«Chi dice a un ragazzo che su internet perde tempo» scherza Lancini «ne risponderà davanti a Dio e davanti agli uomini». Uso problematico di internet: come, quando, davvero?

Intervento di Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, al primo incontro dell'iniziativa "Crescere online".

«Chi dice a un ragazzo che su internet perde tempo» scherza Lancini «ne risponderà davanti a Dio e davanti agli uomini». Uso problematico di internet: come, quando, davvero?

Si parla tanto di adolescenti dipendenti da internet, ma è tutto vero? Sono molti i fattori da considerare, come spiega Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta ospite al primo degli appuntamenti dell’iniziativa “Crescere online”. Bisogna comprendere quali condizioni hanno generato e permesso questa situazione di full immersion nella tecnologia e accettare che a capo di queste condizioni c’è un profondo cambiamento della società, dei sistemi educativi e familiari di cui i genitori, che tanto sono allarmati e si lamentano della situazione, sono i primi fautori.

Innanzitutto, precisa Lancini, bisogna comprendere quali caratteristiche trasformano una dipendenza in disturbo comportamentale. Il tempo trascorso su internet, da sempre considerato fattore centrale,  non è poi così determinante, in fondo, se la studentessa che dichiara di passare molto tempo sui social è la stessa che ottiene eccellenti risultati scolastici e ha un’intensa vita sociale. L’errore è quello di applicare all’analisi di fenomeni che riguardano adolescenti e pre-adolescenti misure e modelli di relazione che rimandano ad una diversa generazione e, quindi, a un differente modo di relazionarsi. «Troppo spesso sento paragonare comportamenti di tutte le fasce d’età» lamenta Lancini. La verità è che «dire che gli adolescenti sono i soggetti più a rischio è un’affermazione che può essere messa in discussione. Chi ha detto che avere una second life da adolescenti è più rischioso che averla a quarant’anni?». Anzi, la differenza è sostanziale, come spiega subito dopo Lancini. Per gli adolescenti la vita virtuale è uno spazio, come un tempo lo erano il cortile o la piazza, di sperimentazione di se stessi in una fase importante di formazione della propria personalità e individualità. A differenza di molti adulti, i nativi digitali sanno benissimo che la vita reale e la vita virtuale sono due vicende diverse, sebbene si intreccino.

Agli adulti che accusano gli adolescenti di dipendenza da internet, da smartphone e tablet, come fosse un problema esclusivo di quell’età e non di una concezione narcisistica della società attuale, Lancini fa notare: «Stiamo attenti, perché sento parlare di ragazzi virtuali che non fanno altro che scattare selfie, ma quando sono stato al Battistero di Firenze sono rimasto meravigliato perché non c’era nessuno che guardava il Battistero, erano tutti a scattare foto. Ed erano tutti adulti, gli adolescenti a quell’ora erano a scuola».

Specificata questa necessità evidente di abbandonare l’occhio dall’alto generazionale, che potrebbe distorcere una realtà non esclusiva e problematica per esteso, Lancini non nega una forte tecnologizzazione della relazione, ma ne cerca anche i motivi profondi.

Come sono arrivati gli adolescenti a questo attaccamento ai propri smartphone? Ai vari Facebook e Instagram che producono e facilitano una relazione H24? I forum che affrontano l’argomento sono pieni di genitori preoccupati che i propri figli preferiscano chattare e inviare file audio su Whatsapp piuttosto che andare in un bar a bere qualcosa insieme ai coetanei, ma chi ha messo loro in mano il primo cellulare all’età di 8-12 anni? La situazione attuale affonda le radici in un cambiamento culturale che non riguarda solo gli adolescenti e il loro nuovo modo di essere tali, ma anche i nuovi genitori e il nuovo modello familiare che ha messo, fortunatamente, in cantina il padre-padrone e il sistema del senso di colpa, per dare spazio alla «famiglia affettiva» che punta al dialogo, al legame empatico, ma che deve conciliare tutto ciò con la naturale propensione alla protezione e al controllo di un genitore verso il proprio figlio. Senza generare quella dicotomia per cui regaliamo uno smartphone per sapere dove sono questi adolescenti in ogni momento della giornata, ma ci arrabbiamo se non lo spengono nemmeno a scuola o quando sono a tavola.

Si è passati, come spiega Lancini citando il titolo di un capitolo del suo libro, «dal padre simbolico alla madre virtuale» che, pur dovendo star fisicamente lontana per esigenze di lavoro, è mentalmente molto più vicina rispetto alle madri di due generazioni prima, o almeno aspira ad esserlo, e organizza un sistema di gestione del bambino che parte dal nido fino al liceo e che si estende anche alle aree di socializzazione. I bambini sono più psicologizzati rispetto al passato e, soprattutto, sono spinti all’ipersocializzazione controllata. Questo implica diverse conseguenze.

La creazione di aspettative sociali e personali, che puntualmente vengono poi deluse, genera disagi che un tempo trovavano valvola di sfogo in problematiche come anoressia o bulimia e oggi trovano il proprio rifugio su internet. Lancini si riferisce nello specifico ai cosiddetti «ritirati sociali», circa 240.000 oggi in Italia: adolescenti che si ritirano dal mondo esterno, incapaci di soddisfare le aspettative che questi adulti super organizzati e questa società di ottimizzazione di tempi e potenziale ha nei loro confronti. Un problema che «potrebbe diventare quello che è stato per le femmine il disturbo alimentare». Non è internet a catturarli e portarli via dalla società, ma la loro fuga dal disagio li porta a trovare in internet uno spazio sicuro.

Questo disagio così acuito proprio per quella voce insistente che sentono fin da bambini per cui non bisogna mai stare soli e bisogna avere tanti amici, che ha intensificato a dismisura il potere orientativo dei coetanei.

Lancini pone, inoltre, una domanda provocatoria: «Possiamo farci allarmare moltissimo dai dati visti questa mattina» premette, riferendosi alle ricerche presentate dal CEIS e dal Centro studi e documentazione sulla condizione giovanile di Modena, «ma siamo disposti a riconsegnare il corpo e la socializzazione fuori dal controllo degli adulti alle nuove generazioni?».

Perché il punto è proprio questo: internet ha consegnato agli adolescenti gli spazi di cui erano stati privati dagli adulti. Quegli spazi di socializzazione fuori dai monitor dei grandi come cortili e piazze che in una nuova percezione del mondo esterno, e soprattutto delle metropoli, sono stati considerati inaccettabili e pericolosi, sebbene Lancini giustamente faccia notare: «sono aumentate le denunce o sono aumentati i reati?». Se all’adolescente e al  bambino non viene più consentito tornare da scuola a casa da solo con i propri compagni, su quella strada che certo non era priva di pericoli ma dove l’attenzione ad essi (che potevano essere i bulli o la «famosa caramella drogata») faceva parte del processo di formazione, da qualche parte deve pur trovare uno spazio di sperimentazione dove gli adulti non si possono inserire. Internet non è nato per questo ma ha comunque saputo dare un’eccellente risposta, un’alternativa a questa nuova esigenza.

La «prima generazione che cresce senza ginocchia sbucciate» spiega Lancini, citando una definizione di Silvia Vegetti Finzi, cerca nuovi spazi per socializzare e per mentalizzare il proprio corpo. I social e internet diventano la virtualizzazione dei primi, i videogiochi, evidentemente, lo spazio per i secondi. «Le piazze e le battaglie virtuali hanno sostituito quello che una volta accadeva in strada».

Questo spiega anche i dati emersi da ricerche come quella condotta dal Centro studi, secondo cui l’utilizzo di Facebook tra i ragazzi è in netto calo: semplicemente abbandonano un altro luogo che lentamente è stato colonizzato dagli adulti.

È necessario comprendere tutte queste nuove esigenze e i motivi per cui sono sorte, se non si vuole rischiare di porre le domande sbagliate, di estremizzare problematiche o imporre soluzioni poco efficaci. Non è obbligando un ragazzo a consegnare il proprio smartphone che si otterrà un suo maggiore impegno nello studio. Non quando, guardandosi attorno, vede la madre che consulta giallo zafferano invece dei polverosi ricettari e il padre incapace di guidare senza il GPS, come ironizza Lancini. Immersi in un mondo di adulti collegati si chiederanno perché il fatto che lo siano anche loro costituisca un problema, tenendo conto che proprio dai genitori apprensivi hanno ricevuto il primo cellulare e quella spinta all’ipersocializzazione.

Più che tentare di assumere il controllo, sottolinea Lancini, è «necessario governare il cambiamento». Anche perché, continua, «non sono d’accordo con chi ha una visione catastrofica di questi ragazzi» che tramite internet hanno saputo realizzare cose meravigliose: «chi dice a un ragazzo che su internet perde tempo» scherza Lancini «ne risponderà davanti a Dio e davanti agli uomini».

Senza volerlo abbiamo consegnato loro doti come quella del multitasking, ma, al tempo stesso, anche delle nuove fragilità. Li abbiamo spinti alla relazione fin dal nido. Gli abbiamo spiegato che essere vicini col cuore e con la mente è estremamente importante, scottati da quella relazione figlio-genitore basata sulla colpa e sulla devozione. Adesso non possiamo meravigliarci di avere questi adolescenti «estremamente sensibili alla relazione. C’è un espertizing della relazione dei ragazzi che ti seguono anche se hanno 100 cellulari».

«Quando mi parlano di una generazione incapace di entrare in relazione con gli altri, mi chiedo se li vedono», conclude Lancini. Al massimo, il problema è un’eccessiva dipendenza dalla relazione, anche nei confronti dei genitori. «Non hanno un conflitto, non sono arrabbiati. Alcuni sociologi sono stupiti. Secondo loro, tutti gli adolescenti dovrebbero essere qua a farci un mazzo così. Altro che ’68. Ci sarebbero molti motivi per cui dovrebbero dire “levatevi di torno perché ve ne fregate del nostro futuro” e, invece, grazie a questo modello relazionale sono un po’ più fragili loro, hanno un disturbo alimentare, si ritirano socialmente, ma non vanno nelle piazze a spaccare la testa agli adulti che non si preoccupano del loro futuro. Proprio perché credono che la relazione sia molto importante».

Si è passati dal padre-padrone al padre della Peppa Pig, spiega Lancini, incapace di mettere un chiodo al muro, con scarso senso dell’orientamento e di cui i figli si dimenticano durante le gite fuori porta. È sullo spazio tra queste due sponde che si deve lavorare per cercare una mediazione, provando a capire come internet e gli spazi virtuali si siano inseriti in questa dilatazione.

A internet non vogliono rinunciare gli adolescenti e tanto meno gli adulti che dovranno invece ammettere le loro forme di dipendenza da questo canale e capire quanto la dipendenza, nei termini patologici o meno, sia un problema per le relazioni. E, soprattutto, delle relazioni con chi? Con i genitori che proprio con quella tecnologia possono rintracciarli fino in capo al mondo? Il problema esiste, è indubbio. Ma non va comunque estremizzato da quella generazione delle lettere scritte a mano e delle schede telefoniche, che si guarda attorno spaesata, piombata nel giro di qualche decennio in un mondo fatto non più di carta ma di pixel e in cui gli adolescenti hanno saputo trovare un modo per trasferire i propri spazi indipendenti di relazione.

Articolo a cura di Angela Politi

Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, è anche Presidente della Fondazione "Minotauro" di Milano,  dell'AGIPPsA (Associazione Gruppi Italiani di Psicoterapia Psicoanalitica dell'Adolescenza) e docente presso il Dipartimento di Psicologia dell'Università di Milano-Bicocca nonché presso la Scuola di formazione in Psicoterapia dell'adolescente e del giovane adulto.