WILLIAM LASHNER

Quattro chiacchiere con lo scrittore americano del legal thriller "L'avvocato della notte"

WILLIAM LASHNER

Da Filadelfia a Brescia, per partecipare al festival “A tutti piace giallo” - deve essere un bel salto, e non solo nello spazio, per William Lashner, scrittore americano di romanzi di indagine poliziesca con un avvocato come protagonista.
   Lo stesso Lashner è un avvocato: laureato in Legge alla New York University, è stato poi assunto presso la Divisione Criminale del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, incarico che ha abbandonato per dedicarsi alla scrittura.

Lei è un avvocato: che cosa l’ha portata dalla carriera come avvocato a quella dello scrittore? e ha mai pensato di scrivere un romanzo non di genere?
   Fin da quando frequentavo il liceo volevo scrivere. Amavo molto leggere, trovavo così tanta vita nei libri che leggevo. Il mio libro preferito era “Il conte di Montecristo”. Poi mi sono iscritto a Legge perché non ci sono soldi nel mestiere di scrittore. Ho fatto l’avvocato e, tuttavia, avevo sempre il rimpianto per quello che volevo veramente fare- scrivere. Ho deciso di dare una possibilità a questo mio desiderio, l’ho fatto e non me ne sono mai pentito. Certo, dal punto di vista economico forse non è la stessa cosa…, ma mi piace scrivere, scrivere continua ad eccitarmi…Quanto al genere dei romanzi- i miei libri non sono esattamente dei legal thriller, lo erano all’inizio, poi sono diventati sempre più dei romanzi di indagine poliziesca con un avvocato come protagonista. E sì, ho scritto un romanzo diverso, una sorta di vicenda kafkiana, come le “Metamorfosi” alla rovescia. Ma mi piace leggere detective stories, e quindi mi piace anche scriverne. Concedendomi la possibilità di esplorare, a volte, qualcosa di diverso.

Un legal thriller, oppure un romanzo di indagine poliziesca che abbia un avvocato come protagonista, offre più possibilità di un noir o di una normale detective story?
   Prima di tutto l’avere un avvocato come protagonista ti permette di esplorare il sistema giudiziario. E questo è sempre molto interessante. Inoltre ho trovato che in una mystery story puoi trattare qualunque argomento purché soddisfi i requisiti del genere, che ci sia un crimine, insomma. C’è più libertà in un romanzo di indagine, perché, entro i limiti della forma, sei libero di mettere tutto quello che vuoi- rapporti personali, questioni morali…il tutto conferisce una certa ricchezza al romanzo, purché, nello stesso tempo venga mantenuta la tensione, che il lettore sia spinto a proseguire la lettura. Così ne “L’avvocato della notte” sono partito dall’idea del gruppo di ragazzi al bar, dei tipi che non concludevano niente nella loro vita. Poi arriva Teddy e gli dà la spinta per cambiare. Loro vedono la possibilità, solo che c’è di mezzo un crimine. Volevo esaminare quel momento della scelta che avrebbe cambiato la loro vita. Quando Victor viene coinvolto, deve scoprire come hanno funzionato le scelte che questi ex ragazzi hanno fatto. Era qualcosa che si poteva fare anche in un altro tipo di romanzo, ma in questa maniera ci sono più possibilità, c’è la curiosità, da parte del lettore, di scoprire che cosa sia successo.

Victor Carl deve essere più giovane di Lei, perché Lei è sposato e ha tre figli: Victor è una versione più giovane di Lei? Che cosa gli ha dato di Lei stesso?
   Ero più giovane, quando ho iniziato a scrivere i romanzi con Victor Carl. Alcuni personaggi invecchiano insieme agli scrittori, Victor no. Mi interessa quel periodo della vita quando ci si avvicina ai trent’anni, quando si cerca ancora di capire la vita, quando sei lì lì per diventare quello che sarai ma non lo sei ancora: è un periodo che contiene in sé potere e paura. Quando avevo quell’età, ero un avvocato ma non sapevo ancora che cosa sarei diventato. E quando ho iniziato a scrivere ero più vicino a Victor con gli anni, ora c’è una maggiore distanza e c’è il ricordo di quel tempo.

Da quanto dura la vita ‘letteraria’ di Victor Carl? È cambiato nel frattempo? E pensa di scrivere altri libri con questo personaggio?
   Era il 1995 quando ho iniziato a scrivere di Victor ed è cambiato molto in questi tredici anni. E’ logico, quando passa attraverso queste avventure non può restare uguale, impara molto su di sé. Quando sai che c’è qualcosa che pensavi di poter fare e invece non ce la fai ad andare avanti- dopo sei diverso. Non so se, diventando adulto, Victor sia diventato più morale: ha il suo codice d’onore ma non sa bene quale sia e ogni libro gli insegna qualcosa, capisce a poco a poco che tipo di avvocato e che tipo di uomo vuole essere. E sì, ci saranno ancora dei libri con Victor Carl. Ad un certo punto avevo smesso, perché temevo di ammuffire, di ripetere le stesse storie e le stesse cose. Ma tornerò a Victor, perché è divertente, più divertente di me: è frustrante aver creato un personaggio che ha più senso dell’ironia di quanto ne abbia io.

Forse Victor è il suo doppio, il suo Doppelgänger…
   Sì, forse è il mio doppio migliore, più buffo, più pronto nelle risposte, più coraggioso: mi fa arrabbiare che sia tutto “più” di me.

Quanto della sua esperienza come avvocato Le torna utile nei suoi romanzi?
   Moltissimo. Quando ho iniziato a fare l’avvocato, lavoravo nello studio di mio padre in un piccolo ufficio e so quello che vuol dire, lavorare nelle condizioni in cui lavora Victor Carl. So che cosa vogliono dire le pressioni economiche e di tempo. So anche, perché l’ho imparato, che tutti mentono, e se, come avvocato, non lo sai, sono guai. Mi è capitato anche di usare nei romanzi dei casi veri, ne ricordo uno in particolare, un caso pro bono di un bambino che era stato dato via dalla madre…I casi con i bambini sono sempre molto dolorosi e sofferti, perché è difficile sapere dove sia il giusto.

Non ci capita spesso di trovare Filadelfia come sfondo in romanzi di indagine poliziesca: che tipo di città è Filadelfia per quello che riguarda la criminalità?
   E’ una città fantastica per il crimine e non tanto per il numero di crimini, quanto perché i personaggi del mondo del crimine sono così possenti: i criminali di Filadelfia sono orgogliosi della loro criminalità. Molte delle mie storie vengono dalla strada: ad esempio il personaggio di Charlie il Greco è vero, aveva questa banda di ladri con base a Filadelfia…Naturalmente l’ho trasformato, gli ho dato questa madre possessiva…

Uno dei temi del libro è l’ambizione e la volontà di cambiare vita. Il personaggio Sammy Glick di Budd Schulberg viene citato come un esempio: in che cosa è diverso Sammy da Gatsby?
   Non ci avevo pensato, ma è vero che sono molto simili, la differenza è negli autori. Fitzgerald era un aristocratico che ha conosciuto la povertà. Aveva avuto questa storia d’amore con la bella ragazza del Sud, Zelda, che non lo voleva perché non era abbastanza ricco: da qui è venuto Gatsby. Schulberg era uno sceneggiatore ebreo e Sammy ha la stessa aspirazione di Gatsby, ma mentre Gatsby vuole catturare una donna, Sammy aspira al successo di Hollywood, come Schulberg stesso. Sono entrambi ritratti dell’ambizione americana, fatti da due diversi scrittori. Quello per cui lottano è lo stesso miraggio americano. In realtà poi Sammy è infelice: Schulberg aveva scritto il romanzo come una sorta di avviso e invece Sammy Glick diventò un modello dell’aspirazione al potere.

Victor Carl pensa che sia impossibile cambiare: si resta sempre quello che si è; ripeteremmo sempre le stesse scelte se fossimo messi nelle stesse circostanze. Condivide l’opinione di Victor?
   In realtà penso che neppure Victor lo pensi. E’ comodo pensarlo. Victor scherza su di sé, e questa bugia gli dà conforto. Se credi che non si cambi mai, non sei obbligato a cambiare. La verità però è che Victor vuole essere qualcuno di diverso. No, non credo che sia impossibile cambiare e non credo che lo creda Victor: è quello che fai per cambiare che fa la differenza.