"La ragazza cancellata" , Bart van Es

“Senza le famiglie non ci sarebbero storie”... Lo stile è vivace, alternando le voci narranti, ricreando luoghi e tempi, mostrandoci fotografie (M. Piccone).

"La ragazza cancellata" , Bart van Es

“Senza le famiglie non ci sarebbero storie”- l’inizio de “La ragazza cancellata” di Bart van Es sembra una variante, anzi un’aggiunta al famoso incipit di Tolstoj. E’ per ricostruire la storia della sua famiglia, che coinvolge inevitabilmente quella di un’altra famiglia, che nel 2014 Bart van Es, professore all’università di Oxford, va ad Amsterdam ad incontrare Lien de Jong. C’era stato un tempo in cui Lien aveva fatto parte della famiglia van Es, il padre di Bart, nato dopo la guerra, era cresciuto con lei. Quale era stata la causa della rottura per cui il nome di Lien non doveva neppure essere pronunciato davanti alla nonna van Es? Lien ormai ha superato l’ottantina, dapprima è riluttante a scavare nel passato- ha già sofferto tanto per questo passato che riaffiora di continuo, che l’ha segnata per la vita. Poi tira fuori album di fotografie, incomincia a raccontare, Bart prende appunti e la confidenza che nasce tra di loro fa nascere la loro amicizia.

Prima che Hitler occupasse l’Olanda, Lien neppure sapeva di essere ebrea. E fino al 1941 la vita nella casa di famiglia all’Aja fu normale. Poi le restrizioni, la proibizione di frequentare la scuola, la stella gialla sull’abito. Infine, nel 1942, quando Lien ha otto anni, l’allontanamento dalla famiglia, lo strappo più doloroso, il ‘segreto’ che la mamma le aveva fatto promettere di non rivelare a nessuno. Lien avrebbe vissuto con i van Es a Dordrecht, sarebbe stata come una figlia in più per loro.

Bart van Es ascolta il racconto di Lien, si cala nei suoi ricordi sfilacciati e cerca di aiutarla a ricostruirli, guarda vecchie fotografie (le possiamo vedere anche noi sul libro), legge le espressioni dei visi, osserva gli abiti, nota i segni della crescita di Lien. Bart van Es non si limita a parlare con l’anziana Lien, vuole vedere di persona dove si siano svolte le scene che lei gli ha descritto. Perché Lien non ha resistito, ha rivelato il suo ‘segreto’ ad un’amichetta e deve essere spostata presso un’altra famiglia. E ci saranno altri spostamenti, altri nascondigli e fughe. Con il passare del tempo sbiadisce il ricordo dei genitori. Forse è una forma di difesa naturale, dentro di sé Lien sa che, se non hanno più scritto, devono essere morti, ma non vuole pensarci. Come deve sentirsi una bambina di nove, dieci, undici anni che è sballottata da una casa all’altra, accolta da persone generose che però a volte le fanno pesare la sua diversità, il suo non essere una ‘figlia’ come gli altri che hanno? In una delle famiglie viene trattata come una domestica, con una certa durezza. Per non dire di altre brutte esperienze da cui lei è incapace di difendersi.

E’ straordinario come, quando sembra che non ci sia più niente di nuovo da dire e da scoprire su una guerra i cui testimoni stanno a poco a poco scomparendo, si possa invece leggere qualcosa di nuovo. Il libro di Bart van Es non è soltanto la storia di una bambina sopravvissuta, una storia che accogliamo con gioia perché ci sembra la controparte di quella di Anna Frank, ma anche la storia meno conosciuta dell’Olanda, il paese con la percentuale più alta di ebrei morti sotto il nazismo (80%). Lo stile è vivace, alternando le voci narranti, ricreando luoghi e tempi, mostrandoci fotografie, seguendo le vicende di Lien fino ai nostri giorni, con il matrimonio, i figli e una vita in apparenza felice. In apparenza. Perché ci sono dei traumi impossibili da dimenticare.

Ed. Guanda, trad. E. Banfi, pagg. 266, Euro 15,72

Recensione a cura di

Marilia Piccone

leggerealumedicandela.blogspot.it

Gennaio 2019