EXIT, OLEN STEINHAUER

Doppio - anzi triplo - gioco a Berlino

EXIT, OLEN STEINHAUER

A volte non solo è difficile raccontare la trama di un romanzo di spionaggio, ma è proprio impossibile, oltre che superfluo. E’ questo il caso di Exit, dell’americano Olen Steinhauer, secondo romanzo, dopo il grande successo de Il turista, con protagonista Milo Weaver.


   La fitta rete di eventi in cui si muovono i tanti personaggi è infatti troppo intricata: un mondo dove le situazioni si capovolgono continuamente, dove i colpi di scena si susseguono uno dopo l’altro, dove il doppio – se non il triplo – gioco è la regola e dove pochi sono davvero chi dicono di essere.


   C’è però almeno una certezza, soprattutto per chi ha letto Il turista: Milo Weaver lavora come agente segreto per una sezione della CIA di cui pochi sono a conoscenza: è un “turista” e la prima regola del turismo è non farsi distruggere, cosa che può succedere facilmente. Bisogna vivere senza radici, tenere a mente diversi lavori, non mostrare alcuna empatia se non è necessario… Ma soprattutto bisogna andare avanti, muoversi di continuo. Un’altra regola del turismo: non fare domande. Perciò quando a Milo Weaver viene ordinato di uccidere una ragazzina figlia di immigrati moldavi che in Germania conducono una vita apparentemente normale e priva di zone d’ombra, dovrebbe farlo e basta, senza coinvolgimenti o sensi di colpa – “il fine è l’azione stessa”.


   Questo, comunque, non è il suo unico problema: sembra infatti che nella sezione ci sia un infiltrato, una talpa. Un brutto colpo, certo, ma dopo aver richiamato tutti gli agenti, cambiato nomi e codici, sostituito il personale, ci si potrebbe riorganizzare. L’importante è che non si sappia, non attirare l’attenzione.


   Richiamato in servizio dopo un anno dal suo coinvolgimento in una missione che in Sudan ha portato all’omicidio di un carismatico mullah ed alla morte di alcuni colleghi ai quali era particolarmente legato, Milo deve non solo muoversi su più fronti, ma anche fare i conti con un matrimonio in crisi. In passato ha infatti commesso l’errore di tenere tutto segreto. Tra le tante cose, ha nascosto alla moglie Tina l’identità dei suoi veri genitori – il padre, una spia sovietica con cui da ragazzo aveva trascorso qualche anno a Mosca, la madre, una donna morta suicida nel 1979 in un carcere tedesco che veniva descritta di volta in volta come una terrorista di stampo marxista o una nomade mentalmente disturbata. Tina avrebbe anche potuto accettare le sue bugie – o forse le sue omissioni – se ad un certo punto le avesse raccontato quella verità che aveva poi appreso da estranei. Così, solo quando smetterà di correre da una parte all’altra del mondo e ricomincerà ad usare il suo vero nome, Milo potrà tornare a cercare la moglie e la piccola Stephanie.


   Queste, solo a grandi linee, le fonti d’ansia per un agente segreto che, nonostante tutto, possiede ancora un codice morale e si vede costretto a fare scelte non proprio in linea con le ragioni di stato o con i poteri forti. Tutto il resto è un continuo viaggiare per l’Europa e negli Stati Uniti, indagini, inseguimenti e interrogatori, messaggi in codice, azioni di spionaggio e contro spionaggio, incontri clandestini, sbornie e pillole per cercare di stordirsi e di dimenticare tutto, almeno per un qualche ora.


   Exit si presenta come un romanzo molto ben congeniato; forse non sarà la giustizia a trionfare, ma alla fine tutto sembra trovare un senso o, almeno, una spiegazione. Dubbi e debolezze, errori e contraddizioni fanno del nostro agente segreto un personaggio più credibile di altri suoi colleghi letterari, anche se, proprio come loro, ha dato prova di doti fisiche e resistenza, sangue freddo e capacità intuitive.


   Quanto al Milo Weaver  “uomo onesto” dedito alla famiglia e lontano dall’azione così come ci viene presentato nell’epilogo del libro... chissà se qualcuno ci crede davvero!

Olen Steinhauer, Exit, Nerogiano, pagg. 416, euro 18,00