INTERVISTA A DIANE WEI LIANG

E' da poco uscito in Italia il libro di Diane Wei Lang "La casa dello spirito dorato". Per conoscere meglio l'autrice cinese, riproponiamo una sua intervista molto interessante realizzata da Marilia Piccone nel 2007

INTERVISTA A DIANE WEI LIANG

L'intervista è apparsa sulla rivista Stilos nel giugno del 2007

E’ a Roma, Diane Wei Liang, per presentare “L’occhio di giada”, il suo primo romanzo che ha per protagonista una singolare investigatrice privata a Pechino.

Ne approfittiamo per incontrarla, perché sappiamo che, oltre a parlarci del suo libro, avrà anche molto di sé di interessante da dirci.

Diane Wei Liang non è il suo vero nome, o almeno, non interamente: perché vi ha aggiunto “Diane”?

Ho “preso” il nome Diane in America perché nessuno capiva il mio nome cinese, mi chiedevano di continuo come si scrivesse. Ho scelto Diane perché mi è sempre piaciuta la mitologia greca e Diana era la dea della caccia. Mi piaceva la parte tragica del suo nome, Diana è responsabile della morte dell’uomo innamorato di lei. Mi pareva la più interessante delle tre dee greche. Il mio nome cinese significa “Sunshine”, “Luce di sole”.

Il quarto di copertina del suo romanzo dice che Lei è nata durante la Rivoluzione Culturale e che ha studiato all’università di Pechino finché ha lasciato la Cina dopo i disordini di piazza Tienanmen. Può dirci qualcosa d’altro sulla sua vita per riempire gli spazi vuoti di questa breve nota? Che cosa è successo ai suoi genitori durante la Rivoluzione Culturale?

Mia madre insegnava letteratura cinese all’Università e viveva a Pechino. Mio padre invece lavorava e viveva a Shanghai: il governo non gli aveva dato il permesso di trasferirsi a Pechino, gli ci vollero 12 anni per avere questa autorizzazione. Sia mio padre sia mia madre furono mandati in un campo di lavoro per essere “rieducati”, infatti mio padre lavorava in un ufficio ma aveva una laurea, perciò era anche lui un intellettuale che doveva imparare a lavorare con le mani. Anche io andai con loro per tre anni in un campo nello Yunnan- un nome che significa “Al di là delle nubi”per un luogo molto povero nel Sud-Ovest della Cina. I miei genitori dovevano lavorare per costruire delle opere militari che dovevano restare segrete. Io avevo tre o quattro anni, la mia sorellina era appena nata, rimase a Shanghai con la nonna e ci raggiunse un anno dopo. Mia sorella si ammalò nel campo, ci fu un’epidemia di un virus ai polmoni, c’era un solo dottore e nessuna possibilità di andare in un ospedale- si salvò per miracolo. Dopo ci fu un cambiamento nelle direttive politiche e i miei genitori furono richiamati perché Mao si era reso conto che aveva bisogno degli intellettuali, dopo tutto. Così mio padre tornò a lavorare a Shanghai e mia madre a Pechino dove era supervisore in classi in cui si leggeva il Libro Rosso di Mao.

E perché Lei ha lasciato la Cina? Come è riuscita a venirne via?

Avevo ottenuto una borsa di studio da un’università americana per studiare psicologia prima dell’inizio del movimento studentesco. Avevo già fatto la richiesta per il passaporto, poi sono rimasta coinvolta nel movimento studentesco, uno dei capi era un mio amico. Dopo il 4 di giugno 1989 ci furono molti arresti e rastrellamenti- io ho lasciato Pechino per nascondermi in campagna per due settimane. Poi la mamma mi fece sapere che il passaporto era pronto, avevo anche il visto, ho preso il primo volo per l’America. In Cina c’era un’atmosfera di terrore: avevano istituito una linea telefonica apposta per le denunce, non c’era nessun bisogno di prove. Più di mille perone furono giustiziate nella prima settimana dopo gli eventi di piazza Tienanmen. Molti capi studenteschi che erano miei amici erano sulla lista nera e fuggirono.

Si è adattata con facilità alla vita negli Stati Uniti?

Sì, è stato sorprendente all’inizio. Era strano, prima di tutto, che potessi dire qualunque cosa, nessuno mi sorvegliava. Era facile adattarsi ad un paese libero per chi veniva dalla Cina. E i compagni di università erano molto gentili: in quel periodo subito dopo Tienanmen tutti sembravano ben disposti verso gli studenti cinesi. Non sapevo bene l’inglese ma lo sapevo abbastanza da superare gli esami che erano scritti. Sono arrivata negli Stati Uniti nel 1989 e dopo dieci anni sono andata in Inghilterra perché mio marito, che non è né americano né inglese ma tedesco- fu trasferito per lavoro a Londra.

Ritorna regolarmente in Cina? Perché la Cina del suo romanzo è quella moderna… E quanto tempo dopo gli avvenimenti di piazza Tienanmen le è stato possibile tornare?

Vado in Cina una o due volte all’anno, mia madre è morta ma mio padre e mia sorella vivono ancora lì. Mia sorella ha vissuto prima negli Stati Uniti, adesso è una donna in carriera in Cina. Tre anni dopo Tienanmen era ancora pericoloso andare in Cina, i miei amici non furono autorizzati a lasciare il paese. Non sono tornata in Cina fino al 1996: una università di Pechino mi ha invitato a tenere un Master di Gestione Aziendale. Iniziava la corsa della Cina verso il capitalismo. E allora sono tornata per qualche mese.

Molto sembra essere andato perso durante gli anni della Rivoluzione Culturale: l’occhio di giada è un simbolo di tutto quello che è andato perso?

L’occhio di giada è un indizio del mistero ma ho scritto il libro perché ero toccata da quanto la generazione dei miei genitori aveva passato in quegli anni. Mi interessavano le scelte che avevano dovuto affrontare per sopravvivere. Scelte inumane, se tradire per vivere, scelte come quella del romanzo di Styron, “La scelta di Sophie”.

Il suo personaggio principale ha perso molto personalmente, oltre a quello che ha perso con il patrimonio culturale del suo paese: ha perso la famiglia, l’innamorato. E’ la Perdita su grande scala la tragedia della Cina?

Penso che sia Perdita e Danno. Quando perdiamo la fede e l’amore e l’umanità siamo danneggiati da tutto ciò. Quello che Mei ha passato, la vicenda del padre, la sua esperienza al Ministero, fanno sì che lei non si fidi più di nessuno.

Se Perdita e Danno sono la tragedia della Cina, c’è qualcosa di positivo che è rimasto degli anni di Mao?

Mao ha ottenuto alcune cose, l’indipendenza della Cina dall’ingerenza straniera, lo sradicamento dell’analfabetismo: Mao riformò la lingua cinese perché la lingua scritta era molto complicata. Con Mao tutti impararono a leggere e scrivere.

A prezzo della cultura, però?

Che cosa pensa della veloce modernizzazione del paese?

Penso che sia meraviglioso che la Cina sia uscita dalla povertà e sia diventata in breve tempo una potenza economica. Ogni volta che torno in Cina trovo che la gente è sempre più felice. Ricordo che quando ero bambina c’era poco da mangiare: ogni famiglia aveva diritto a 2 Kg. di carne al mese. E adesso i supermercati traboccano di cibo e di altri articoli; i miei amici hanno tutti l’auto, alcuni anche due. Adesso la gente può viaggiare…

------------------------------------------------------

"Il potere ha un “potere” straordinario in Cina: se hai potere nel governo puoi anche essere molto ricco. E siccome la Cina è governata da un solo partito, quel potere è enorme."

------------------------------------------------------

Nel romanzo “L’occhio di giada” il segretario di Mei viene chiamato un “emigrato” e la sua presenza a Pechino è illegale: quando è stato permesso alla gente di spostarsi?

La madre di Mei pensa che il potere debba essere preferito a qualunque altra cosa; uno dei personaggi dice che il denaro è meglio del potere: il denaro e il potere rappresentano due mondi diversi? O vanno appaiati nella nuova società, come è nel caso di Lu, la sorella di Mei?

Il potere ha un “potere” straordinario in Cina: se hai potere nel governo puoi anche essere molto ricco. E siccome la Cina è governata da un solo partito, quel potere è enorme. Ora però il denaro sta diventando il nuovo potere. Ci sono due forme di potere, come due pilastri: il potere che è parte del governo e il potere della nuova ricchezza.

Vive all’estero e ha scritto un romanzo sulla Cina in inglese: non ha paura di perdere contatto con la sua patria?

Purtroppo ho già perso il contatto con la lingua scritta cinese perché è una lingua “visiva”, fatta di caratteri. Spero però di non perdere il contatto con la Cina, scrivo dei cinesi- a volte sento voci che mi parlano in cinese in testa. Sono i miei personaggi che parlano e non è che io li traduca- è tutto un processo simultaneo interiore.

E per quello che riguarda la lingua? Che cosa prova ad usare una lingua che non è la sua? Se la lingua è la patria di un uomo, non è forse una seconda perdita perdere la propria lingua?

E’ triste non poter scrivere in cinese ma sono già 18 anni che ho lasciato la Cina e a volte, quando scrivo in inglese, provo una sensazione di libertà. Ci sono alcune cose che è più facile dire in inglese. In cinese non si dice, ‘Ti amo’: si scrive ma non si dice. A voce suona formale e falso, in inglese è così facile. In altri casi non mi sento così libera, certamente perdo delle sottigliezze perché l’inglese non è la mia lingua madre, questo è certo.

Ci saranno altri romanzi con il personaggio di Mei Wang?

Ho già finito il secondo, verrà pubblicato l’anno prossimo, e spero di scriverne altri.