LAURENT GAUDÉ

Intervista al giovane scrittore francese di "Eldorado", affascinante romanzo in cui si racconta di sogni, illusioni ed emigrazione

LAURENT GAUDÉ

Stradanove ha incontrato il giovane scrittore francese (è nato nel  1972), già autore de “La morte di Re Tsongor” (Adelphi) e de “Gli Scorta” (Neri Pozza), entrambi romanzi pluripremiati.

Il suo primo romanzo era una storia di guerra che risuonava di tragedia, il secondo la storia di una famiglia in Puglia, questo è composto da tante storie di immigranti clandestini: sono state le immagini drammatiche dei loro sbarchi a suggerirle questo romanzo?
   Sì, certamente. Il vedere sempre più spesso nei giornali, alla televisione- sempre però per brevi istanti come è proprio del formato mediatico- questa gente disperata al largo delle coste della Sicilia, è diventato il leit motiv della vita moderna. Ma volevo saperne di più, mi interrogavo su questa gente.
   E’ il mondo di oggi che ci impone di farci queste domande. L’altro motivo è che cerco sempre per i miei romanzi dei soggetti in cui posso scrivere quello che mi piace- l’epopea, la guerra, l’emigrazione, perché si affrontano temi tragici come la partenza, il viaggio, l’avventura, la perdita di sé, l’uscire dal quotidiano. E’ questo quello che mi piace fare.

Africa e il Meridione italiano fanno da sfondo alle storie: una coincidenza che siano le due aree geografiche che servivano da sfondo, separatamente, nei due primi romanzi?
   Un po’ sì e un po’ no. Ad esempio, c’è una strizzata d’occhio complice nell’aver accennato al passato di Piracci in Puglia. Ma questo è un romanzo molto diverso e i luoghi geografici sono diversi. Ne “La morte di re Tsongor” l’Africa era un paese immaginato e fantastico e ne “Gli Scorta” la Puglia è una regione che ho cercato di descrivere attraverso un filtro personale affettivo. In “Eldorado” ci sono questi paesi ma la realtà geografica prevale. L’Africa di “Eldorado” non è una terra fantastica e l’Italia non è rappresentata con amore ma è qui perché era necessario che fosse nel romanzo, da un punto di vista logistico.

Ha inventato le vicende degli immigranti o ha parlato con qualcuno di loro?
Sono storie più o meno vere. Non ho incontrato gente con queste storie ma ho letto articoli, reportage, ho preso dei piccoli pezzi da tante storie che ho sentito. E così la traiettoria di Soleiman è possibile, le rotte dipendono dalla geopolitica internazionale. Nel momento in cui ho iniziato a pensare al libro l’approdo dei barconi era Lampedusa, poi si è spostato a due cittadine spagnole ma su territorio marocchino- adesso neppure qui è più possibile e il nuovo sbarco è nelle Canarie. La realtà del romanzo è vera ma cambia secondo l’epoca e i governi.

Questa gente sogna l’Eldorado: fino a che punto si illudono che li aspetti veramente un futuro di possibilità?
Questa è la grande questione che il libro non affronta. Non volevo raccontare la storia di questa gente dopo il loro arrivo. L’Eldorado è nella loro testa, è una forza enorme, è un sogno che permette loro di avanzare, non è una menzogna. Eldorado è il desiderio di partire e di arrivare e questo sogno è vero.

Tra i suoi personaggi quello che più fa riflettere è forse l’uomo che si offre come interprete, un uomo con una certa cultura, tanto che ci pare impossibile che non avesse alternative all’entrare illegalmente in Europa.
   Trovo che, quando si parla di emigrazione, si tende a semplificare, a fare delle caricature, si dice che gli emigranti sono poveri, che partono senza rimpianti. E invece si dovrebbe capire che ci sono individui che sarebbero potuti essere medici, ingegneri. L’emigrazione non è solo l’emigrazione della miseria. Ci sono motivazioni economiche, sociali, politiche e culturali dietro il movimento di emigrazione. Ci può essere voglia di lasciare il proprio paese, come per Soleiman, anche se si è infelici perché si lascia dietro una famiglia, degli amici. La partenza è sempre una sofferenza.

Il guardacoste italiano cambia sotto l’urto dei drammi a cui assiste di continuo. Tuttavia il suo rifiuto di nascondere l’interprete non è malvagio come può sembrare, perché non servirebbe proprio a nulla. E’ male in quanto rappresenta l’incapacità del nostro mondo ad offrire aiuto concreto al terzo mondo?
   E’ inutile salvare una sola persona e nello stesso tempo è terribile non farlo. Piracci vive questo dramma, volevo che ci fosse questo momento in cui Piracci fa l’esperienza della vergogna, dice di no automaticamente, sono 20 anni che fa questo lavoro. Poi prova rimorso, ci ripensa. Volevo un momento in cui fosse posseduto dalla vergogna. Non ci sono soluzioni, è un momento di non ritorno. Non può più fare questo mestiere perché da adesso si porrà sempre questo problema. Mi ha molto appassionato riflettere sui guardiafrontiera: sono formidabili, salvano delle vite, fanno del bene e nello stesso tempo sono là per fare i poliziotti del mare. E’ l’ambiguità del loro mestiere, sono sdoppiati.

Chiaramente non è sua intenzione offrire soluzioni al problema, ma ha un’idea di quale politica si potrebbe seguire nei confronti dell’immigrazione? Perché questa è una realtà che non cambierà e deve essere affrontata.
    Non ho idee, non sono uno specialista. Quello che però provo è un sentimento di collera verso il problema. Quando si parla dell’immigrazione in Francia, è come se il problema fosse nazionale e invece è un problema europeo. Questa gente non vuole un paese specifico, la Francia piuttosto che la Germania, vogliono essere in Europa. Anche se la Francia trovasse una soluzione per sé, non servirebbe a niente. E poi mi fa infuriare vedere come i paesi ricchi hanno la tentazione di erigere un muro per impedire gli ingressi, come se un muro fosse una soluzione. Un muro non ha mai impedito a nessuno di passare. L’Italia ha talmente tanti chilometri di frontiera che l’idea è impensabile. Ho l’impressione che ci sia spesso una maniera demagogica per affrontare il problema. La difficoltà è che non ci sono soluzioni- salvo eliminare i problemi che spingono questa gente ad emigrare.

Perché Piracci compie il viaggio degli immigranti al contrario? È come riconoscere la sua impotenza?
   Volevo mostrare che Piracci è in un momento di disperazione totale- la vera disperazione è muta e la storia di Piracci per me è come se a poco a poco lui lasciasse la sua vita, prima il lavoro, poi la città di Catania, poi la carta d’identità. E’ un lento e progressivo spogliarsi, smembrarsi. Con il viaggio al contrario Piracci vuole cercare di annullare quello che ha fatto, come se questo viaggio potesse far scomparire i 10 anni in cui è stato poliziotto.

C’è un altro personaggio che ha un nome, Soleiman, di cui seguiamo la storia più a lungo: è lui che si contrappone all’italiano Piracci?
   Sì, volevo giocare su due viaggi, da Sud a Nord e da Nord a Sud, su due personaggi diversi, un occidentale ricco e stanco e un africano povero. Volevo partire dalle differenze e, più il libro procede, più esistono queste differenze, ma ci sono anche punti in comune. Così quando Piracci rifiuta di nascondere l’interprete è simile a Soleiman quando questi ruba i soldi all’algerino. E’ la necessità del viaggio che fa rubare Soleiman ed è un momento di vergogna per entrambi. Un altro punto in comune è un incontro che restituisce ad entrambi l’umanità. Per Piracci è la donna a Catania e per Soleiman è l’incontro con Bubakar che fa il viaggio con lui. Perché Soleiman ha due problemi: uno, concreto, è di arrivare in Europa; il secondo è riuscire ad arrivare senza perdersi, senza aver vergogna di sé, senza sporcarsi. Con Bubakar comprende che bisogna passare di là restando un uomo.

Qual è il significato dei due oggetti che passano da una mano all’altra nel romanzo, la pistola che Piracci dà alla donna e la collana di pietre verdi del fratello di Soleiman che questi dà a Piracci? Mi sono domandato- avendo due personaggi che procedono in parallelo- come si potevano incontrare e alla fine mi sono detto che il modo più giusto era fare un incontro molto breve nel tempo, giusto il tempo di uno sguardo, non più lungo perché trovo che ci sono momenti così nella vita, si incontrano delle persone che si danno qualcosa senza rendersene conto. Si incontra uno sconosciuto e si scambia uno sguardo importante. A Soleiman torna la forza di riprendere il viaggio e a Piracci la convinzione che il suo viaggio non sia stato inutile.
   Quanto agli oggetti- sono due le tentazioni possibili per opporsi alla tragedia: quella della vendetta, la tentazione della durezza, e l’altra è la tentazione di condividere- il viaggio è occasione di una certa fraternità. Mi piaceva l’idea della collana che è di Jamal, il fratello di Soleiman e Soleiman la passa a Piracci. Jamal e Piracci non si incontrano ma la collana fa da tramite tra di loro.