"La moglie coreana", di Min Jin Lee

La scrittrice ha una bella scrittura che supera brillantemente i salti temporali della narrazione. Un libro vivido e pulsante. (M. Piccone)

"La moglie coreana", di Min Jin Lee

Dalla Corea al Giappone, quasi un secolo di storia coreana attraverso quattro generazioni di una famiglia: se leggere significa non essere mai soli, se vuol dire viaggiare con la mente in paesi e tempi diversi, iniziate la lettura de “La moglie coreana” di Min Jin Lee e sarete trasportati altrove, coinvolti in una Storia di cui sapevamo poco o nulla, in compagnia di personaggi che amerete.

All’inizio del libro la Corea è stata da poco annessa al Giappone. Hoonie, figlio di un pescatore, zoppo e deturpato da un labbro leporino, sposa la quindicenne Yangjin. Solo una dei loro figli, Sunja, sopravvive alla prima infanzia, diventa un’adolescente non bella ma attraente, si innamora - meglio, viene irretita da un affascinante coreano che vive per lo più in Giappone, un uomo dagli abiti eleganti e scarpe bianche che fa il commerciante ma che appartiene alla banda criminale della yakuza. Naturalmente lui è sposato, naturalmente lui la mette incinta. E’ anche disposto a mantenerla come amante, ma Sunja non vuole. La aspetta il disonore e la solitudine. La sua salvezza arriva da un pastore anglicano a cui lei e la madre hanno dato alloggio e salvato la vita: si offre di sposarla, di riconoscere il bambino come suo e di portarla con sé dal fratello in Giappone.

Era un preambolo necessario, perché da questo punto la scena si sposta ad Osaka (in seguito sarà a Yokohama e Tokyo) e diventiamo testimoni delle difficoltà dei coreani immigrati in Giappone, considerati degli esseri inferiori, pesantemente discriminati, esclusi dalla maggioranza dei lavori, costretti a vivere in tuguri sulla soglia della povertà. E’ la storia degli immigrati di qualunque nazionalità, in qualunque angolo del mondo, divisi tra il desiderio di essere accettati e quindi in qualche maniera integrarsi, e quello di mantenere vive le proprie tradizioni e la propria identità. Noa, il figlio maggiore di Sunja, che non sa chi sia il suo padre naturale, diventa il migliore esempio di questa scissione di identità. Intelligente, studioso, ambizioso, vorrebbe cancellare la sua origine coreana. Quando viene a sapere chi è veramente suo padre e quale sia l’origine dei soldi che gli hanno permesso di frequentare la migliore università del Giappone, Noa crolla. Il suo destino forse era segnato fin dall’inizio, quando la madre si era imbarcata al seguito del generoso pastore intenzionata a non dire mai la verità al figlio. Eppure, nonostante gli errori, nonostante le limitazioni dovute alla mancanza di cultura, sono le donne le figure trionfanti di questo romanzo. Sunja e sua cognata - diventata una sorella per lei - si impegnano per guadagnare qualche soldo durante gli anni in cui il marito di Sunja è in prigione per non aver reso debito omaggio formale all’Imperatore. Vendono al mercato kimchi fatto in casa, lavoreranno poi in un ristorante. Stanno andando contro la volontà del cognato di Sunja, contro la tradizione che giudica disonorevole per una donna lavorare. E non è questa l’unica vecchia norma ad essere infranta. Il figlio minore di Sunja troverà un impiego in un pachinko (questo il titolo originale, “Pachinko”- il nome dei locali così diffusi tuttora in Giappone dove si gioca d’azzardo con le macchinette). Tutti sanno che i pachinko sono gestiti da coreani malavitosi che fanno parte della yakuza: starà a lui, Mosezu, e poi a suo figlio Solomon (bella anche la storia che riguarda Solomon) dimostrare che si può essere coreani ed essere onesti, anche se è difficile cancellare la nomea.

I grandi avvenimenti della Storia rimangono nello sfondo. L’occupazione della Manciuria da parte del Giappone, le donne coreane rapite per farne schiave del sesso, la bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki - ne apprendiamo da quello che si vocifera, vediamo la vita distrutta del cognato di Sunja rimasto gravemente ustionato, il faticoso riprendere dell’economia, gli americani che, dall’essere i nemici, diventano l’esempio da imitare. E’ la Storia vissuta da chi ne sta ai margini, impegnato nella lotta per la sopravvivenza.
Min Jin Lee ha una bella scrittura che supera brillantemente i salti temporali della narrazione. Un libro vivido e pulsante.

Ed. Piemme, trad. F. Merani, pagg. 593, Euro 18,70

Recensione a cura di

Marilia Piccone

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