Crisi ambientale: la Terra è un pianeta a rischio.

Daniela Mariotti affronta un tema sempre più attuale: la crisi ambientale del nostro pianeta. Numerose possono essere le conseguenze ed è necessario intervenire in maniera celere.

Crisi ambientale: la Terra è un pianeta a rischio.

La gente, la maggior parte della gente,  preferisce non sapere le cose che fanno male. E’ così per le malattie. Tante volte stiamo male, abbiamo il dubbio di avere una malattia, ma non vogliamo andare dal medico per verificare il nostro stato di salute. Ci sono persone che prolungano il momento della verità del proprio star male, che intuisce ma che non vuole portare alla coscienza,  fin quando non è più possibile rinviarlo.  Di solito non è una buona condotta. Il più delle volte, se la malattia è grave, quando si arriva tardi non c’è più rimedio. Se pensiamo allo stato di salute del nostro pianeta, la situazione potrebbe presentarsi con una fin troppo facile similitudine. In questo caso il paradigma della “fine del mondo” prossima futura è sempre lì, sul punto di “venire alla luce” rispetto all’attuale stato di grave degenerazione dell’Ambiente  per la vita di uomini, piante e animali. Del resto siamo nella vita insieme ad altri 7 e più miliardi di esseri umani e  da sempre sappiamo che su di noi incombe un  improbabile più o meno lontano ma spaventoso pericolo: la fine del mondo.

Quando ero bambina passavo intere serate con mio padre, sotto le coperte  prima di addormentarmi … a discutere della possibile “fine del mondo”, che immaginavo come una specie di diluvio universale, di cui ci avevano parlato le suore al catechismo, senza poter salire sull’arca salvifica di Noè per cui saremmo tutti annegati sotto un mare crescente. Ogni volta instancabilmente gli proponevo le stesse domande, alle quali per maggiore sicurezza  mi davo io stessa le risposte: ma quando verrà la fine del mondo? Io allora avrò mille anni e a quel punto non mi dispiacerà più così tanto morire…

Sergio Todesco in questi giorni (11 Maggio “Lettera emme”) ha scritto un articolo molto interessante a proposito del rapporto che hanno le civiltà con la fine del mondo. Fin dall’Antichità gli uomini hanno temuto la fine del mondo: i Romani nel momento della caduta del loro Impero. Poi in attesa dell’Anno Mille in pieno Medio Evo la paura della fine del mondo si ripresentò sottesa al desiderio di purificazione morale collettiva e di rinascita religiosa degli uomini. Molti di noi – secondo Todesco - ricorderanno in prossimità del Duemila il rischio del Millenium Bug, la distruzione di ogni sistema operativo e la conseguente scomparsa della società della comunicazione, cioè dell’intera nostra civiltà.  Agli albori del terzo millennio, la fine del mondo è ancora purtroppo di estrema attualità: nonostante la fine della guerra fredda, non si tacciono i rumores per l’incombere  della  solita spaventosa guerra nucleare.  I governanti più potenti del  pianeta del resto non sembrano troppo preoccupati sulle scelte che dovrebbero fare per allontanare tale rischio di estinzione. “Personcine come Donald Trump, Kim Jong-il, Vladimir Putin (tutti signori che starebbero benissimo sul lettino di uno psicanalista a farsi analizzare le loro pericolose nevrosi…. n.d.r.) e tiranni vari sparsi per il mondo, stati canaglia e multinazionali delle armi formano nel loro complesso un pericoloso sodalizio che lavora alacremente per sortire, prima o poi, ad una catastrofe di questa portata”.

Ma volendo scongiurare per ora un esisto così nefasto, rimane il fatto, molto concreto,  che il nostro mondo potrebbe finire invece a causa  del collasso definitivo della biosfera, cioè dell’insieme di quelle parti della Terra in cui le condizioni ambientali permettono lo sviluppo della vita.
A cosa ci porti questo collasso… lo sappiamo tutti: Todesco propone un elenco che ben conosciamo “Allargamento del buco dell’ozono nella stratosfera  con conseguente effetto serra, innalzamento della temperatura,   scioglimento dei ghiacciai,  aumento dei livelli di mari e oceani, e poi estinzione di insetti come le api indispensabili per la vita delle piante, e  pandemie,  desertificazione di vastissime zone del pianeta e  conseguente mancanza di acqua,  distruzione di polmoni verdi come l’Amazzonia etc.etc. etc.”
Abbiamo una miriade di numeri, tabelle, documenti.
Nessuno, a parte l’onnipotente presidente degli Usa e pochi altri, potrebbe ancora sostenere che l’apocalisse climatica è una fake-new messa in piedi dai soliti comunisti ambientalisti per impedire lo sviluppo industriale delle multinazionali, che hanno portato benessere e lavoro nei paese poveri o in via di sviluppo.

Nel Novembre 2017 durante i negoziati della 23^ Conferenza delle Parti a Bonn delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, 1500  scienziati della UCS  (Union of Concerned Scientists) provenienti da 184 Paesi di cui 280 italiani, che comprendono la maggioranza dei Nobel ancora in vita, ci hanno avvertiti: siamo prossimi a compiere un "danno irreversibile" al pianeta Terra, siamo a un passo da raggiungere i limiti di tollerabilità della biosfera. "Occorre un drastico cambiamento nella gestione delle risorse terrestri" per evitare il tracollo del sistema Terra, essere umano incluso. Mai così tanti esperti riuniti in un solo documento scientifico  avevano  pubblicato un secondo avvertimento, giacché lo stesso messaggio era stato pubblicato e firmato da 1400 scienziati dalla stessa UCS  a chiare lettere  25 anni prima nel 1992 nella 23^ Conferenza per il clima a Rio de Janerio.

Sulla dimostrazione della crisi del pianeta non è il caso di insistere, perché tutti noi siamo super informati ogni giorno dai media e comunque impiegare energie per dire che fra pochissimi decenni, forse solo anni, moriremo tutti per eventi catastrofici globali,  non sarebbe un buon punto di partenza. E’ scientificamente dimostrato che i fatti anche quelli più evidenti ed eclatanti non  cambiano l’opinione della gente.
Dicono i bene informati che se vuoi cambiare il comportamento delle persone  puoi fare tre cose: proibire, obbligare o convincere. Le prime due strategie  potrebbero funzionare per avere una base di riferimento giuridico. Una società moderna si muove dentro le mura dello stato di diritto. Avere buone leggi  e applicarle è essenziale; ma senza una opinione pubblica che ha maturato idee e comportamenti nuovi, in questo caso rivoluzionari, le leggi non possono bastare;  per cui di solito in questi casi molto più efficace è il convincimento. E’ necessario creare una community in grado di sostenere quella che si annuncia una svolta epocale.  
Qualche cosa si sta muovendo.

Stay tuned! Leggi la seconda parte dell'articolo, si parlerà del grande contributo di Greta Thunberg, leader del movimento "Fridays for future".


A cura di

Daniela Mariotti,

giugno 2019.