LA BIONDA DAGLI OCCHI NERI, BENJAMIN BLACK (JOHN BANVILLE)

Banville veste i panni di Chandler ed è irresistibile: il suo Marlowe è già un classico

LA BIONDA DAGLI OCCHI NERI, BENJAMIN BLACK (JOHN BANVILLE)

Philip Marlowe, il più famoso ‘private eye’ della letteratura di indagine poliziesca, è tornato. Il personaggio creato da Raymond Chandler nel 1939 ha trovato un padre adottivo nel famoso scrittore irlandese John Banville che ama firmare i suoi divertissements gialli con lo pseudonimo di Benjamin Black (in patria, perché da noi tutti i suoi romanzi sono stati finora pubblicati con il vero nome). Ne “La bionda con gli occhi neri” John Banville abbandona il personaggio dell’anatomopatologo Quirke che era stato il protagonista dei precedenti ‘romanzi con delitto’ e riporta sulla scena Philip Marlowe. “Marlowe? Come il drammaturgo”, commenta il fratello della bionda del titolo citando un verso del “Doctor Faustus” dell’elisabettiano Christopher Marlowe. Marlowe come l’uomo che si addentra nel cuore di tenebra conradiano (si chiama Charlie Marlow, senza la e finale, il protagonista di “Cuore di tenebra”)- un nome impegnativo dal punto di vista letterario.

Ci sono dei precedenti nei tentativi compiuti per far risorgere eroi mitici dopo la morte degli scrittori che li avevano creati. Per James Bond l’ultimo che ci ha provato è stato William Boyd, terzo scrittore ufficialmente incaricato dalla Ian Fleming Estate, dopo Sebastian Faulks e Jeffery Deaver. Ogni volta i lettori accolgono la novità con curiosità e un certo scetticismo: ce la farà? reggerà il paragone? Bene, nel caso di John Banville è proprio il caso di dire che l’alunno ha superato il maestro.

L’ambientazione è, al solito, Los Angeles. Una mattina d’estate suona il cicalino della porta d’ingresso dell’ufficio di Marlowe ed entra una donna, la bionda con gli occhi neri del titolo. Elegante, raffinata, cappellino con veletta, guanti lunghi fino al gomito. Si chiama Clare Cavendish. Clare come la contea irlandese da cui proviene la madre, Dorothea Langrishe, nota e ricchissima imprenditrice di una ditta di profumi. Cavendish è il cognome del marito con cui lei, Clare, ha un accordo: in pratica ognuno si fa gli affari suoi, visto che Richard Cavendish si gode i soldi della moglie. Clare richiede i servigi di Marlowe per ritrovare un amico, Nico Peterson, che è scomparso da due mesi. Non è chiaro perché Clare Cavendish ci tenga tanto a questo Nico, un gigolò trafficone. Anche perché salta presto fuori che Peterson è morto (e Clare lo sapeva). Però no, non è morto: Clare è sicura di averlo visto a San Francisco. Sicurissima. E allora?

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Tirai fuori le sigarette: l’aria lì dentro aveva smesso di colpo di sembrare santificata. “Se sapeva già che era morto, perché è venuta da me?”

Lei si girò di nuovo e mi guardò intensamente per un lungo istante, in silenzio, riflettendo su cosa dire, su come dirlo. “Il fatto è, signor Marlowe, che l’ho visto l’altro giorno per strada. E non sembrava affatto morto.”

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Prima che il romanzo finisca, ci saranno ben sei morti, caduti sul campo tra colpi di scena, apparizione di due brutti ceffi messicani che amano giocare con coltello e pistola, visite in club esclusivi e loschi, il fratellastro effeminato di Clare che è lì lì per andarsene all’altro mondo per overdose, una valigia made in England che Marlowe riconosce per averla già vista in un altro passato, così come riconosce un uomo, anche se molto cambiato dal loro ultimo incontro.

La trama è tipica dei romanzi hard-boiled, e fin qui niente di straordinario- era la cosa più facile da imitare, per John Banville. Non era altrettanto facile rivestire i panni di Philip Marlowe, l’investigatore che alza spesso il gomito, che ha un debole per le belle donne (l’etica professionale non ha mai impedito a Marlowe di andare a letto con le sue clienti), che guida una Oldsmobile, che non perde un colpo con le sue battute spiazzanti.

Non era facile ‘parlare’ come il Marlowe originale, con il suo freddo umorismo, il suo miscuglio di cinismo e di romanticismo. John Banville ci riesce. E’ chiaro che Banville si è immerso nell’atmosfera dei romanzi di Chandler (si parla perfino, ne “La bionda dagli occhi neri”, di un personaggio de “Il grande sonno”, primo libro della serie chandleriana). Banville, che ha fatto della maschera uno dei temi dei suoi romanzi impegnati, ha indossato la maschera di Raymond Chandler, o addirittura quella di Philip Marlowe in questo romanzo. E gli si addice. Banville è Philip Marlowe molto di più di quanto sia mai stato Quirke. Lo stile, poi, è superlativo, da grande scrittore.

Benjamin Black (John Banville), La bionda dagli occhi neri, Ed. Guanda, trad. Irene Abigail Piccinini, pagg. 299, Euro 17,50