"Rione Serra Venerdì", Mariolina Venezia

Lo stile narrativo della scrittrice è travolgente (quanto la sua protagonista)... Tutto raccontato in maniera scoppiettante, forse a volte troppo, trasformando la vena comica in grottesca. (M. Piccone)

"Rione Serra Venerdì", Mariolina Venezia

Torna Imma Tataranni, pubblico ministero di Matera. Impossibile dimenticare Imma Tataranni. Perché è unica, così com’è, sempre un poco sopra le righe. Così piccola di statura che indossa sempre scarpe con tacco o zeppa molto alti, a rischio di inciamparsi - sappiamo come sono le strade e i dintorni di Matera. Quando le succede, in questo romanzo, tutto sommato è per lei una fortuna, visto che il maresciallo Calogiuri, che le cammina accanto, l’afferra al volo (con risvolti bollenti). Sempre vestita in maniera a dir poco appariscente, capace di mettersi una maglietta zebrata sopra un paio di pantaloni tigrati (il tutto aderentissimo, va da sé). Sempre irascibile, dispotica, a volte veramente cafona. Simpatica, però, non c’è che dire.

Stella Pisicchio è stata trovata morta nel suo appartamento nel rione di Serra Venerdì, in uno di quei caseggiati costruiti di fretta per portarci gli abitanti dei Sassi dopo l’esodo forzato negli anni ‘50. La porta di casa sbarrata dall’interno, un lucernario a misura di bambino come unica altra possibile via di uscita, un disco con una canzone di Battisti, Emozioni, sul tavolo. Lei, Stella, in biancheria di pizzo nero sul letto. Ecchimosi sui polsi. Strangolata. Un gioco erotico finito male? Stella era iscritta ad un sito di incontri. Stella??? La ragazza timida, acqua e sapone, con la treccia sulla spalla, che era stata compagna di scuola di Imma (classe 1962 entrambe)?

Lo stile narrativo di Mariolina Venezia è travolgente (quanto la sua protagonista) anche se le indagini procedono a rilento, nessuno ha visto niente, ma c’è una banda di ragazzini che forse sa qualcosa. Abitano tutti nel rione di Stella, giocano nel parchetto, le madri, sfinite dal lavoro e dai figli, neppure si accorgono se questi rientrano a casa oppure no. Quando scompare Stacchiuccio (il ragazzino più intraprendente e sfrontato), passano un paio di giorni prima che la polizia venga allertata. E, scavando nella vita insospettabile di Stella, Imma ci porta in paesini arroccati sulle Dolomiti lucane dove sono rimasti solo i vecchi, eternamente seduti nell’unica piazzetta, ad aspettare chissà che, a ricordare, a sorvegliare chi va, chi viene, chi entra o esce da un antico palazzo di proprietà di uno spiantato erede che spera di venderlo al Comune come edificio di importanza storica (in che rapporti era costui con Stella?). E che valore hanno le lastre fotografiche dell’800 trovate frantumate nel lamione in cui Stella aveva accatastato anticaglie? Che nesso possono avere con la sua morte?

Le vicende della vita solitaria di Stella che aveva avuto un guizzo finale con una speranza d’amore si contrappongono a quelle della vulcanica Imma, divisa tra la serenità coniugale, l’attrazione verso il bel maresciallo giovane con gli occhi azzurri e le preoccupazioni per la figlia sedicenne che vorrebbe già fidanzarsi. Tutto raccontato in maniera scoppiettante, forse a volte troppo, trasformando la vena comica in grottesca. E avrei preferito un finale diverso, perché il romanzo offre due spunti molto interessanti, quello degli immigrati lucani in Svizzera e, più importante ancora per la trama, quello dei fatti avvenuti in Basilicata dopo l’Unità di Italia di cui pochi sono a conoscenza - paesi rasi al suolo, rappresaglie compiute dall’esercito sabaudo che ricordano molto quelle tristemente note dei nazisti, stragi documentate di efferata crudeltà (ecco che scene erano impresse sulle lastre ritrovate nel lamione). Forse la scrittrice ha pensato che queste non fossero le pagine giuste per approfondire gli eventi che portarono alla distruzione di Pontelandolfo e Casalduni. E tuttavia a me piacerebbe saperne di più.

Ed. Einaudi, pagg. 280, Euro 14,87

Recensione a cura di

Marilia Piccone

leggerealumedicandela.blogspot.it

Gennaio 2019