SERVE UNA CASA PER AMARE LA PIOGGIA, INGRID THOBOIS

Un romanzo che si addentra nelle profondità dell'inconscio, ricco di capovolgimenti e manipolazioni

SERVE UNA CASA PER AMARE LA PIOGGIA, INGRID THOBOIS

La follia segue percorsi diversi. C’è una follia che procede in linea retta, dritta e veloce verso il suo scopo (si conclude in genere, ahimé, in maniera drammatica). E c’è un’altra follia che si srotola per poi riavvolgersi su se stessa, in una sorta di spirale, che ha guizzi di sussulti improvvisi, che è imprevedibile- tranne che per il finale che- di nuovo- è, in genere, drammatico.

Il romanzo di Ingrid Thobois, “Serve una casa per amare la pioggia”, inizia con una donna, Norma-Jean, che incontra un detenuto nel parlatorio del carcere di Sollicciano, vicino ad Empoli. L’uomo si chiama Marco Conti, ha frequentato come uditore i corsi di filosofia tenuti da Norma-Jean a Parigi. Che crimine abbia commesso e perché la sua insegnante vada a trovarlo una volta alla settimana è la storia narrata nel libro, la storia di più di una follia amorosa raccontata da diversi punti di vista, tanto da chiederci, alla fine, chi sia il più normale, tra i personaggi.

Che sono il marito di Norma-Jean, psicanalista di professione, Norma-Jean che da giovanissima ha avuto una storia d’amore con un altro uomo, Marco Conti che è stato sposato con una donna di nome Flora. Anche il marito di Norma-Jean è già stato sposato prima di conoscere lei in veste di paziente, e sua moglie si chiamava Nora (lui confonde i nomi quando ne parla, non ricorda neppure con precisione da quanti anni sia sposato con la seconda moglie).

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Mi sono seduto su una panchina per aprire la scatola che mi avevano appena ridato. Conteneva due monete ormai fuori corso, una sigaretta a metà consumata, un pacchetto sul quale non era scritto che fumare uccide, un fazzoletto usato, e un po’ d’aria di Sollicciano, che era appena volata via.

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Una spirale di follia, ho detto all’inizio, e un romanzo che si svolge anch’esso in spirali che ci stritolano con i flash-back di un tempo solo in apparenza normale, con Marco e la moglie Flora che gli mente spudoratamente, Norma-Jean diciassettenne e il suo marinaio che la pianta quando lei è incinta, Marco che frequenta le lezioni universitarie, il marito di Norma-Jean che trova la casa deserta dopo un finesettimana in barca con l’amico e poi la decisione inaspettata di Norma-Jean di cambiare aria, di trasferirsi in Italia, a Empoli, di tutti i posti. Perché Empoli? Perché è meno costosa di Firenze, perché ha il fascino delle piccole città. La realtà segreta: perché è vicina al carcere di Sollicciano.

Ma il marito non sa nulla, se il trasferimento rende felice Norma-Jean, per lui va bene, lavorerà per meno giorni, andrà avanti e indietro senza quasi accorgersi che perde il contatto con entrambe le sue vite, quella di Parigi (non ascolta neppure più quello che i pazienti gli dicono) e quella di Empoli (al suo arrivo trova la moglie addormentata sul divano, non condividono neppure più lo stesso letto).

Sembra che tutti amino qualcuno che invece non li ricambia e ama qualcun altro, in questo romanzo. Sembra che tutti perseguano un obiettivo che non raggiungeranno mai e tutti lo sanno, al di fuori di loro che non vedono nulla tranne che l’amato, che non capiscono nessun segnale a loro inviato, o lo travisano sovrapponendogli una realtà che esiste solo nella loro mente.

E Marco? Come affronta la reclusione? Come accoglie la donna che lo perseguita? Qual è il suo grande progetto nei giorni sempre uguali? E’ facile da immaginare quando insiste perché Norma-Jean gli porti una lametta nascondendola in bocca. La fine del romanzo, invece, non è facile da immaginare.

Ingrid Thobois, Serve una casa per amare la pioggia, Ed. Keller, trad. Silvia Turato, pagg. 195, Euro 14,50