UNA LAMA DI LUCE, ANDREA CAMILLERI

Tre nuove indagini per l'inossidabile commissario Montalbano

UNA LAMA DI LUCE, ANDREA CAMILLERI

Non si può resistere alla tentazione di comprare un nuovo libro di Camilleri. E’ una specie di droga leggera di cui non si può fare a meno, pur sapendo che, forse perché siamo assuefatti, non ci soddisfarà del tutto. In “Una lama di luce” prosegue la strisciante stanchezza e l’invecchiamento di Salvo Montalbano- pare riflettere quelli dello stesso scrittore. La vita quotidiana, con presenze scomode, frequentazioni antipatiche e sorprese macabre, è talmente assillante che si affaccia anche nei sogni, così reali da sembrare veri. Quando poi diventano veri, la cosa si fa allarmante, è come avere un terzo occhio. Questa volta sono tre le trame delle indagini di Montalbano: la giovane moglie di un non più giovane gestore di un supermercato viene assalita e derubata di tutto l’incasso che avrebbe dovuto depositare in banca; in un casolare si ritrova un deposito d’armi destinate probabilmente all’estero e, infine, Montalbano sventa un commercio di preziosi quadri rubati.


E’ vero che la vita è ricca di eventi, tuttavia la mia impressione, quando ci sono troppi filoni in un romanzo di indagine poliziesca (e Vigata non è New York), è che questi siano necessari per rimpolpare la narrazione che risulterebbe altrimenti troppo esile. E i tre filoni di “Una lama di luce” sono piuttosto esili e scontati. E’ facile indovinare, almeno grossomodo, che cosa ci sia dietro la violenza alla bella ragazza di cui il marito è giustamente geloso e alle lungaggini delle trattative per l’acquisto di un quadro da parte della gallerista Marian.


Inaspettato invece il colpo di scena con sorpresa finale (un po’ forzata a dire il vero) del traffico di armi. E’ il dramma di questa conclusione che dà a Montalbano come un colpo di frusta per raddrizzare i suoi pensieri e i suoi sentimenti, perché, in qualche modo, riguarda da vicino lui e Livia.
Non è una novità che ci sia stanchezza nel rapporto troppo a lungo inconcludente e a lunga distanza tra Salvo e Livia. Sono anni che aspettiamo una rottura tra i due e in “Una lama di luce” parrebbe proprio che Livia non sopporti più quella lontananza che avverte non solo geograficamente.
Perché Salvo si è innamorato, si è infatuato, si è lasciato conquistare dalla bella Marian. Montalbano ha già avuto altre sbandate, però questa volta non riesce a distogliere il pensiero dalla donna- e lei, Marian, non glielo permetterebbe neppure.


Gli affezionati lettori di Camilleri hanno certamente osservato il cambiamento nei romanzi della serie: sempre più spazio viene concesso alle vicende personali di Montalbano e alle sue avventure o tentazioni d’amore, quasi si trattasse di un romanzo giallo-rosa (se l’autore fosse una donna, le critiche sarebbero pesanti).
In “Una lama di luce”, poi, la figura della seducente Marian non è descritta con finezza, è uno stereotipo di donna conquistatrice e l’innamoramento di Salvo ha qualcosa di patetico- sembrano gli ultimi guizzi prima che si spenga ogni passione. Pure la lingua è cambiata, rispetto ai primi libri in cui Camilleri ha creato il fantastico microcosmo di Vigata. Se prendiamo tra le mani “Il cane di terracotta”, per esempio, la differenza balza agli occhi: mentre “Una lama di luce” è scritto interamente in dialetto, ne “Il cane di terracotta” l’uso del dialetto è riservato ai dialoghi- e neppure a tutti. Camilleri è scivolato sempre più nell’uso del dialetto per motivi che possono essere varii e su cui non intendo fare supposizioni. Può piacere. Può infastidire.


Dopo aver dissacrato uno scrittore di culto, riconosco che Camilleri ci sa fare, sa intrattenere, sa farci divertire.

Andrea Camilleri, Una lama di luce, Ed. Sellerio, pagg. 260, Euro 14,00