MORTE DI UN UOMO FELICE, GIORGIO FONTANA

“Non smettiamo di essere magistrati o giornalisti quando ci infiliamo il pigiama”. Un bel romanzo che riflette sulla giustizia, le sue possibilità e i suoi limiti

MORTE DI UN UOMO FELICE, GIORGIO FONTANA

Non abbiamo dimenticato Roberto Doni, il magistrato sessantacinquenne protagonista di “Per legge superiore” di Giorgio Fontana. Lo incontriamo di nuovo, giovane però, nell’appena pubblicato “Morte di un uomo felice”, non più protagonista ma personaggio secondario, amico di Giacomo Colnaghi, sostituto procuratore a Milano. Per essere amici, due uomini che svolgono quel tipo di lavoro devono condividere le stesse idee: le parole rivolte a Doni da una giornalista- “Non smettiamo di essere magistrati o giornalisti quando ci infiliamo il pigiama”- sono adeguate anche per Colnaghi. Fin troppo, anzi.

È l’estate del 1981. Gli Anni di Piombo stanno per finire, ma c’è ancora molta violenza. A Milano,a gennaio, è stato ucciso un chirurgo, Vissani, esponente in vista dell’ala più a destra della democrazia cristiana. Questo Vissani non piaceva a Giacomo Colnaghi. Quando gli era capitato di incontrarlo, Vissani si era lasciato scappare una frase infelice, che il governo doveva usare il pugno duro con i giovani. Ora, durante una cerimonia in commemorazione, il figlio quindicenne di Vissani aveva detto che lui, se solo avesse potuto, lo avrebbe ammazzato con le sue mani, l’assassino di suo padre. Lui, il figlio, voleva vendetta. Ecco, è su questo circolo chiuso di odio che si arrovella il magistrato Colnaghi.

Giovane, sposato e con due bambini piccoli, Giacomo Colnaghi è un cattolico osservante. La legalità, per lui, è strettamente connessa con l’etica cattolica cristiana. Ogni presa di posizione passa attraverso la sua coscienza. E’ per questo che ci ricorda Roberto Doni con cui una sera Colnaghi esce a cena, ricordando- in una sorta di flashback- l’inizio della loro amicizia, quando entrambi frequentavano l’università. Doni e Colnaghi appartenevano a due ambienti diversi, e questo è un altro fattore importante nella posizione di Colnaghi in quanto magistrato. Se lo scopo dei terroristi è abbattere la società borghese, se hanno segnato sulla lista nera personalità che sono, per loro, servi di un governo che rifiutano, ebbene, Giacomo Colnaghi non è un borghese. Giacomo Colnaghi è la prova di dove si possa arrivare con la forza di volontà e l’impegno. La famiglia Colnaghi è di Saronno, suo padre era operaio, aveva partecipato ai primi scioperi, era stato un partigiano. Lo avevano preso dopo un’azione, era morto quando Giacomo era piccolissimo- non ha alcun ricordo di lui, tranne un foglietto di carta che tiene in tasca come un tesoro, o un talismano. La frase che c’è scritta concluderà gli intermezzi dedicati alla vita di Ernesto Colnaghi, la storia di un uomo che era un terrorista per i tedeschi che occupavano l’Italia dopo il 1943. Colnaghi non è un borghese ed è un magistrato che- come Doni- si sforza di capire. E’ necessario capire per spezzare il cerchio dell’odio e della vendetta.

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“Quei morti per lei non contano?”

“Contano moltissimo, ma non è così che si risolve il problema. E tutta questa violenza chiederà vendetta. La sta già chiedendo. La gente comune a cui avete tolto un padre, o un fratello, o un amico; i deboli di cui vorrebbe farsi difensore e che mai hanno pensato di mettersi a sparare; tutti, tutti stanno chiedendo vendetta. Andrà sempre peggio, lo capisce? State facendo il gioco degli oppressori”.

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C’è un Giacomo Colnaghi magistrato e un Giacomo Colnaghi marito e padre, in “Morte di un uomo felice”. Ho ammirato il Colnaghi del Palazzo di Giustizia, confesso di aver ammirato molto di meno il Colnaghi in famiglia. C’è un certo scollamento tra l’uomo che arde di passione legalitaria ed etica e il marito tiepido che a volte si sente inconsciamente colpevole nei confronti del suo primogenito, un bambino fragile e pavido a cui lui non ha molto tempo da dedicare, nel suo pendolarismo settimanale tra Milano e Saronno. C’è poi un altro Colnaghi ancora e che assomiglia di più al primo, ed è quello che frequenta un bar per ascoltare le storie dei poveracci che sono clienti abituali, come per rituffarsi tra la gente a cui forse assomigliava suo padre.

Si arriverà a prendere l’assassino del chirurgo Vissani. Il resto è già nel titolo, “Morte di un uomo felice”, come “Cronaca di una morte annunciata” del grande Márquez che è scomparso da poco.

Giorgio Fontana, Morte di un uomo felice, Ed. Sellerio, pagg. 257, Euro 14,00