I SANTI MUTI, ANTONIO CARNEVALE

Un’intrigante rielaborazione del tema del doppio

I SANTI MUTI, ANTONIO CARNEVALE

Nomen omen: in tutta onestà, che tipo di uomo può essere uno che si chiama Ortensio Montiglio. Quello che suggerisce il suo nome, un ometto. Grigio, senza spina dorsale. Eppure è accusato di omicidio e il romanzo di Antonio Carnevale, “I santi muti”, è la sua storia contenuta nella lunga spiegazione-autogiustificazione che Ortensio Montiglio fa davanti al giudice in tribunale.

E ancora, va bene tutto, d’accordo che nell’ira un uomo può commettere un crimine, ma non ce lo vediamo proprio Ortensio Montiglio ad uccidere un uomo. Non ce lo vediamo proprio neppure a lasciarsi travolgere dall’ira o da qualunque altra passione violenta. Ortensio è il tipo di uomo che si comporta proprio come fa: in rotta con la moglie che lo ha tradito e lo ha piantato, prende l’auto e fugge. Fugge dal dolore e dalla delusione, dai problemi e dalle difficoltà che non sa risolvere. Senza sapere che va a cacciarsi in altre difficoltà ben più grandi.  Comunque gli crediamo subito sulla parola: non è colpevole, devono averlo incastrato. Come dice Shakespeare, “more sinned against than sinning”, più che essere peccatore, hanno peccato nei suoi confronti.

Allora, chi è questo Ortensio Montiglio? Un vigile urbano in pensione, originario del sud. Fu suo padre a facilitargli un posto di lavoro al nord tramite un aggancio. La nullità di Ortensio balza fuori fin dalla descrizione della sua infanzia e giovinezza dominate da un padre padrone, uno di quegli uomini del sud all’antica che non avevano bisogno di alzare la parola per dare un ordine. Erano sempre ordini, i suoi, alla moglie e al figlio. L’idea della ribellione non balena mai in testa ad Ortensio.  Per tutta la vita continuerà a comportarsi secondo le norme e le abitudini apprese in famiglia. Lo trova talmente normale che si giustifica chiedendo se, con quei modelli, avrebbe potuto fare diversamente.

A Milano aveva conosciuto una ragazza, l’aveva sposata, avevano avuto una figlia che aveva dato loro qualche problema. Un tran-tran quotidiano grigio come lui, fatto di abitudini immutate e immutabili- che bisogno c’è di cambiare, di vivacizzare, di scoprire qualcosa di nuovo quando si sta bene con quello che si ha? Non si accorge però che la moglie è insofferente. Finché un giorno lo pianta (è sulla cinquantina, sono gli ultimi sprazzi) per un uomo dal nome improbabile e straniero, un rappresentante di tute dimagranti.

La prima parte del romanzo di Carnevale è la premessa, la prima faccia della medaglia. La seconda parte- il rovescio della medaglia- si svolge in una località turistica della Puglia che Ortensio aveva sentita nominare dalla moglie, l’antitesi ideale all’eterna Varazze delle loro vacanze. E qui il melodramma della vita di Ortensio si trasforma in un dramma dell’orrido: un uomo è stato ucciso e gettato in mare, Ortensio vede quella massa galleggiante e la trascina a riva, viene accusato dell’omicidio.

Povero Ortensio finito in un pasticciaccio che non gli si confà. Il peggio deve ancora venire. Il commissario di polizia del posto si presenta da lui in albergo: non voglio rivelarvi nulla, dirò solo che Ortensio viene ricattato, sarà testimone di pratiche losche che non avrebbe mai immaginato.

Soprattutto, lui, questo ometto che teme anche la sua ombra, si ritrova prigioniero di un uomo che è il suo doppio, che trovandosi nella sua stessa situazione ha agito in maniera diametralmente opposta ed ora tiene in scacco matto Ortensio.

Il romanzo di Carnevale è un’intrigante rielaborazione del tema del doppio- un approfondimento maggiore e una minore frettolosità avrebbero aggiunto credibilità alla storia.

Antonio Carnevale, I santi muti. Ed. Zandonai, pagg. 134, Euro 10,00