IL CAFFÈ DELLE DONNE, WIDAD TAMIMI

Scegliere gli ingredienti del proprio caffè, deciderne aroma e intensità, significa capire che gusto vogliamo dare alle nostre giornate

IL CAFFÈ DELLE DONNE, WIDAD TAMIMI

«In casa mia non c’erano gli odori che c’erano nella tua, noi non mangiavamo pastasciutta  abbiamo conosciuto altre spezie diverse, annusato profumi diversi. Io non sono italiana, punto. Io sono “anche” italiana, ma una fortissima componente di me ha radici mediorientali. E io sono il risultato di più identità».


Con questo sfogo, Qamar, la protagonista de Il caffè delle donne (Mondadori), romanzo d’esordio della giovane scrittrice Widad Tamimi, esprime e riassume i problemi, le frustrazioni, il difficile equilibrio di chi vive la propria identità come frutto di culture diverse e cerca disperatamente le proprie radici. Un romanzo dove prevalgono due dimensioni: una, più intima e personale, legata alla ricerca di sé, ma anche ai rapporti familiari e sentimentali, e quella dei sensi, stimolati in primo luogo dal rito della preparazione e della degustazione del caffè.

Qamar ha un lavoro un tempo amato, ma diventato una noiosa routine: mediazione culturale, diritti umani, aiuti internazionali, ricerca di fondi. E’ tutto ciò che la lega ancora ad una terra che le manca molto: l’ultima volta che è stata in Giordania era una ragazzina. Fino all’estate dei quattordici anni ha trascorso lunghi e sereni mesi presso i nonni paterni,  insieme a Selma, la sorella minore. Una lunga tradizione che le ha viste partire all’inizio della stagione, subito dopo la chiusura delle scuole: gli zii le aspettavano all’aeroporto insieme branco di cugini che si erano portati appresso, mentre le donne si dedicavano alla preparazione del banchetto regale che imbandivano per loro. Bastava qualche giorno – giusto il tempo di perdere lo charme delle forestiere grazie al quel le due bambine erano considerate un’attrazione, le figlie dell’unico figlio espatriato e laureato – per integrarsi al gruppo dei bambini della Grande Casa e trasformarsi in “selvagge”.

Durante l’estate dei suoi undici anni, Qamar comincia a nutrire interesse per altri aspetti della vita delle donne: silenziose e indipendenti, gestivano i loro momenti di libertà dalla famiglia radunandosi nel salotto domestico, il più accogliente, dove si svolgeva la vita vera e dove, nell’intimità familiare, le donne si svelavano. E dove, verso le undici, si ripeteva il rito del caffè delle donne, un rituale ordinato e impeccabile che terminava con lettura dei sedimenti da parte di un’ospite speciale considerata una specie di maga capace di prevedere il futuro, ogni giorno di un’unica, fortunata prescelta.

A quattordici anni, l’attenzione di Qamar è focalizzata sull’abbigliamento, sugli amori invernali, la voglia di trucco e di tacchi alti, ed è per questo che la Grande Casa, con i tanti  divieti che fanno diventare ogni cosa peccato, le sembra improvvisamente piccola e soffocante. La doccia da fare con addosso la biancheria intima, le uscite solo accompagnata, le preghiere precedute dalla pulizia personale… C’è, naturalmente, anche la lettura del caffè e quando l’onore tocca proprio a Qamar, il responso suggerisce che la sua vita avrà due corsi. Il primo sarà corto, tortuoso e intenso, mentre nel secondo raccoglierà i frutti di ciò che ha seminato. C’è anche una strada che porta lontano e la figura di una donna anziana legata a lei da un rapporto profondo. Allah le darà molti figli, se troverà il modo per accoglierli. Ma quando si tratta di pigiare il pollice sul fondo per leggere, nelle orme lasciate dal dito sul fondo della chicchera, l’amore, la ragazzina ha paura del futuro e fugge senza dare spiegazioni.

L’estate della Grande Prigione è anche quella del primo grande amore e di una ribelle fuga serale: l’estate che Qamar credeva inizio di tutto, è stata invece l’inizio di un lungo esilio.

Anni dopo, il dolore per una maternità mancata e la prospettiva di non poter avere figli, porterà la donna a sentire il bisogno di mettere in discussione il rapporto con Giacomo, l’amico e compagno di sempre, di ripensare il legame con la madre e, soprattutto, con la terra cui si sente più che mai legata.

Il viaggio nei luoghi del passato, che ricomincia là dove era stato interrotto anni prima, le riserva però molte sorprese: il presente è molto diverso da ciò che ricordava e, soprattutto, da ciò che si aspettava, ma la conduce ad una dura quanto liberatoria presa di coscienza.

Solo smettendo di sentirsi divisa tra nostalgia del passato e l’attesa del futuro, dopo aver scelto l’uomo con cui condividere la vita, Qamar potrà essere forte e felice: la sua ritrovata armonia, sembra ammonirci l’autrice che, crediamo, ha molto da spartire con la protagonista del suo romanzo, è la sintesi di ricordi e aspettative, di due mondi – Oriente e Occidente – diversi, ma solo apparentemente inconciliabili; è la capacità di integrare identità senza subirle.

Widad Tamimi, Il caffè delle donne, Mondadori, pagg. 295, euro 17,50