RONAN BENNETT

Lo scrittore irlandese di "Zugzwang - Mossa obbligata" ci parla dell’inevitabilità e della ciclicità della Storia

RONAN BENNETT

Stradanove ha incontrato l’autore di “Zugzwang”, irlandese nato a Belfast che vive a Londra con la famiglia. E che gioca a scacchi.

Un irlandese che vive in Gran Bretagna e scrive un romanzo “russo” con personaggi ebrei: qual è l’origine del suo romanzo?
   Il mio primo romanzo era ambientato in Irlanda, quelli seguenti no, ma c’è sempre qualche connessione, magari allegorica. Alcuni scrittori irlandesi scrivono solo dell’Irlanda, a me interessano altri luoghi e altri tempi. Guardare in fuori è importante tanto quanto scrivere di quello che si conosce. Così il mio secondo romanzo era ambientato in America, il terzo nel Congo belga e l’ultimo nello Yorkshire del secolo XVII. E non ho mai tutta in un colpo l’idea di quello che scriverò, le idee mi vengono in mente in un periodo lungo di tempo.
   Per quello che riguarda “Zugzwang”, una ventina di anni fa avevo letto di un famoso giocatore di scacchi, Rubinstein, su di cui ho costruito il personaggio di Rozental. Rubinstein era nato nell’800, raggiunse la vetta della sua carriera nel 1914, era un uomo psicologicamente danneggiato, timidissimo. La sua è la tragedia del genio appannato dalla sua instabilità. Mi aveva affascinato, ma avevo riposto in qualche angolo della testa la sua immagine. Poi mi ha colpito la mossa scacchistica che prende il nome di Zugzwang, con la sua possibilità di diventare metafora non solo politica ma anche della nostra vita. E tuttavia non avevo una storia. Anni fa leggevo la biografia di Lenin e vi si faceva riferimento al leader bolscevico Malinowski, a come venne fuori che era un agente segreto dell’Ochrana e, accusato di tradimento, fuggì in Francia.
   Ricordavo che a San Pietroburgo nel 1914 c’era stato un grande torneo di scacchi e che vi giocava Rubinstein: a questo punto avevo pronti tutti gli elementi del dramma nella Russia pre-rivoluzionaria che trovavo molto interessante. Decisi allora di scrivere un mystery, cosa che non avevo mai fatto, un libro di quelli che fanno girare le pagine al lettore, ma che dicesse qualcosa sul presente perché per me questo è importante: i miei libri sono ambientati nel passato ma hanno a che fare con il presente.

Qual è il nocciolo del romanzo? L’inquietudine dell’epoca, la trama contro lo zar, la condizione degli ebrei?
   In tutti i miei romanzi ci sono temi diversi ma c’è sempre una domanda di fondo che pongo al protagonista e attraverso di lui al lettore: che cosa fai tu, che sei una persona giusta, in un mondo pieno di ingiustizia? E’ la domanda posta a Spethmann: all’inizio è un grigio borghese apolitico e abitudinario, chiuso nel suo dolore per la perdita della moglie, che non guarda il mondo che gli è intorno.
   Alla fine, sul treno che lo porta attraverso la Polonia, deve riconoscere che c’è qualcosa di più grande della sua vita, delle sue preoccupazioni. Per me l’ultimo paragrafo del libro è il nocciolo del romanzo: se pensi di essere un uomo buono, come ti comporti quando sei circondato dall’ingiustizia?

Quando il musicista Kopelzon parla della Polonia, un paese infelice diviso ed oppresso, non possiamo fare a meno di pensare all’Irlanda che è stata divisa ed oppressa dalla Gran Bretagna per secoli. Voleva che il lettore cogliesse questo parallelismo?
   Certo. Anche se non c’è una connessione con l’Irlanda- è la stessa cosa che avviene nel mio romanzo in cui la vicenda si svolge nel Congo belga, che i critici hanno letto come un’allegoria per l’Irlanda. La Polonia, il Congo, l’Irlanda: è facile riconoscere le esperienze condivise della colonizzazione.

Inoltre, quando Kopelzon racconta dell’emozione che ha provato nel ritornare in Polonia, delle sue radici polacche, della sua identità culturale che è a rischio- tutto questo si riferisce in qualche maniera a Lei stesso e alle sue origini irlandesi?
   Per Kopelzon è diverso, lui riscopre la sua connessione con la Polonia, io non ho mai dimenticato le mie radici irlandesi. Però ho vissuto metà della mia vita a Londra, ho una famiglia a Londra, i miei bambini parlano con accento londinese, e devo riconoscere che la mia identità è sottilmente cambiata. Non mi sento come gli irlandesi-americani che vogliono apparire più irlandesi degli irlandesi, ma certo la mia identità è cambiata ed è qualcosa di simile a quello che prova Kopelzon riguardo al suo essere polacco. Sì, l’identità divisa di Kopelzon è un riflesso di me stesso.

Come era crescere a Belfast duranti gli anni dei “Disordini”?
    Ho un’impressione contraddittoria intorno ai miei ricordi di quegli anni a Belfast: i bambini sono speciali per ricreare la normalità ovunque. I bambini fanno giochi da bambini ovunque e in qualunque situazione. Non era una cosa insolita vedere i soldati armati che pattugliavano le strade in cui i bambini giocavano a pallone. Questa era la peculiarità: l’accettazione come normale dell’anormale, ci si abitua anche alle bombe nelle strade o nel pub- e poi si scopriva che qualcuno che si conosceva era morto. Non è che fosse normale, ma si integrava nella vita normale. Anche la prigione faceva parte di questa “normalità”: un numero altissimo di persone aveva fatto l’esperienza della prigione nel Nord Irlanda. Ogni membro del Sinn Fein che ora, con il processo di pace, è al governo, è stato in prigione. Anche così la vita andava avanti, si andava a scuola, ci si innamorava, ci si sposava… Di recente un amico giornalista a Beirut mi diceva la stessa cosa, di quanto fosse stupito di come la gente portasse avanti la propria vita come niente fosse.

Il narratore è uno psicanalista freudiano, Otto Spethmann: perché ha scelto lui per raccontare la vicenda? Era importante la sua capacità di comprendere le cose più a fondo?
   Quando ho deciso che avrei scritto un mystery- cosa che non avevo mai fatto- avevo bisogno di un personaggio che investigasse. Ho pensato ad un poliziotto, ma non mi andava. La psicanalisi e le teorie freudiane mi hanno sempre interessato: ci sono somiglianze tra un investigatore e uno psicanalista, entrambi cercano la verità. In questa maniera potevo anche indulgere nella mia ossessione per la psicanalisi. Se l’investigatore è uno psicanalista, non solo spiega il mistero del caso, ma cerca anche la verità nella mente delle persone, che cosa accade nella loro psiche.

L’ispettore di polizia è un personaggio molto ambiguo, non sappiamo mai esattamente da che parte stia…
   L’ambiguità è più interessante della certezza in un romanzo. Lycev è un doppio agente e lavora per l’Ochrana- è un’indicazione di quanto fosse complesso e misto quel mondo. Lycev è complesso e ambiguo tanto quanto è complesso e ambiguo e mancante di chiarezza il mondo che lo circonda.

La maniera in cui Lei usa il gioco degli scacchi come metafora multipla è eccellente. Sono curiosa di sapere, prima di tutto, se Lei gioca a scacchi e che cosa c’è nel gioco degli scacchi che fa sì che venga spesso usato come metafora nei film e nei romanzi.
   Sì, sono un giocatore di scacchi, mi piace il contesto della strategia, e poi mi piace come metafora della vita: penso che sia possibile apprezzare una partita di scacchi giocata da grandi maestri anche da un punto di vista estetico, al pari della musica e della pittura. Ci sono diversi modi di giocare: c’è chi attacca subito e ci sono altri che giocano mettendo alle strette l’oppositore. Come un serpente boa constrictor. Ci sono altri come Rubinstein che semplificano il gioco fino ad avere un vantaggio piccolissimo. Nel libro il vero gioco tra Kopelzon e Spethmann inizia in maniera rilassata e Spethmann lo affronta come un problema intellettuale. Poi, mentre procede, Spethmann si arrabbia con Kopelzon e la violenza delle sue emozioni viene espressa nel gioco: a questo punto deve vincere, non è più un gioco intellettuale.

In questo caso la metafora non è solo della vita ma anche della Storia: il libro è un romanzo sull’inevitabilità della Storia?
   Quello che faccio nei romanzi storici è dire che c’è una lezione nella Storia. E sì, l’inevitabilità della Storia è chiara alla fine: nel 1914 qualunque cosa il governo faccia, le masse risponderanno alle ingiustizie. Come è avvenuto in Irlanda: puoi reprimere, puoi gettare i leader in prigione, ma solo per un certo tempo. Poi la gente si ribellerà- succede in tutto il mondo. Sì, è un romanzo sull’inevitabilità e la ciclicità della Storia.

E’ andato a San Pietroburgo per fare ricerche per l’ambientazione di “Zugzwang”?
   Devo confessare che questo è il mio unico libro per cui non sono andato a fare ricerche sul posto. Il motivo è che questo libro è stato pubblicato a puntate e non c’era il tempo per andare via. Ho fatto ricerche come le può fare un giornalista, Internet rende le cose più facili, ho trovato una guida Baedeker del 1914, ho letto libri di memorie, visto fotografie…

Come ha appena detto, il libro è stato pubblicato prima a puntate sull’”Observer”, come mai questa decisione? E ha richiesto uno stile di scrittura diverso?
   E’ stato scritto a puntate perché, mentre pensavo al romanzo, la BBC trasmetteva il romanzo di Dickens “Casa desolata”. Dickens era un grande scrittore di romanzi a puntate e mi ha fatto pensare a come sarebbe stato scrivere in questo modo. Era un esperimento interessante, la tecnica era diversa, bisognava scrivere capitoli relativamente brevi, stuzzicare la curiosità del lettore. Dopo, però, per l’edizione normale, ho rivisto tutto il libro e ho cambiato molte cose.

Nella pubblicazione a puntate c’erano anche delle illustrazioni. Ha scelto lei la persona per le illustrazioni? E perché questa scelta?
   Ho chiesto ad un artista, Marc Quinn, di illustrare il romanzo: era perfetto per un romanzo pubblicato a puntate, le illustrazioni su un giornale attirano l’occhio di un lettore.

Un filone del libro è sul rapporto padre-figlia, il rapporto Anna-Zinnurov che rispecchia quello di Spethmann e Catherine: è una sorta di sotto-trama?
   Questo filone dei rapporti padre-figlia ha a che fare con mia figlia che ha 6 anni ed è caparbia e indipendente come Catherine. Prima di avere dei bambini, non avrei mai scritto di bambini nei romanzi, pensavo che non sarei riuscito a scrivere credibilmente di bambini. Mi interessava questo doppio aspetto del rapporto: la tensione che si crea tra il bisogno di protezione che ha un bambino e dall’altra parte le sue esigenze di indipendenza, i suoi desideri. E’ una tensione che volevo riprodurre nel libro. Spethmann è diviso tra il voler proteggere la figlia e lasciarla libera, rispettando il suo desiderio. E naturalmente il rapporto tra Anna e suo padre è specularmene opposto, un rapporto malato.