Il nascondiglio di Christoph Boltanski

"Si resta intrappolati nel fascino della famiglia Boltanski, catturati dall’umorismo gentile, da quel miscuglio di ironia, di commedia, di tragedia con cui sono intessute le vicende e soprattutto dal profondo amore che è il collante di tutte le storie dei Boltanski" (M. Piccone)

Il nascondiglio di Christoph Boltanski

Una casa nel VII arrondissement di Parigi, in rue Grenelle. La famiglia Boltanski. La casa è la famiglia Boltanski. E viceversa. Ogni capitolo del romanzo “Il nascondiglio” di Christophe Boltanski è preceduto da una piantina della casa (singolare, su due piani, un’infilata di stanze, un paio di ingressi su un cortile, un dislivello interno che renderà possibile ‘il nascondiglio’ quando si renderà necessario) e il racconto che segue è centrato, uno dopo l’altro, su ognuno dei locali in cui vive - nucleo a sé, chiuso in autodifesa- la famiglia Boltanski. Si inizia da quella che una stanza non è ma che fa parte della casa perché i Boltanski passano da una e salgono sull’altra (“Si avventuravano fuori di casa soltanto motorizzati”): una Fiat Cinquecento L bianca. Sempre tutti insieme, stipati dentro, per accompagnare il padre Etienne (stimato medico) al lavoro in ospedale e poi aspettarlo. Lei, Myriam, al volante. Lui al suo fianco. I figli Jean-Elie, Anne e lui, Christophe, il nipotino che aveva solo quattro anni meno di Anne, seduti dietro.

Che Anne sia una figlia adottiva, che anche Myriam sia stata adottata per togliere un fardello dalle spalle di una famiglia poverissima, che Etienne sia figlio di immigrati di Odessa e che la nonna (Niania) sia arrivata a Parigi giovanissima, mentendo sulla sua età e stringendo un samovar sotto braccio, che Myriam - che vuole essere chiamata Mère-Grand (originale anche in quello) - abbia le gambe inservibili, vittima di una poliomelite che l’aveva obbligata a interrompere gli studi di medicina, sono tutte cose che verremo a sapere a poco a poco, alla rinfusa, senza una precisa sequenza temporale. Il cognome, poi, era veramente Boltanski? Quando Christophe andrà a Odessa a fare ricerche, non c’è traccia di una famiglia con quel cognome. Piuttosto con varianti con una y finale o nel mezzo del cognome. Colpa di una errata traslitterazione? E poi nessun nome è certo di quelli dei primi Boltanski. Misure di sicurezza, per meglio camuffarsi, come l’improbabile passaporto in cui il nonno appare con una parrucca da donna. I pogrom hanno insegnato loro a fuggire, anche se il bisnonno pensava di aver raggiunto in Francia la terra della libertà e dell’uguaglianza. Il nascondiglio, nel sottoscala, piccolo e angusto, è destinato a nascondere Etienne per due anni, per sottrarlo alle retate naziste e alle delazioni dei vicini, dopo aver divorziato (pro-forma) dalla moglie (che risposerà dopo la guerra, quando già era nato il piccolo Christian che aveva dovuto essere registrato come figlio di madre ignota per poter avere il cognome paterno) ed essersi volatizzato nella notte (un trauma per Luc, il figlio più giovane che non si dava pace) per chiudersi, invece, la botola sopra la testa.

Stravaganti, intellettuali, raffinatamente maleducati semplicemente perché le normali regole non facevano per loro, inclini all’arte (Grand- Mère batteva incessantemente romanzi sulla sua Olivetti, Christian dipingeva quadri astratti), sessantottini ante-litteram prima di diventarlo realmente, i Boltanski vivevano respirando la stessa aria, tenuti insieme dalla ferrea volontà di Mère-Grand, dormivano addirittura tutti insieme nella stessa stanza, i genitori nel lettone e i figli nei sacchi a pelo per terra. Era stato Luc, il padre dell’autore del romanzo, ad uscire dal bozzolo per primo. Leggiamo storie di guerra, di paure, di solitudine, di conversioni, di amore. E al centro c’è lei, Mère-Grand, un donnino dalle gambe paralizzate con una vitalità eccezionale e una volontà di piegare il mondo circostante alle sue necessità per non apparire mai handicappata.

Si esce da una storia e si entra in un’altra, così come si esce da una stanza per passare in quella seguente, si salgono e si scendono scalini come passi nel tempo, si resta intrappolati nel fascino della famiglia Boltanski, catturati dall’umorismo gentile, da quel miscuglio di ironia, di commedia, di tragedia con cui sono intessute le vicende e soprattutto dal profondo amore che è il collante di tutte le storie dei Boltanski.

Christoph Boltanski, “Il nascondiglio”

Ed. Sellerio, trad. Marina Di Leo, pagg. 277, Euro 16,00

Recensione a cura di Marilia Piccone

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