WILLIAM BOYD

Stradanove incontra l'autore di "Inquietudine"

WILLIAM BOYD

William Boyd è nato ad Accra, in Ghana, nel 1952 e vive da molti anni a Londra. Nel 2004 la casa editrice Neri Pozza ha pubblicato il bellissimo romanzo “Ogni cuore umano”. Stradanove ha intervistato lo scrittore durante il Festival della Letteratura di Mantova.

Il suo romanzo precedente “Ogni cuore umano” spaziava in un arco di tempo lungo un secolo, questo copre un tempo più breve, anche se il passato si allunga nel presente. E tuttavia sembra che il suo interesse principale sia quello di rappresentare la vita degli individui su uno sfondo storico…
   E’ qualcosa che non faccio consapevolmente, ma sono molto interessato al contesto in cui viviamo- non siamo eremiti, siamo tutti toccati dalle correnti della Storia. Per me è naturale scrivere un romanzo connesso con degli avvenimenti di importanza storica. E per me è importante che il mondo di cui parlo sembri reale- di qui la cura per tutti i dettagli, la ricerca accurata per evocare gli eventi dell’epoca. Può darsi che in queste ricostruzioni ci sia qualche errore, ma i fatti sono del tutto corretti. Essere scrittore significa fare una ricerca e poi scegliere, per fare una ricostruzione accurata.

Come ha avuto inizio questo libro?
   L’inizio del romanzo risale addirittura a “Ogni cuore umano” in cui il protagonista Logan è una spia- in un certo periodo della sua vita deve spiare i duchi di Windsor e poi viene paracadutato in Svizzera…Mentre facevo ricerche per questo personaggio, ho iniziato ad interessarmi alla psicologia delle spie, rendendomi conto di quale sforzo mentale richiedesse, vivere in un mondo in cui non ci si può fidare di nessuno. E’ quello che separa una spia dal resto del mondo: non possiamo vivere senza fidarci degli altri e invece una spia può vivere solo se NON si fida degli altri. E’ uno spostamento interessante di prospettiva: diventare una spia significa diventare disumanizzato perché perdi la fiducia nei tuoi simili. E mi sono chiesto che cosa vorrebbe dire scoprire che il proprio genitore è stato una spia e che tutto quelli che pensavi di sapere su di lui è falso.
   Dapprima ho pensato ad un figlio che scopre che il padre è stato una spia, poi invece mi è sembrato molto più intrigante immaginare che una figlia scoprisse che la madre è stata una spia. E poi la storia si evolve: mi è parso fosse più interessante se avesse spiato gli Alleati e non i tedeschi. E quando ho scoperto questa operazione negli Stati Uniti negli anni ‘40 e ‘41, mi è parsa perfetta per il romanzo. Nessuno ne sapeva niente e io ho potuto- per così dire- accendere il riflettore del romanzo su di essa.

Siamo abituati a leggere storie di spionaggio che rappresentano il mondo delle spie come un luogo pericoloso ma scintillante: la realtà appare molto diversa nel suo libro, quasi come se fosse impossibile per una spia sopravvivere a questo lavoro, in una maniera o nell’altra.
   La maggior parte del lavoro di una spia è noiosa e si svolge in chiave minore, si tratta di raccogliere informazioni e, più ordinaria e meno appariscente una persona è, tanto meglio per questo lavoro. Eva è uno degli operatori, poi all’improvviso diventa pericolosa. Una spia è una persona molto solitaria che si guarda sempre alle spalle, che si domanda di continuo se il vicino di casa sia un’altra spia.

Il mondo dello spionaggio è governato dal principio che il fine giustifica i mezzi?
   Sospetto di sì, il mondo è spietato, se qualcosa è necessario per sopravvivere o per compiere un’impresa con successo, deve essere fatto. Nel caso di Romer, lui prende decisioni quasi disumane perché sa di avere una missione. Decenza, onore o moralità cessano di essere valori validi nel mondo delle spie.

Il BSC (British Security Coordination) manipolava i media, inventando notizie: sarebbe possibile una cosa del genere oggigiorno?
   Potrebbe essere fatto ma nel proprio paese. Lo straordinario del BSC è che hanno manipolato le notizie in un altro paese, quello è stato veramente unico. E’ inimmaginabile che l’Italia possa manipolare notizie in Francia, ad esempio. Per la Gran Bretagna era di vitale importanza che l’America si unisse alla guerra e non importava con che mezzi. I nostri media sono manipolati ma è una cosa più commerciale che di governo. Invece, per quello che riguarda il BSC, fu una decisione di Churchill di forzare un cambiamento dell’opinione pubblica americana, perché l’80% degli americani non voleva essere coinvolta nella guerra. Era un progetto molto ambizioso, quello di cercare di manipolare le notizie in un paese amico. Bisogna dire che la gente era più credulona, oggi siamo più scettici e ci sono tante più notizie, non solo la Voce d’America. Era una cosa che si poteva fare solo in quei tempi.

E’ esistito veramente qualcuno “dietro” ai suoi personaggi?
   Il personaggio di Romer è basato su due famosi doppi agenti sovietici, due traditori, Kim Philby e Anthony Blunt. Il primo era una super spia, capo dei Sevizi Segreti, amico di Graham Greene, uno del gruppo delle spie di Cambridge, un uomo affascinante. Blunt fu insignito del titolo di Cavaliere, era “keeper of the Queen’s pictures”, guardiano delle collezioni d’arte della regina: aveva importanti cariche ufficiali ed era un doppio agente. Philby fu scoperto nel 1963 e fuggì a Mosca, e Blunt nel 1979. Romer è un mix di entrambi: è un uomo affascinante e importante.

Dei due personaggi principali, Lucas Romer e Eva Delektorskaja, Eva è certamente quella che ammiriamo di più. La ammiriamo durante e dopo la sua attività come spia. Si può “formare” una spia? Si devono avere alcune qualità per essere scelti? Che cosa vede Romer in Eva per sceglierla come spia?
   C’è un certo atteggiamento mentale che predispone. Eva è stata reclutata perché parla le lingue, è attraente, e poi Romer è stato così intelligente da sapere che avrebbe avuto bisogno di un capro espiatorio. Romer è spietato, pronto a mandarla a morire.

Alla fine, Eva è paranoica oppure c’è veramente la possibilità che la sua vita sia in pericolo?
   Eva direbbe di sì, che la sua vita è in pericolo; sua figlia dice che è paranoica, ma Eva, dopotutto, vive con una falsa identità, non si può rilassare: forse è paranoia e forse ha ragione. L’eliminazione di un doppio agente può capitare ogni momento. E lei sa che ha fatto un errore dicendo che Ruth è sua figlia.