo trovi accanto a della roba che è femminista per stereotipo, in autogrill lo trovi tra i rosa, una volta l’ho trovato tra le raccolte di racconti».
Quante sono le case editrici disposte a rischiare? La UTET ha dato fiducia alla Bellocchio, che già da tre anni cura un sito di racconti tutto al femminile.
“Quello che hai amato”, spiega Carolina, «è sicuramente qualcosa che Violetta ha scelto di curare dopo aver letto per anni i pezzi su Abbiamo le prove, però, quando mi ha chiamata, mi ha detto che avrebbe confermato il titolo, perché non ne era certa, e che voleva un racconto nuovo e che fosse di una lunghezza diversa rispetto a quelli per il web. Che il tema sarebbe stato qualcosa che avevo amato o una mancanza. Ci ha lasciate completamente libere». La novità, tuttavia, è stata soprattutto un’altra. «Per la prima volta a me è capitata la possibilità di scrivere un racconto con già un budget, che era di 200 euro. In narrativa di racconti è molto raro che venga offerto un budget prima che il racconto sia sviluppato. […] In America lo fanno da più tempo ma è raro che si faccia in Italia».
«É stato un po’ un rischio di Violetta» riconosce Giuliana Altamura, riferendosi alla curatrice, «è lei che ha scelto le dieci autrici, tutte donne come per “Abbiamo le prove”, tutte sotto i quaranta. Ci sono persone come Nadia Terranova che hanno pubblicato di più, io che ho pubblicato un solo romanzo, quindi un’esordiente, ci sono esordienti assolute tra cui Serena Braida: questa è la sua prima pubblicazione. È un rischio che si è presa Violetta sul proprio gusto personale, scegliendo delle autrici che per lei erano significative, originali, avevano una propria voce e qualcosa da dire. Siamo state molto onorate di essere scelte da Violetta, al di là del budget».
Questa raccolta nasce come “Abbiamo le prove” per raccogliere e ascoltare le voci di tante scrittrici, di giovani donne. Nasce rischiando di essere autoselettiva, poco inclusiva. Ma fregandosene. Ecco la bellezza di “Quello che hai amato”. Risponde ad un bisogno di ascoltare altre voci femminili, nonostante tutto e tutti. Supera quella diffidenza naturale che spesso esiste tra le scrittrici e partorisce un’antologia ricca, vera, appassionante e appassionata.
Carolina Crespi chiude il libro da cui ha letto uno stralcio, sistema gli occhiali sul viso e afferma che continuerà sulla sua strada: quella dei racconti. Un romanzo, è vero, c’è. Ma in bozza e forse, ammette, non avrà mai una vera conclusione, almeno non editoriale. Forse lo finirà per se stessa.
Giuliana Altamura, invece, il suo secondo romanzo, dopo “Corpi di Gloria”, lo ha appena ultimato. È sul suo computer, in attesa di intraprendere il percorso di pubblicazione. Lo leggeremo tra qualche mese o un anno, al massimo.
Si chiude con queste due giovani e coraggiose autrici la rassegna “Autori in zona” della Biblioteca Delfini, con l’augurio che torni ancora una volta con il successo che ha ottenuto per questi cinque incontri.
Articolo a cura di Angela Politi