"Non dite che non abbiamo niente", Madeleine Thien

Uno di quei romanzi così ricchi e complessi, traboccanti di storie, emozioni , sentimenti e riflessioni che ci lascia sazi, inclini a riandare indietro su quello che abbiamo letto e che vorremmo rileggere.

 "Non dite che non abbiamo niente", Madeleine Thien

C’era una famiglia cinese che viveva in Canada. Il padre, Jiang Kai, era stato un pianista in un’altra vita, in un altro paese lontano anni luce dal Canada. La bambina aveva due nomi, Ma-li in cinese e Marie in inglese.

Nel 1989 il padre lasciò la famiglia e dopo un po’ arrivò la notizia che si era suicidato, a Hong Kong. C’era una famiglia cinese a Pechino. Il padre, Passero, lavorava come operaio ma, in un’altra vita, nello stesso paese che era cambiato così tanto, era stato un compositore di musica e aveva insegnato nel Conservatorio di Shanghai. Non si era mai separato dalla figlia, Ai-ming, era per lei che era riuscito ad ottenere un trasferimento a Pechino, perché avesse migliori opportunità per passare gli esami ed essere ammessa all’università. Dopo i giorni di euforia e di tragedia che culminarono nel massacro di piazza Tien-an-men, Ai-ming riuscì ad emigrare, arrivò in Canada, ospite della famiglia di Jiang- Kai che era stato il più caro amico di suo padre. Ecco l’inizio e la fine di questo splendido romanzo di Madeleine Thien (nata a Vancouver da padre cino-malese e da madre cinese di Hong Kong), il più bel romanzo che abbia letto finora nel 2017.

Uno di quei romanzi così ricchi e complessi, traboccanti di storie e di Storia, di emozioni e di sentimenti, di riflessioni e di quesiti e anche di musica - perché la musica è la gloriosa colonna sonora del libro - così pieno di vita, che ci lascia sazi, inclini a pensare, a riandare indietro su quello che abbiamo letto e che vorremmo rileggere. Madeleine Thien ci racconta settant’anni di storia cinese in "Non dite che non abbiamo niente", incominciando dalla fine della guerra civile quando le due sorelle Gran Madre Coltello e Trottola giravano per il paese cantando nelle sale da tè. Gran Madre Coltello (figura possente in tutto il romanzo) è la madre di Passero, iniziato alla musica fin da bambino. La musica è, per Passero, la sua maniera di comprendere il mondo. La stessa passione musicale è condivisa dalla cugina Zhuli, violinista prodigiosa. Ma che posto può avere la musica nella Rivoluzione Culturale della Cina di Mao? Memorabile è la scena in cui il direttore del Conservatorio di Shanghai, He Luting, sotto accusa per i suoi scritti su Debussy, umiliato e angariato dalla Guardie Rosse, rifiuta di piegarsi e, con il fiato che gli rimane, grida nel microfono, "Vergognatevi! Vergognatevi di mentire!".

Oggi la Sala dei Concerti di Shanghai porta il nome di He Luting. Quella di He Luting è solo una delle scene che si succedono, in un crescendo simile a quello delle note che si affastellano nella mente di Passero, o di Zhuli, o di Jiang Kai, il promettente pianista al cui legame amoroso con Passero si accenna in maniera sfumata (impensabile un legame omosessuale all’epoca, colpa da aggiungere a colpa). Jiang Kai entrerà a far parte delle Guardie Rosse, forse è responsabile della morte di Zhuli, è un traditore- ma chi non ha tradito qualcuno in circostanze estreme? Jiang Kai aveva visto morire di fame i genitori e i fratelli durante la Grande Carestia e lui voleva vivere, era suo dovere vivere. A qualunque costo. Suonerà per Mao, cercherà di trascinare Passero con sé a Pechino, potrebbe fargli avere un posto al conservatorio. Inutilmente. Non è solo la musica, la musica dell’Occidente a cui tutti i personaggi guardano, Bach e Beethoven e Prokofiev e Ciaikovskij e le elaborazione dei temi musicali contenuti nelle opere di questi grandi, che risuona sul fondo del romanzo facendo da collante per le storie. C’è anche un libro che passa di mano in mano, la Storia dei Ricordi, che non è mai finito, che viene rimaneggiato e reinterpretato con aggiunta di capitoli e luoghi e nomi in codice- è la Storia in atto, è il passa-parola, è un messaggio nella bottiglia che arriva fino a Vancouver, che riporta a casa Trottola e il marito, esuli vagabondi nel deserto del Gansu (ultimo avamposto della Grande Muraglia) dopo la fuga da uno dei campi di lavoro da cui nessuno tornava vivo.

Scriverei ancora di "Non dite che non abbiamo niente" (un verso dell’Internazionale, uno dei leit-motiv del libro), direi della meraviglia del linguaggio, dei giochi di parole cinesi con più di un significato, tornerei a parlare degli anni di paura, di silenzio, di vite spezzate.

E ancora non avrei detto tutto, non avrei detto del dolore che si prova, leggendolo, del senso di spreco, del rimpianto che filtra dai personaggi e che diventa nostro in questo libro epico in cui la musica perseguitata diventa simbolo della bellezza e della bontà. Non vi resta che leggerlo. Madeleine Thien è una grande scrittrice.


Ed. 66th and 2nd, pagg. 480, Euro 18,70


Recensione a cura di

Marilia Piccone

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