I 200 ANNI DELL’INFINITO

Una delle poesie più celebri e più studiate della letteratura italiana "raccontata" da un giovane studente liceale in alternanza scuola-lavoro.

I 200 ANNI DELL’INFINITO

Come una nave nella tempesta, l’animo del poeta si perde, naufraga, nel dolce mare della navigazione, dell’immaginazione, con un completo distacco dal terreno il poeta sceglie di perdersi, per visitare, con la mente, l’infinitezza dell’essere. Proprio tra quest’anno e il prossimo si festeggia il bicentenario di una delle poesie più magnifiche e celebri della poetica italiana: l’Infinito, di Giacomo Leopardi, composta nel biennio 1818-1819, quando il poeta aveva appena ventun’anni.

Sempre caro mi fu quest'ermo colle,

E questa siepe, che da tanta parte

Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.

Ma sedendo e mirando, interminati

Spazi di là da quella, e sovrumani

Silenzi, e profondissima quiete

Io nel pensier mi fingo; ove per poco

Il cor non si spaura. E come il vento

Odo stormir tra queste piante, io quello

Infinito silenzio a questa voce

Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,

E le morte stagioni, e la presente

E viva, e il suon di lei. Così tra questa

Immensità s'annega il pensier mio:

E il naufragar m'è dolce in questo mare.

L’Infinito, un idillio in endecasillabi sciolti, parte da una percezione sensoriale, elemento in linea con il pensiero sensista settecentesco, per poi sfociare in una riflessione filosofica dell’io. Leopardi, guardando la siepe di casa sua, osservando dunque un limite, si spinge con la mente a pensare a cosa ci sia oltre quella siepe, oltre quel limite che sembra invalicabile, e immagina i sovrumani silenzi e la profondissima quiete che avvolge quegli interminati spazi che si trovano oltre quella. E così facendo e immaginando, il poeta riesce a trarre piacere. Nella tristezza e la ripetitività dell’ambiente familiare, il poeta comprende, scopre cosa siano il nulla e la noia, ma anche il bisogno di trovare il piacere e l’infinito. Scena che nasce dalla realtà, ma ha pieno svolgimento solo all’interno dell’io.

Ma per comprendere appieno il significato di questo idillio, è necessario conoscere il contesto di vita quotidiana di Leopardi fino a quel momento, oltre che alla sua posizione intellettuale e filosofica.

Recanati, è il 29 giugno 1798 quando viene al mondo una delle più brillanti menti della poesia italiana: Giacomo Leopardi. Egli già a dieci anni è capace di scrivere composizioni in latino, oltre che in italiano, nonché brevi trattazioni filosofiche. Ma è intorno al 1816, dopo sette anni di studio matto e disperatissimo, che si colloca il passaggio fondamentale della vita poetica del giovane Leopardi: la sua conversione letteraria, ovvero quando inizia a prendere consapevolezza dei valori artistici e inizia a comporre i primi testi poetici di rilievo. L’amicizia epistolare, iniziata in quegli anni, con l’intellettuale Pietro Giordani e la comprensione ricevuta dall’illustre corrispondente rafforzano il desiderio di affermazione individuale già fortissimo in Giacomo e favoriscono la rottura con le posizioni cattoliche e reazionarie della famiglia e del padre. Ma tra il 1819 e il 1822 avviene il secondo momento fondamentale di transizione della vita di Leopardi: la conversione filosofica, ovvero l’adesione a una concezione materialistica e atea, con il totale rifiuto del cattolicesimo. Ed è proprio in questa prima, combattuta, fase della vita di Giacomo che si colloca l’Infinito.

Leopardi sostiene che la poesia abbia la funzione di ristabilire, sul piano dell’immaginazione, quel rapporto primitivo e sentimentale con la natura che la civiltà e la ragione vanno distruggendo sul piano dell’intelletto. Il rifiuto del romanticismo riguarda innanzitutto il rapporto tra poesia e sensi: i romantici recidono quel legame tra poesia e natura a vantaggio di una ricerca più metafisica e spirituale. Paradossalmente, pur definendosi un classicista, Leopardi va percepito come un intellettuale a metà strada tra classicismo e romanticismo, in quanto alcuni aspetti della sua poetica ricordano il pensiero tipicamente romantico. Leopardi propone dunque una poesia capace di servirsi innanzitutto dei sensi e l’esempio più lampante di questa sua teoria è proprio l’Infinito.

In questa poesia, il paesaggio noto e caro è un’occasione sia per esprimere un soggetto lirico per nulla banale, quanto per la sua riflessione esistenziale: per questo è un idillio, dove le tematiche politiche e storiche cedono il posto a riflessioni private e dove il linguaggio complesso e ricco di latinismi viene abbandonato a favore di un tono più moderno e colloquiale. Il lessico di questa poesia si presenta, infatti, come una riflessione sul linguaggio poetico, in particolare vediamo confermata la scelta di Leopardi di preferire le parole indefinite e vaghe, che stimolano i piaceri dell’immaginazione, rispetto ad un lessico più preciso e meno poetico.

Testo a cura di Federico Carrera

Studente Liceo Classico Muratori-San Carlo

Alternanza Scuola-Lavoro

presso l’Ufficio Politiche giovanili

del Comune di Modena