CHE PARLINO LE PIETRE, DAVID MACHADO

Un viaggio verso la verità, una verità difficile da ritrovare, da capire, forse anche da accettare

CHE PARLINO LE PIETRE, DAVID MACHADO

Nicolau Marcel, vecchio, sordo, il corpo una mappa di cicatrici, tre dita mancanti nella mano destra. Valdemar, un adolescente molto grasso con scoppi di furia violenta, innamorato da sempre dell’anoressica Alice. Sono nonno e nipote e la loro storia- anzi, le tante storie del nonno e quella del nipote che le ascolta e le scrive, rivivendole, sono raccontate nel romanzo “Che parlino le pietre” del giovane scrittore portoghese David Machado.

“Mio nonno è venuto a vivere con noi poco dopo che io avevo compiuto sei anni. E’ stata la prima volta che l’ho visto”. L’immaginazione di un bambino di sei anni che passa tante ore da solo non può non restare colpita dalla figura di un vecchio come Nicolau: perché è così, diverso dagli altri? Il vecchio è felice di raccontare a chi gli presta una rapita attenzione, il bambino ascolta, si immedesima, prova compassione per il nonno che gli appare come un’eterna vittima, condivide con lui un desiderio di vendetta. E scrive le storie di Nicolau.

Non gli passa neppure per la testa che ci possa essere qualcosa di inventato, o di rimaneggiato dalla memoria, o ingigantito, in quello che Nicolau gli racconta. E, insieme alla narrativa della storia del nonno, c’è una seconda narrativa, altrettanto importante, negli scritti di Valdemar- il suo primo incontro con Alice bambina, il tempo passato insieme dopo la scuola, gli scontri di Valdemar con i compagni, la musica di cui lui ed Alice sono appassionati, la scoperta del sesso. Le due narrative si alternano- sono il passato e il presente del Portogallo, due età della vita di due persone della stessa famiglia messe a confronto.

Il 22 giugno 1947 il giovanissimo Nicolau Marcel avrebbe dovuto sposarsi con Graça dos Penedo. Ma Nicolau fu arrestato, accusato di aver appoggiato dei rifugiati comunisti spagnoli, sbattuto in prigione, torturato. Senza poter rivedere Graça. Anni dopo Nicolau avrebbe saputo che Graça aveva sposato un altro, quell’Amadeu Castelo che aveva cucito l’abito di nozze (mai indossato, ovvio) di Nicolau. Le avventure di Nicolau hanno qualcosa di rocambolesco, qualcosa che ci fa pensare a “Il conte di Montecristo” con imprigionamenti su isole selvagge, avventurose fughe dal carcere per essere poi riacciuffato e risbattuto in cella, punizioni corporali che causano a Nicolau la sordità, rottura di ossa, perdita di denti e chi ne ha più ne metta.

Chiunque capirebbe che Nicolau non ha proprio la stoffa del cospiratore, che non sa neppure chi sia Marx: che pericolo può offrire un uomo che è semi-analfabeta e sordo? Nicolau sopravvive sempre, ha nove vite come i gatti. La forza di sopravvivere gliela dà l’amore per Graça e la volontà di rivederla, un giorno, raccontandole tutto. Anche che è suo marito Amadeu il responsabile della sua vita spezzata. Di questo Nicolau è convinto: è stato Amadeu a denunciarlo al PIDE, la polizia politica di Salazar, per toglierlo di mezzo e rubargli Graça.

Valdemar non mette mai in dubbio quello che il nonno gli va raccontando, neppure crede alla versione di suo padre (figlio di Nicolau e di una donna che non è Graça- come e perché fa parte di una delle tante storie) che dà una giusta proporzione agli eventi. E il lettore che ha seguito la trascrizione di Valdemar è rimasto irretito quanto lui dal vorticare di episodi, senza riuscire a districarsi, pur conservando la lucidità di comprendere che il romanzo di Machado è sulla Storia e sulle storie, sulla verità e sulle ‘aggiunte’ alla verità. Che non sono neppure del tutto falsità ma rielaborazioni della memoria che ha bisogno di questi aggiustamenti, per vivere, per essere altro da chi si è, per riconciliarsi, infine, con un destino che non si è riusciti a cambiare.

David Machado, Che parlino le pietre, Ed. cavallo di ferro, trad. Federico Bertolazzi, pagg. 363, Euro 16,50