KATIE HICKMAN

Incontro con l'autrice de “Il giardino delle favorite”

KATIE HICKMAN

Katie Hickman, inglese, abitante a Londra con la famiglia, figlia di diplomatici che ha trascorso più di venticinque anni tra Europa, Medio Oriente e America Latina, non è nuova a storie di donne, anche se “Il giardino delle favorite” è solo il suo secondo romanzo.
   Prima di questo, infatti, ha scritto delle biografie storiche, Daughters of Britannia: The lives and times of diplomatic wives e Courtesans, che sono state a lungo in vetta alle classifiche inglesi, vendendo oltre 300.000 copie. Il suo primo romanzo, The Quetzal Summer è stato finalista del prestigioso premio Sunday Times Young British Writer of the Year. Abbiamo parlato con lei di questo romanzo ambientato tra le donne del sultano di Costantinopoli, nel 1599.

Ad un certo punto nel romanzo, viene chiesto ad Elizabeth, “perché tutta questa ossessione del mondo occidentale per l’harem?”. Ebbene, perché?
   Sentivo che dovevo mettere dentro il libro questa domanda…Sono certa che alcuni turchi o comunque persone del Medio Oriente non ne possano più degli occidentali così ossessionati dal mondo dell’harem. Gli occidentali hanno sempre avuto questa ossessione- mentre facevo le ricerche per il libro, ho letto dei resoconti di diplomatici veneziani o tedeschi, e tutti scrivevano dell’harem, perché sapevano che tutti volevano sentirne parlare. Spesso erano stupidaggini, ma anche allora, se si volevano vendere i libri di viaggio, si doveva scrivere dell’harem. Probabilmente il fascino dell’harem ha a che fare con la sua natura segreta, come avviene per i bambini quando gli dicono di non aprire una porta o di non leggere un libro, e scatta subito in loro la voglia di farlo. Come il vaso di Pandora. C’è questo desiderio di vedere dietro porte proibite. E poi c’è l’aspetto sessuale- tutte queste donne sdraiate lì, che aspettano di essere scelte dal sultano. In realtà non era così, ed è quello che ho cercato di mostrare. Ho fatto molte ricerche e i testi più moderni esaminano i documenti delle finanze del palazzo e mostrano la gerarchia delle donne dentro quelle mura, secondo la quantità di soldi data alle donne. Le kira, ad esempio, avevano un ruolo da intermediarie e maneggiavano il denaro, facevano commissioni, potevano comprare gioielli o vesti. Inoltre la Valide o le donne più anziane potevano addirittura comprare la gente con i soldi, o il potere, la lealtà o il silenzio. Questa è una documentazione importante per capire la funzione delle donne nell’harem.

Ha trovato una ricca documentazione, dunque, sulla vita all’interno dell’harem?
   Sì, ma è solo di un certo genere. La parola harem significa “proibito” e molte cose possono essere haram. Molti luoghi sacri sono haram per gli occidentali. Quelli dell’harem erano spazi segreti di cui si poteva sapere molto poco e niente di personale. Sono riuscita a sapere alcune cose, ad esempio Safiye era veramente il nome della Valide, e di lei si sa che era una contadina dell’Albania e che fu la madre di Mehmet III. Nient’altro. Della maggior parte delle donne, tuttavia, non si sa neppure il nome, era improprio tenere una documentazione. I documenti sulle finanze dell’harem non riportano nomi, solo la funzione che le donne avevano. Prima di scrivere questo romanzo, avevo già scritto dei libri storici su personaggi femminili e sarebbe stato fantastico scrivere un libro del genere sull’harem: era impossibile, però, per la mancanza di documenti. Ho dovuto ripiegare sul genere del romanzo.

Che cosa è venuto per prima? l’idea di una storia che riguardasse l’harem? Oppure l’idea di una ragazza bianca prigioniera nell’harem? O la presenza dei mercanti alla corte del sultano?
   E’ strano, ma il libro è iniziato con due figure maschili, John Carew e l’astronomo Jamal al-Andalus. Quindici anni fa ho avuto l’idea per questi due personaggi, poi sono andata a Istanbul in cerca del luogo per una storia che li unisse e ho trovato la storia di Dallam, l’organaio- una storia vera-, l’uomo che andò a Costantinopoli con il dono della regina e guardò dal buco nel muro e vide tutte quelle donne. Allora mi sono chiesta- che cosa succederebbe se Carew fosse stato con Dallam e avesse guardato dal buco anche lui? E se avesse visto qualcuno che conosceva? E quel qualcuno è diventato Celia Lamprey. Per Carew e Pindar era un dilemma morale: che cosa avrebbero fatto? Avrebbero cercato di contattare Celia? L’avrebbero ricomprata? Avrebbero corso il rischio? Avrebbero messo in pericolo la missione diplomatica? Come avrebbero fatto a farle sapere che sapevano che lei era là dentro? E così è nato il romanzo.

Che cosa è vero e che cosa è finzione nel romanzo? Quali dei personaggi sono veri? È vero il regalo dell’organo?
   La faccenda del regalo è vera e la ragione per cui potevo usare delle persone vere è che nessuno di loro era molto noto. Altrimenti non mi sarei sentita a mio agio, perché con dei personaggi veramente esistiti sei limitato dalla verità. Non penso che ci si possa trastullare con personaggi veri, si deve stare molto attenti con i romanzi storici. Ma Pindar era un mercante oscuro su cui si sapevano poche cose. Avevo trovato un suo ritratto, era un gentiluomo intelligente e molto ricco. Ma la fidanzata Celia è del tutto inventata. E così mi sento libera di inventare la storia sulla sua vita personale.

Alcuni dei dettagli che descrive sono scioccanti, per esempio, l’operazione per castrare il ragazzo e il particolare post-operatorio, quando il ragazzo viene in pratica sepolto in piedi nella sabbia: perché facevano così?
   Non ricordo la fonte in cui ho letto di questo, ma quello era uno dei metodi seguiti. Probabilmente serviva per impedirgli di muoversi, non potevano bere e quello era essenziale perché niente doveva passare per l’uretra. Forse poi, anche se pare strano, la sabbia era un ambiente più sterile che altre condizioni. A volte non erano solo ragazzi, ma uomini che venivano castrati: ho letto di due fratelli serbi che subirono l’intervento. Pensavano che avrebbe favorito la loro carriera, era una maniera per avvicinarsi al sultano.

Perché ha sentito la necessità di una storia parallela nel presente? Per dare ulteriori informazioni sul passato?
   Sì, questo è un motivo. Quello principale, però, era che volevo che chiunque potesse leggere questo libro senza lasciarsi intimidire che fosse una storia di 400 anni fa, che si svolgeva in una località lontana…Elizabeth porge una mano d’aiuto al lettore che non si sente a suo agio, per entrare nel passato. Il risultato è stato diverso, o almeno non è stato solo quello: c’è tanta storia da comunicare, spiegare dei mercanti, e perché il regalo era importante… Ma non scrivo un libro di storia ed Elizabeth mi serviva per far infiltrare la storia in maniera organica.

Mentre Elizabeth si trova a Istanbul per le ricerche, può quasi udire nell’aria la presenza dei personaggi del passato. Lo scrittore di romanzi storici sprofonda talmente nel passato da essere in grado di ‘udire’ i suoi personaggi?
   Penso proprio di sì. E so che può sembrare un poco fantastico che Elizabeth si sia sentita ‘inseguita’, ma questa è la mia esperienza, e non tanto scrivendo romanzi, ma il tipo di libri di storia che ho scritto prima, le biografie storiche. Quando si fanno ricerche sulla vita delle persone, bisogna anche cercare di immaginarle ed è per questo che sono migliori le scrittrici donne a scrivere biografie storiche, perché hanno la capacità di connettersi con il loro soggetto. E’ come se si vedesse il personaggio di cui si scrive nell’angolo della visuale dell’occhio…

Che cosa provavano tutte queste donne che corteggiavano il favore del sultano? Si trattava di una lotta minore per il potere che le faceva sentire forti?
   C’era in ballo una grossa lotta per il potere. Un particolare che è nello stesso tempo affascinante e tremendo è che, anche se il sistema di successione cambiò nel periodo ottomano, al tempo di cui scrivo ci fu un figlio che riuscì a diventare sultano, ma non c’era una regola fissa su quale figlio fosse destinato a diventarlo. E così tutti i fratelli di Mehmet III furono assassinati, 19 bambini uccisi e uno era un neonato. Quindi c’era tantissimo in gioco. Non tutte le donne erano concubine, quindi la priorità era diventare una concubina, poi quella di restare incinta e poi di dare alla luce un maschio. A questo punto però la donna sapeva che, se non fosse stato suo figlio a diventare sultano, sarebbe stato ucciso. E si farebbe qualunque cosa perché sia il proprio figlio quello che sopravvive. C’era dunque tutta una scala gerarchica, le madri erano le figure più potenti, in fondo c’erano le cariye, le serve, ed era la Valide a scegliere le concubine, o le quattro donne intorno a lei- era tutto molto formale.