MARGRIET DE MOOR

Intervista all'autrice di "Mareggiata", romanzo di vite scambiate e disastri naturali

MARGRIET DE MOOR

Settimana olandese a Milano. Settimana di incontri che vanno sotto il nome di “Caffè Amsterdam” con i maggiori scrittori olandesi contemporanei- Tommy Wieringa, Cees Nooteboom, Adriaan van Dis, Arnon Grunberg, Margriet De Moor. E osserviamo che a Milano ne arrivano solo alcuni e già sono tanti, se pensiamo a quanto sia piccola l’Olanda.
   Noi abbiamo incontrato Margriet De Moor il cui romanzo, “Mareggiata”, con la storia delle due sorelle che si scambiavano il destino, durante la drammatica inondazione del 1953, ci era piaciuto molto.

E’ strano parlare dell’argomento del suo libro proprio ora che una terribile calamità naturale ha colpito l’Italia- il terremoto in Abruzzo. Sembra quasi che queste cose accadano per ricordare agli uomini che non possono controllare tutto. Come le è venuta l’idea di scrivere adesso dell’inondazione del 1953?
   Penso che sia naturale per uno scrittore prendere degli avvenimenti di mezzo secolo fa per parlarne in un romanzo- così quello che è successo rimane nella memoria e non scompare. E poi c’è sempre l’altro elemento: non si sa come, ma accade che un certo evento voglia entrare nel romanzo di uno scrittore…Dopo tutto, anche “Guerra e Pace” non fu scritto in contemporanea con la guerra. La letteratura tende a impedire che le cose scompaiano dal ricordo. E’ successa una cosa strana: avevo finito il romanzo e ne parlavo con degli amici. Si parlavo del titolo originale, “Gli annegati”, e da lì la conversazione ha deviato verso il tema dell’annegamento. Ebbene: era la vigilia dello tsunami e del dramma degli annegati in Asia. Avevo appena finito il libro da due giorni ed ora in televisione apparivano le immagini che erano ancora così vive nella mia memoria. Mi ha colpito che la letteratura e l’attualità siano a volte nella stessa area. Poi ci fu il disastro di New Orleans e quello era più vicino a quanto accade nel mio romanzo, che si intitola “Gli annegati” proprio perché è scritto dalla prospettiva di chi è morto dopo aver affrontato due giorni di terrore: è stato duro immaginare la solitudine, il buio, il fragore. Allora si era molto religiosi e posso capire che si pensasse alla fine del mondo e all’alluvione della Bibbia.

I giovani di oggi sanno dell’inondazione? Mi ha molto colpito il cinismo alla fine del romanzo- l’uomo che dice che tutto sommato è stato un bene che l’acqua avesse provocato tanta distruzione…
   I giovani di oggi sanno molto poco di quanto è successo- si è discusso del mio libro di più in Germania che in Olanda. Con il clima che cambia, penso che in futuro l’Olanda sarà tra i primi paesi ad essere sommersi: sarà cancellata con l’innalzarsi del livello del mare. Ma- come avviene ora in Italia nei luoghi del terremoto- la gente ama il luogo dove vive, è abituata al pericolo, e vuole tornare a vivere lì. Naturalmente ora in Olanda tutto è migliorato, non c’è più agricoltura ma turismo, ho dovuto fare ricerche per capire come vivesse la gente nel 1953.

Potrebbe accadere di nuovo un disastro del genere, in Olanda?
   Come ho detto prima, penso che sarà inevitabile in futuro, ma naturalmente ora il governo prende tutte le misure precauzionali e di controllo… le dighe sono rinforzate… nel 1953 l’Olanda era uno dei paesi più poveri d’Europa, la Guerra non era finita da molto, le dighe erano misera cosa. Ecco, ben diversa è la situazione di New Orleans: è inaccettabile quello che è successo nel paese più ricco del mondo.

L’inondazione è lo sfondo del romanzo; in primo piano ci sono le due vite scambiate delle due sorelle: come ha avuto l’idea, o perché ha sentito la necessità, delle due sorelle, la vita dell’una interrotta e l’altra che ne prende il posto?
   A dire il vero, avevo già iniziato il romanzo due volte, ma mi mancava qualcosa, mi mancava la tensione. La terza volta è stata la volta buona, quando ho potuto connettere altre cose con la trama. Il tema non è tanto lo scambio di vite, ma la domanda che ci si pone: può una vita breve e tragica essere altrettanto completa di una vita lunga? La risposta è sì: la vita di Lidy in 36 ore è così completa e piena di eventi quanto quella della sorella Armanda che raggiunge la vecchiaia. Una vita così breve può essere completa. Le pagine dedicate all’una e all’altra sorella sono uguali. Ero interessata a questa idea sia dal punto di vista filosofico sia da quello lavorativo: c’erano due tempi contemporaneamente, come nella musica- e io ho una formazione musicale e potevo usare lo stesso metodo nel romanzo.

Lei crede nel destino? E’ semplicemente il destino che dirige la vita e la morte delle sorelle o c’è altro? Noi abbiamo la sensazione che Armanda abbia sentimenti misti riguardo alla scomparsa della sorella...
   E’ una questione intrigante. C’era questa telefonata- era Armanda che doveva andare e invece convince la sorella ad andare al suo posto…E’ vero che Armanda si sentiva attratta dal marito della sorella, dalla vita della sorella che a ventidue anni era sposata ed aveva una bambina. Non pensava certo che sua sorella non sarebbe tornata. E poi c’è il terzo personaggio che trasforma tutto: la tempesta. Non c’è il caso, non c’è la coincidenza, c’è il destino: era destino che ogni personaggio giocasse il suo ruolo nella tragedia. Ci furono le telefonate e poi la depressione atmosferica e poi altre influenze metereologiche e tutte insieme hanno causato l’enorme tragedia e Lidy fu trasportata nella tempesta.

Che cosa prova riguardo alla fama che ha la città di Amsterdam? Voglio dire- i giovani pensano ad Amsterdam come alla capitale del sesso e della droga…
   E’ la colpa di Amsterdam…e io sono pessimista e critica nei confronti delle autorità che dagli anni ‘60 hanno ceduto la città ad un turismo miserevole. E’ una città molto bella, ma, paradossalmente, le parti più belle della città sono quelle dei quartieri a luci rosse: verrebbe da piangere, si sente un’atmosfera così stupida e povera. Ora si cerca di cambiare ma ci vorranno molti anni prima che si riescano ad avere dei risultati. Ogni volta che ritorno ad Amsterdam, avverto forte il mio amore per la città, vedo che è pur sempre Amsterdam, ma mi viene la tristezza per questa atmosfera così ordinaria. Il tutto nasce forse dal fatto che è una città tollerante, noi siamo un paese tollerante. Quando gli altri si uccidevano per le lotte di religione, in Olanda c’era il calvinismo ma anche i cattolici e gli ebrei potevano convivere in pace: è il pragmatismo degli olandesi, le guerre sarebbero dannose per il commercio, loro vedono il vantaggio della pace per l’economia. Questa tolleranza è rimasta, poi è diventata una forma di mentalità diretta all’accettazione della droga e del sesso. La conseguenza è lo squilibrio che c’è ora.