GARTH STEIN

Intervista all'autore di "L'arte di correre sotto la pioggia", bel romanzo che ha come voce narrante... un cane

GARTH STEIN

Abbiamo incontrato Garth Stein alla Fiera del Libro di Torino- ci ha colpito subito il suo sguardo, così profondamente azzurro sotto l’arco sopraccigliare accentuato. Quando, durante la conversazione, ci dice che sua madre è una tlingit, ci domandiamo se sia questo ad avergli dato ‘in eredità’ una fisionomia singolare. E iniziamo a parlare di cani, soprattutto del suo, che si chiama Comet…

Può iniziare dicendoci qualcosa sulla scelta del nome del cane che è la voce narrante del suo romanzo? E Lei ha un cane, vero? Perché solo qualcuno che possegga un cane potrebbe scrivere un libro come questo…Ci racconta anche del suo cane e dell’idea che c’è dietro il romanzo?
   Il nome Enzo è naturalmente in onore ad Enzo Ferrari, ma in origine gli avevo dato un altro nome, è una storia buffa. Lo avevo chiamato Juan Pablo Montoya, un pilota colombiano, e mi immaginavo tutti i giochi di parole che potevo fare con questo nome- JP, papa John Paul…Poi, quando mia moglie ha letto i primi capitoli, mi ha detto che il nome non le piaceva affatto, che razza di nome era per un cane? Allo stesso tempo pensavamo ad un terzo bambino e io ho detto che, in caso fosse stato un maschietto, mi sarebbe piaciuto si chiamasse Enzo. ‘Non se ne parla!’, mi ha detto mia moglie, e insomma, è finita che è stato il cane a chiamarsi Enzo. E sì, ho un cane che si chiama Comet ed è abbastanza vecchio, non gli resta molto da vivere. Usare la prospettiva di un cane mi offriva una nuova maniera di raccontare una storia che è stata raccontata altre volte in altre maniere. Enzo ha la sua opinione, la sua filosofia, interpreta tutto quello che vede e diventa quasi umano. Per esempio, nella scena con il pupazzo zebra, noi sappiamo che è solo un giocattolo di pezza, ma lui ci vede un demone. Ci sono delle cose che Enzo dice che sarebbero ridicole se fossi io a dirle. E’ interessante avere un narratore che dice la storia di un altro e che, però, partecipa nella storia. Fa sì che il lettore non sia passivo, ma che partecipi, cercando di crearsi il suo punto di vista.

Il cane Enzo dice spesso che in Mongolia si crede che i cani ritorneranno dopo la morte in un corpo umano: è vero? Significa che i cani sono l’animale il più vicino possibile all’uomo?
   Sì, è una credenza vera: ne sono venuto a conoscenza quando facevo film documentario. I nomadi sono molto affezionati ai loro cani e vogliono vederli di nuovo, quando muoiono, perciò credono che torneranno sotto altre spoglie. Per questo nel libro faccio vedere a Enzo quel documentario. Io sono cresciuto in una famiglia con diverse religioni. Mia madre è protestante, mio padre ebreo. Ho conosciuto più di una religione anche se non sono praticante. Ai nostri bambini insegniamo che tutto è connesso e tutti, uomini e animali, condividono una certa spiritualità. Enzo magari tornerà in diversi luoghi, ci sarà un poco della sua anima in una persona…non so se c’è una parola per dirlo.

Quindi la vita di un uomo è sempre meglio di quella di un cane, anche se il cane è Enzo e ha un padrone splendido come Denny?
   In realtà Enzo vuole tornare come uomo perché- e questa è la storia del libro- lui vuole essere come Denny, è un po’ una relazione di ammirazione come un bambino con il padre. C’è un momento simbolico nel libro: è quando a Denny hanno appena offerto un lavoro nella Ferrari e lui offre dei biscotti a Enzo. Enzo gli lecca le mani, gode della dolcezza delle sue mani, è come se volesse essere Denny. Non penso che tutti i cani meritino di diventare uomini, io parlo di un cane.

Anche se a un certo punto Enzo si chiede se non abbia sperperato la sua vita da cane, desiderando essere Denny- dovremmo tutti mettere energia nel fare quello che vogliamo.
E le automobili? E’ anche quella una sua passione?
   Ho corso per anni, poi ho sfasciato la macchina in un incidente nella pioggia. Ho telefonato a mia moglie dicendole, ‘ho una bella notizia, sto bene. E ho una brutta notizia, ho sfasciato l’auto’. E lei, di rimando, ‘ho una bella notizia, sei fuori dalle corse.’Così ho finito di correre. Amo le automobili ma ora ho un’auto da papà con tre bambini.

C’è qualcos’altro, al centro del libro: chi impara di più dell’arte di vivere? Denny o Enzo?
   Penso che in ogni rapporto ognuno dei due impara dall’altro cose diverse, ognuno soddisfa l’altro in maniera diversa. Sono sposato da quindici anni e, quando litighiamo, mio figlio ci chiede perché non divorziamo. La mia risposta è che non posso perché mia moglie mi aiuta a scrivere. Enzo è l’alter ego di Denny, ognuno dei due ha bisogno dell’altro.

Quale era il filone più rischioso, nel corso della scrittura? Quello della malattia di Eve che poteva suonare patetica, oppure rappresentare in luce troppo negativa i genitori di Eve o dare una voce falsa a Enzo?
   L’unico filone vero nel romanzo è proprio la storia di Eve che è capitata ad un amico, con i genitori della moglie che si intromettono. Per quello che riguarda il pericolo della voce narrante che è quella del cane- non me ne sono preoccupato fino a dopo. Quando ho detto al mio agente che cosa avevo intenzione di scrivere, questo mi ha risposto che non potevo farlo. Allora mi sono cercato un altro agente. Scrivere è un dialogo, non è un monologo, non posso farvi vedere niente che non vogliate vedere, e vi ringrazio per sospendere la vostra incredulità. Se sei coinvolto nella storia, non ti importa nulla, altrimenti trovi tutto da criticare. Sono di più i lettori che si appassionano: chi lo ama, bene, e chi non lo ama, pazienza.

Questo è il suo primo romanzo tradotto in italiano. Ha scritto un altro libro dopo “L’arte di correre sotto la pioggia”? E, se sì, che tipo di libro è?
   Questo è il mio terzo libro. Il primo è “Il corvo rubò la luna”, pubblicato anni fa in italiano da Tropea: mia madre è una tlingit dell’Alaska e il libro è scritto in una sorta di realismo magico nordico. Un ragazzo muore e la madre riscatta la sua anima. Il secondo libro è la storia di un musicista rock a Seattle che deve crescere un figlio di 14 anni che incontra solo ora, a questa età. Sto scrivendo il mio quarto libro che ha un fratello e una sorella come protagonisti. Lei è mentalmente disturbata, ha scritto un diario di sé e della famiglia e si è suicidata. Il fratello trova i quaderni dei diari e li legge annotandoli, correggendo quello che lei ha scritto…

Chi è curioso di saperne di più, di vedere il trailer con Enzo che guarda il documentario sulla Mongolia, può andare sul sito www.goenzo.com