IL SILENZIO DEGLI ALBERI, EDUARD MÁRQUEZ

Storie di uomini e donne che vivono aggrappandosi alla musica e alle parole per contrapporle agli spari e al sibilo dei proiettili

IL SILENZIO DEGLI ALBERI, EDUARD MÁRQUEZ

Una città assediata. Case in macerie lungo le strade. Cartelli che avvisano della presenza di cecchini. Pensiamo a Sarajevo, ma la città non ha nome. La guerra, qualunque siano i combattenti, è tutte le guerre. La paura, la morte che ti può cogliere di sorpresa ad ogni istante, l’arte di sopravvivere giorno dopo giorno, come quella di rendere commestibile tutto quello che si può, sono quelle di tutti i conflitti. E’ questo lo sfondo per il piccolo gioiello che è il libro dello scrittore catalano Eduard Márquez, “Il silenzio degli alberi”. In primo piano, storie di uomini e donne che continuano a vivere aggrappandosi alla musica e alle parole per contrapporle agli spari e al sibilo dei proiettili.


   “Benvenuto in quello che resta di casa tua”- sono le parole che accolgono il violinista Andreas Hymer, tornato per dare un concerto nella città sotto assedio. E perché ha ricevuto una lettera dal liutaio Ernest Bolsi che deve consegnargli un violino. Hymer non conosce Ernest Bolsi, non ha la minima idea della provenienza del violino. E poi c’è una donna, Amela Jensen, una pianista, che Andreas vuole rivedere, anche se- come si premura di dirgli subito il direttore del conservatorio- Amela non vuole vedere lui, si rifiuta di suonare con lui.


   La storia di Andreas Hymer corre lungo tutto il libro, ma la veniamo a conoscere in maniera devia, con dei flashback sulla sua infanzia, quando la mamma era ancora in casa e suonava il violino, prima che scomparisse e suo padre bruciasse tutto quello che le era appartenuto. Altri frammenti di questa storia vengono inseriti dai racconti di Bolsi- è un personaggio da fiaba questo Ernest Bolsi che incomincia a raccontare storie per consolare una bimba spaventata dai bombardamenti e poi continua, con un gruppetto di persone sempre più folto che lo seguono per le sale vuote del museo della musica. Le parole e la musica si intrecciano, sono capaci di trasportare la mente altrove, di far dimenticare l’adesso e il qui. E mi vengono in mente scene analoghe nell’Hermitage svuotato delle opere d’arte nei 900 giorni dell’assedio di Leningrado.


   O, in una bellissima scena del film “A torto o a ragione”, Wilhelm Fürtwangler che dirige l’orchestra mentre le bombe cadono su Berlino. Altre parole ancora sollevano i cuori, se mai riusciranno a volare fuori della città: sono le lettere che chi è rimasto scrive a chi se ne è andato o è stato allontanato. Una mamma scrive alla sua bambina, un innamorato alla sua donna, una ragazza alla sorella- “sapere che pensi a me mi aiuta a sopravvivere”. Chi scrive racconta, dei morti e della fame ma anche del liutaio contastorie, di un mandarino che profuma le dita, di un nuovo amore.


     Sarà Andreas Hymer a portare via il pacco di lettere da spedire, quando riparte, insieme al violino e al suo segreto, e al ricordo di Amela e quello che avrebbe potuto essere e non è stato.


   E la somma di tutte le storie che abbiamo letto ci fa pensare che la guerra è una condizione umana, prima di tutto. Che ognuno di noi combatte una guerra dentro se stesso, che ognuno di noi ha dei conflitti irrisolti con qualcuno. Che c’è una polarità nel mondo degli esseri umani- la violenza e il fragore delle armi da una parte, la musica e il linguaggio dall’altra. Così come nel libro di Márquez c’è una tensione equilibrata tra realismo e poesia.

Eduard Márquez, Il silenzio degli alberi, Ed. Keller, trad. Beatrice Parisi, pagg. 149, Euro 13,00