Nativi digitali: educarsi al digitale

Vengono chiamati "nativi digitali", ma è giusto chiamarli così? Indaghiamo più a fondo il rapporto tra nuove generazioni e tecnologia, dando maggiore risalto alla competenza.

Nativi digitali: educarsi al digitale

Metti via quel cellulare!”. Se sei genitore ti sarà capitato di aver detto questa frase almeno una volta, nella speranza di convincere tuo figlio a separarsi da quel suo amico fidato, anche se piuttosto invadente, chiamato smartphone. Ma non sempre è facile, perché dentro a quel dispositivo c’è un mondo dove tutto è possibile. Chattare in qualsiasi momento con i propri amici, ascoltare la musica preferita, girare video e caricarli su YouTube, magari diventando famosi. Queste e tante altre attività vengono fatte da ragazzi (e bambini) con una apparente naturalezza che colpisce chi è più adulto. Per essere più precisi, si parla di “nativi digitali”, espressione coniata dallo scrittore Marc Prensky nel 2001, per indicare quelle generazioni nate dopo gli anni Novanta, capaci di usare in maniera intuitiva e immediata le tecnologie digitali. Per il nativo digitale non esiste alcun libretto di istruzioni per poter capire come funziona il proprio smartphone. Sembra che lo sappia usare da sempre. Perché? Si tratta di predisposizione naturale, di conoscenza innata? O esistono altri motivi?

Secondo Simone Ghiaroni, professore di Etnografia e di Antropologia culturale e sociale all’Università di Modena e Reggio Emilia, il concetto di “nativo digitale” è alquanto problematico. Infatti, durante il seminario di ricerca etno-antropologica tenutosi lo scorso 9 aprile presso il Dipartimento di Studi Linguistici e Culturali, il professore ha messo in luce le criticità di questo concetto, che si rivela essere ben poco fondato. Innanzitutto, si pone una differenza qualitativa tra il nativo digitale e il cosiddetto “immigrato digitale”, ovvero una persona che impara a utilizzare queste tecnologie in età già matura. Questo porta a credere che il nativo sia migliore grazie al suo talento naturale, mentre l'adulto non riuscirà mai a raggiungere lo stesso livello. Ma le cose stanno esattamente così? Non proprio.

L'adolescente di 14 anni sembra compiere magie con il proprio tablet o smartphone, ma forse ci sfugge il fatto che quel dispositivo viene usato quotidianamente già a partire dai 5 o 6 anni di vita. A tal proposito, un dato significativo è emerso durante il progetto “Internet Sicuro” promosso dal Comune di Modena con la collaborazione di Civibox. Il progetto ha sottoposto per tre anni consecutivi (dal 2015 al 2018) un questionario a oltre quattromila studenti di 9 scuole medie modenesi, per indagare il rapporto che i più giovani hanno con il mondo digital, e quasi la totalità dei ragazzi (93% negli anni 2015-2016 e 90% nel 2018) ha confermato di aver effettuato il primo accesso a Internet entro i 10 anni. Un primo contatto che avviene precocemente e che porta il bambino a spendere tempo online ogni giorno. Pensate che nel 2016 i bambini dai 4 ai 7 anni e i ragazzini dagli 8 ai 14 anni hanno speso dalle 2 alle 3 ore e mezza al giorno sul proprio dispositivo (Fonte: Sole 24 ore). È chiaro che con una quantità di tempo e di pratica così elevate il livello di bravura si alza notevolmente, facendo passare il nativo digitale come un vero e proprio genio informatico. Con la stessa dose di tempo, di attenzione e di voglia di applicarsi, anche l’adulto riuscirebbe ad avere uguale dimestichezza. Ciò significa che la bravura e la confidenza nell’utilizzare le tecnologie digitali non sono dovute a una dote innata, ma sono in realtà frutto di un processo di apprendimento.

Inoltre, se spostiamo l’attenzione sulla “competenza” si può notare come il discrimine tra nativo e immigrato digitale si annulli. Essere competenti non equivale alla spicciola gestione quotidiana, come ad esempio saper pubblicare un post o un tweet, bensì conoscere e usare le nuove tecnologie da un punto di vista tecnico e programmatico, con la consapevolezza di navigare in maniera sicura e sapendosi orientare nel cyberspazio. In questo senso, un bambino di 12 anni può risultare incompetente nell’approccio al digitale, viceversa un adulto di 50 può possedere un’alta competenza informatica. Ecco allora che la differenza tra nativo e immigrato digitale si dissolve. Per questi motivi, come ribadito da Ghiaroni: “Nessuno è nativo digitale”. Semmai è più giusto parlare di “alfabetizzato digitale”, una persona educata all’utilizzo del digitale e capace di instaurare con quest’ultimo un rapporto sano e consapevole, stando attento alle insidie e ai rischi della Rete, tra cui cyberbullismo e dipendenza da Internet.

Un aspetto, quello dell'ambivalenza di Internet, che ha colpito molto i ragazzi coinvolti nel progetto “Internet Sicuro”. Come non citare la frase di uno studente che, dopo l'incontro con Civibox sui rischi online, scrive: “Internet si può usare non solo in modo stupido ma anche usando l'intelligenza”; o un altro ancora: “Credo sia molto importante 'internet sicuro' perché mette al corrente i ragazzi dei lati sia negativi che positivi di internet. Sicuramente cambierò molte cose sui miei social dopo questa lezione. Grazie perché ora so cose che prima non sapevo.” Parole che mostrano la necessità di imparare a valutare situazioni, opportunità e contenuti offerti dalla Rete.

A questo punto, possiamo affermare che quando si parla di digitale non esistono differenze generazionali. Tutti viviamo in questo mondo iper-connesso e come tale è nostro dovere imparare a navigarci. In questo senso, sono fondamentali sia ricerche atte a comprendere più a fondo le modalità con cui i ragazzi interagiscono con le tecnologie digitali, sia campagne di informazione e di sensibilizzazione per educare i più piccoli a usare in modo consapevole e creativo la Rete.

Consulta la nostra rubrica Internet Sicuro, oltre alla sezione Giovani, Internet e Social Network per approfondire sul tema digitale.

A cura di Laura Guaitoli

Maggio 2019