CHIARA PALAZZOLO

Quattro chiacchiere con l'autrice dell'inquietante romanzo horror 'Strappami il cuore'

CHIARA PALAZZOLO

Abbiamo intervistato Chiara Palazzolo, autrice di “Strappami il cuore”, per parlare con lei di vampiri vecchi e nuovi, di come ha trasformato questo genere letterario che ha antecedenti famosi ma tutti o quasi di lingua inglese.

Il genere letterario delle storie di vampiri è praticamente inesistente in Italia: com’è nato il primo romanzo, “Non mi uccidere”?
   Sono sempre stata appassionata del romanzo fantastico, specificamente della narrativa horror che sembra essere il marchio di Cenerentola, ma l’horror poggia sul romanzo gotico che è il padre di tutti i generi neri. E’ una passione che ho ereditato da mio padre, un intellettuale con una sterminata biblioteca che aveva pure una nicchia dedicata al fantastico. Non avrei mai pensato di scrivere un romanzo del genere horror: quando si inizia a scrivere si tende a valorizzare la propria esperienza, e così il mio primo romanzo la “Casa della festa” aveva un’ambientazione romana con degli squarci siciliani, il secondo, “I bambini sono tornati”, era ambientato in Calabria che era una metafora di una condizione diffusa nel meridione.
   Forse quella è una fase necessaria: si precisano temi, visioni, ossessioni che poi restano sempre uguali. Sono libri pervasi dal mistero, dal notturno, dall’orrore della morte come riflesso dell’orrore della vita. Poi, circa quattro anni fa, ascoltavo dei vecchi successi di Cat Stevens, era notte, in quello stadio tra stordimento e ricettività, e mi è arrivata questa ispirazione nitida e invasiva: mi è apparsa di fronte Mirta morta per overdose che voleva raccontare la sua storia. Dietro di lei c’era il senso della mia giovinezza, non autobiografica ma in senso esistenziale: ho lasciato alle spalle la giovinezza, eppure questo mi è in qualche maniera inaccettabile. Nelle spoglie della zombie vampira che ha eternamente vent’anni ho trasfuso il rifiuto di invecchiare. So che non è una prova di maturità, ma artisticamente è stata la molla che mi ha spinto a scrivere questo libro.

“Strappami il cuore” è il seguito di “Non mi uccidere”, un romanzo vampiresco che non lascia morire i suoi personaggi: si è imposto da solo, dopo aver finito il primo? ce ne sarà un terzo?
   Il personaggio di Mirta mi si è imposto, come dicevo: è stato un invasamento e ho capito subito che la storia non si poteva comprimere in un solo libro. Quando parlo di ispirazione, non è solo l’inizio della storia, è il romanzo intero, tutta la vicenda che voglio raccontare. E’ come un baleno in cui ti si dà tutto il calco della storia. In una manciata di secondi mi si sono presentati alla mente più romanzi: non c’era la storia nei dettagli, esistevano più piani narrativi, determinate situazioni si sono poi create nel corso del libro. Ho capito che avrei potuto raccontarlo nell’arco di più libri, che avevo bisogno di uno sviluppo esteso per tante sfumature.

Come mai ha deciso di cambiare la nomenclatura dei vampiri, parlando di “sopramorti”?
   Perché i miei sopramorti non sono né vampiri né zombie. I vampiri sono esclusivamente notturni, non riconoscono più la distinzione tra giorno e notte. Verso l’anno 1000 il vescovo di Merzemburgo definì il giorno per i vivi e la notte per i morti, facendo così una distinzione tra bene e male, vivi e morti, giorno e notte. Ha fissato una regola che è stata infranta, come tutte le regole tradizionali. I miei sopramorti vivono di giorno, non hanno paura della luce, non sono neppure zombie, perché gli zombie, nell’immaginario fantastico cinematografico, sono macchine da sterminio ma non sono coscienti. Tornano dalla morte avendo perduto ogni fisionomia caratteriale e umana. Invece i sopramorti hanno una coscienza, hanno conservato i ricordi della loro vita, sono persone sospese tra la vita e la morte. Sono i morti anzitempo.

Anche i benandanti non esistevano nei romanzi classici: perché introdurli?
   Questa è un’altra contaminazione tra alto e basso, tra colto e kitsch. I benandanti sono esistiti realmente, sono figure storiche. Se ne è occupato Carlo Ginzburg in due riprese, nella “Storia notturna”, che è una storia della stregoneria, e in un testo specifico, “I benandanti”. I benandanti storici vengono alla ribalta tra il ‘500 e il ‘600, al tempo dell’Inquisizione, nella zona di Cividale del Friuli, in seguito ad alcune denuncie che li accusavano di stregoneria. L’Inquisizione li interroga e si trova davanti ad una setta che parla di un culto agrario per la fertilità dei campi. I benandanti dichiarano di combattere in sogno contro i malandanti- i veri rappresentanti del diavolo- che vogliono guastare i campi: combattono in nome di Dio e vengono rilasciati. Nel terzo volume che sto scrivendo ho trasformato questi benandanti in una setta organizzata gerarchicamente che lotta contro i sopramorti per sterminarli. E’ stato un innesto affascinante, delle figure sfiorate dalla storiografia inserite in un romanzo fantastico.

Ma la differenza sostanziale che si nota, pensando ai romanzi classici di Stoker e la contemporanea Rice, è che i suoi sopramorti non si nutrono di sangue, sembrano essere più selvaggi dei tradizionali vampiri.
   E’ vero che sono più selvaggi: il vampiro è una figura romantica, dietro la crudeltà del vampiro si nasconde la metafora sessuale. Nel mondo vittoriano il vampiro è simbolo della paura della sessualità libera. I miei sopramorti nascono da un altro contesto, sono nati dopo il 2000, sono una metafora dell’ostilità del mondo come lo percepiamo adesso. I sopramorti riflettono il clima scuro con cui si è aperto il millennio, il dopo-11 settembre. Mentre nel vampiro classico c’è al fondo una sorta di rimpianto per la vita, nei miei sopramorti questo rimpianto è sostituito da molta rabbia. Quando Mirta diventa Luna, scatta la rabbia. Luna è la dimenticanza di Mirta, è la sua negazione. Luna distrugge Mirta per potersi affermare. Attraverso una storia fantastica ho raccontato un mondo che non mi piace. Mirta che è diventata Luna può raccontare dall’ottica alterata di non morta che si muove nel mondo dei viventi, cogliendo i lati deteriori del mondo.

Che cosa è che riporta in vita i sopramorti? Perché alcuni sì e altri no? una forza vitale maggiore? Il sentire che hanno un compito da svolgere e da terminare?
   Nessuno è in grado di dire con certezza che cosa ha determinato il loro ritorno- sono tutti giovani, hanno un’energia vitale molto alta e la passione che li consumò in vita non si è esaurita. Una passione che ha un ruolo ambivalente, perché la passione è anche distruzione e rovina, significa anche accecamento: Mirta è accecata da Robin, lo vede come non è.

Che cosa è l’amore per i sopramorti? Hanno acquistato una maggiore libertà d’amare in questo inframondo? È casuale che le due coppie siano omosessuali? Anche in Stoker c’era l’attrazione tra le due ragazze- come qui tra Sara e Mirta- e nella Rice c’era la coppia Louis/ Lestat- qui il medico Gabriel e il musicista Max.
   Un mondo sganciato dal problema riproduttivo non ha bisogno di una pseudo categoria morale che imponga la norma eterosessuale. In tutti gli autori che si sono occupati di vampiri, di ritornanti, di stirpi che non si riproducono sessualmente, l’amore torna a circolare liberamente. Molti grandi amori dell’antichità furono omosessuali. Per spiegare l’amore assoluto è migliore la metafora dell’amore omosessuale perché evita l’aspetto della convenienza: più è gratuito e più è nitido, più pregnante. L’amore tra Achille e Patroclo, ad esempio, è l’amore assoluto che non chiede nulla.

Qual è il ruolo di Gottfried, con un nome che significa “la pace di Dio”, e un passato di cavaliere medievale?
   Gottfried sarà uno dei protagonisti principali del terzo romanzo. E sì, il nome, pax Dei, è voluto. E’ un personaggio costruito su una serie di letture, tra cui i saggi di Franco Cardini, è il passaggio dall’anticavaliere al cavaliere. Nasce come un cavaliere germanico nell’Alta Sassonia all’inizio del secolo X, ed era solo un predatore, un cavaliere semibarbaro. Dopo il suo “ritorno” si è trasformato nell’ideale del cavaliere: rappresenta l’autorità morale dei sopramorti.

I genitori di Mirta vengono abbandonati, non se ne parla più dopo il primo capitolo: ritorneranno in un altro libro?
   Si tornerà a parlare del padre di Mirta, con esiti tragici. Sono solo tratteggiati perché appartengono alla sezione del dolore, ad un’altra storia che vediamo lumeggiata nei punti che interseca la storia di Luna. Ma è una storia intuibile, di chi perde l’affetto più caro, di chi si è allontanato sulla strada del lutto, nella possibile o impossibile rielaborazione del lutto.

Ci colpisce la scelta espressiva del linguaggio nel suo romanzo, frasi molto spesso tronche, lasciate in sospeso, ritmo veloce: riflette la fretta di vivere e poi le vite interrotte? Sembra uno stile quasi ansimante, alla ricerca di una pausa per prendere fiato, per vivere.
   E’ il linguaggio del trauma. Nei prologhi scorre in modo classico, mentre il linguaggio di Mirta è una paratassi non assoluta, ci sono parti organizzate sintatticamente ma sono tronche. E’ il linguaggio del trauma perché Mirta è una sopravvissuta alla morte, si trova ad affrontare qualcosa di più grande che la schiaccia, e allora il linguaggio è spezzato, tronco. Mirta è morta e la morte è la rottura dell’armonia. Così il linguaggio della morte si esprime pure nel linguaggio spezzato della musica elettronica creata da Max, il musicista. La musica elettronica è la metafora della rottura dell’armonia del mondo, è la musica non dei vivi, ma dei morti.

Gia pubblicata su Stilos, la rivista quindicinale di libri