Intervista a Jonas Hassen Khemiri, autore de “La clausola del padre”

Altra interessante intervista fatta da Marilia Piccone all'autore svedese Jonas Hassen Khemiri, che con il suo nuovo romanzo indaga il rapporto tra padri e figli.

Intervista a Jonas  Hassen Khemiri, autore de “La clausola del padre”

Tranne l’altezza, di svedese Jonas Hassen Khemiri, figlio di padre tunisino e madre svedese, non ha proprio niente. O meglio, ha anche lo splendido inglese in cui parla, come tutti, ma proprio tutti, gli altri svedesi che ho conosciuto. È reduce dall’evento del Festival della Letteratura di Mantova in cui era protagonista ed è stanco. Lo assicuro che non sarà un’intervista impegnativa, che ci sbrigheremo in fretta.

Questo è un libro che parla di padri e di un padre e un figlio e del rapporto fra padre e figli. In un certo senso questo è un libro più ‘ricco’ di “Una tigre molto speciale” perché anche il figlio è diventato un padre. Come ha cambiato, il diventare padre, il suo modo di vedere l’essere genitori?

Ho capito molto meglio i miei genitori e nello stesso tempo sono diventati un mistero più grande per me. Da giovane pensavo che qualunque uomo abbandoni i figli- come fece mio padre - fosse un cattivo padre. Quando ho scritto questo libro, in una strana maniera ho iniziato a capire il dolore che è anche coinvolto nell’abbandono. Per me questo libro è un inno a quelli che restano. Se si fa un paragone con i miei primi libri, in quelli i personaggi avevano la possibilità di fuggire usando l’immaginazione. In questo libro volevo focalizzarmi sul coraggio che ci vuole per non fuggire, per restare.

Il figlio si lamentava dell’assenza del padre in “Una tigre molto speciale” e se ne lamenta anche adesso, in questo romanzo. Eppure il figlio è tentato di scappare, di lasciarsi tutto dietro. Che cosa lo fa ritornare?

Il rendersi conto che non può esistere senza la sua famiglia, che è legato a loro per sempre. Quando torna a casa, lui spezza la maledizione della sua famiglia. È capace di fare quello che i suoi genitori sono stati incapaci di fare. In quell’attimo è libero. Uno dei temi del libro è questo: essere una famiglia ed essere libero. I protagonisti vogliono essere liberi all’interno della famiglia.

Fa un uso molto particolare dei diversi punti di vista, passando dalla terza persona alla prima, inframmezzando il discorso diretto. È tutto molto vivace e a volte buffo. Presta anche voce ad una sorella morta e ad un bambino di un anno: che cosa voleva mostrare al lettore attraverso i loro punti di vista?

Pensavo che la sorella morta sarebbe intervenuta e che sarebbe stata molto arrabbiata per essere stata abbandonata e poi mi sono sorpreso che in realtà lei fosse l’unica che sembrava amare il padre. Era la più libera tra i personaggi del romanzo, era stata capace di perdonare. Aveva raggiunto la libertà perdonando.

È stato buffo scrivere dal punto di vista del bambino di un anno. La sua prospettiva sulla famiglia mostra che, in un certo senso, è lui il più adulto, ha iniziato a comportarsi come un adulto, ma è sempre la prospettiva di un bambino piccolo.

Lei ha scelto di prendere il congedo parentale. In Italia è molto raro che un padre faccia questa scelta, io non conosco nessuno che l’abbia fatta. Sono stata di recente a Stoccolma, avevo appena letto il suo libro e ho osservato quanti padri ci fossero, in giro, con bambini piccoli. Non padri e madri, non padri separati che erano di turno per stare con i bambini, ma padri che, evidentemente, erano in congedo parentale. C’erano motivi pratici per fare questa scelta, o era una esperienza che Lei voleva fare?

In Svezia non è niente di speciale che un padre prenda il congedo parentale. Anzi, un padre che non lo prendesse sarebbe stigmatizzato, sarebbe veramente una brutta cosa. Quello che è particolare di questa famiglia è che il figlio è terrorizzato di poter essere come suo padre. Niente è facile in questa famiglia: il padre era stato un buon padre quando i figli erano piccoli e poi era scomparso. Il congedo parentale per i padri è una maniera per cambiare il mondo del lavoro: se entrambi i genitori stanno a casa, la nascita di un bambino non significa che solo la mamma starà a casa dal lavoro, non significa che solo gli uomini possono fare carriera perché le donne vengono fermate dalla nascita di un bambino. Il congedo prevede che ci siano alcuni mesi che solo il padre può prendere e sarebbe stigmatizzante andare in giro a dire che non li hai presi. Verresti giudicato malissimo.

Qual è stata la parte più pesante nell’esperienza del congedo per paternità? E la maggiore ricompensa?

La parte più pesante? la noia e il desiderio di andarsene.

Lei appartiene a due culture. Si è mai sentito diviso fra queste due culture diverse?

No, non ho mai avuto la sensazione di essere diviso tra due culture. Dalla mia prospettiva queste due culture sono simili. Molti hanno cercato di convincermi del contrario e io, quasi per ripicca, continuo a dire che sono simili. La differenza più grande tra le mie due famiglie di appartenenza è quella economica: la famiglia di mio padre era molto povera, a differenza di quella di mia madre. Sono i soldi a fare la differenza. Piccole divergenze economiche possono insinuarsi tra le persone e creare una frizione.

Accompagnando suo padre all’aeroporto in automobile il figlio dice al padre, “Ti perdoniamo”. Da dove viene questa capacità di perdono? Dall’aver condiviso l’esperienza di essere padre?

Forse più dal dolore del rendersi conto che nessuno lascia i figli di sua propria volontà. E poi il figlio vede da vicino quanto sia doloroso per la sorella non poter stare con il figlio. Il perdono è forse una parola grossa, forse è meglio dire che si capiscono meglio. Il perdono è una specie di comprensione e alla fine il figlio è grato al padre perché gli ha insegnato che cosa non debba fare.

Leggi la recensione di Marilia Piccone sul romanzo "La clausola del padre".

Intervista e foto realizzate da Marilia Piccone

leggerealumedicandela.it

Ottobre 2019