ULTIMO INCONTRO A DRESDA, EDGARDO COZARINSKY

Una vita segreta, un passato impossibile da cancellare

ULTIMO INCONTRO A DRESDA, EDGARDO COZARINSKY

Nella parrocchia di Vienna dove è stata battezzata la donna appare con il nome di Therese Feldkirch. Tuttavia il suo passaporto dice che si chiama Taube Fischbein. Ma assomiglia, lei, alla donna della foto che c’è sul passaporto? Anche se ha tinto di un colore castano i capelli chiari, il suo volto è solo vagamente simile a quello della fotografia- si sa però che succede spesso così, che la persona che ci guarda da un passaporto ha poco in comune con quella vera, in carne e ossa.


Nel gennaio 1945 Taube Fischbein, alias Therese Feldkirch, è in fuga attraverso la Germania sull’orlo della disfatta. E’ diretta a Vienna, poi, chissà. Indossa un pastrano militare. E’ pesantissimo: nell’orlo la donna ha cucito venti chili di denti d’oro.
Oltre mezzo secolo dopo, quando ormai abbiamo letto tutto sugli orrori nei campi di concentramento nazisti, intuiamo facilmente la storia che la donna nasconde, anche se a grosse linee. Perché sappiamo delle montagne di capelli destinati alla fabbricazione di parrucche, della pelle delle vittime trasformata in paralumi, dei denti d’oro estratti ai cadaveri. Quindi la donna lavorava in un luogo di morte.


I dettagli vengono fuori a poco a poco, come se la donna fosse la prima a voler dimenticare. Therese aveva avuto sentore dell’avvicinarsi dell’armata rossa e si era premunita: non era stato difficile né sottrarre uno dei tanti passaporti con il timbro Jüdin che l’avrebbe trasformata da carnefice in vittima, né cucire i denti d’oro nel cappotto. A questo punto, nella sua fuga, Therese poteva scegliere chi voleva essere, a seconda della necessità- tedesca tra i soldati tedeschi, profuga e/o ebrea tra la gente comune.


La storia che Edgardo Cozarinsky ci racconta è una delle tante di male ordinario, perché Therese non ha avuto un ruolo attivo nel campo di concentramento, a lei toccava registrare arrivi e decessi. Therese non si era sporcata le mani, era una segretaria alla fin fine. Ancora più sconcertante è la connivenza con il male di coloro che la aiutano a fuggire in Argentina. Ancora una volta non ci stupiamo, sappiamo il ruolo della Chiesa e della Croce Rossa nell’aiutare i bravi cristiani incalzati da quei senza fede dei comunisti.


E così Therese/Taube arriva a Buenos Aires e si costruisce un’altra esistenza, avrà anche un figlio per sostituire la bambina che ha abbandonato presso una famiglia polacca. Che ironia del destino, avere un figlio con capelli e occhi neri, come quelli della gente che ha sempre disprezzato, al posto della sua bimba bionda con gli occhi azzurri. Anche se, in questa maniera, il piccolo Federico è il figlio perfetto per la Jüdin Taube Fischbein. E tuttavia ci si può rifugiare all’altro capo del mondo ma non si può sfuggire al proprio passato. E’ un’altra ironia del destino, che sia proprio il figlio Federico a riportare a galla quel passato, a fare domande curiose, a obbligarla a ricordare.


La fine del romanzo di Cozarinsky chiude il cerchio in una sorta di giustizia poetica: nella città di Dresda, ricostruita esattamente uguale a com’era prima del bombardamento a tappeto del febbraio 1945 (una sorte di punizione estrema per tutto il popolo tedesco), avrà luogo un incontro che riunisce le fila del tempo. Solo noi lettori ne comprendiamo il significato ed è come se, finalmente, si respirasse un’aria di pace in questo libro dai toni pacati e mai accusatori che esplora i segreti del concetto di identità e le mille maniere di mettere a tacere la coscienza.

Edgardo Cozarinsky, Ultimo incontro a Dresda, Ed. Guanda, trad. Silvia Sichel, pagg. 149, Euro 14,50