ALISSA YORK (SPECIALE TORINO)

Incontro torinese con l'autrice canadese della "Quarta moglie"

ALISSA YORK (SPECIALE TORINO)

Alissa York, che vive a Toronto con il marito, era tra gli scrittori invitati alla Fiera del Libro di Torino ed è stato un vero piacere parlare con lei, farle delle domande sul suo singolare romanzo “La quarta moglie”, sapere che cosa l’ha portata a scrivere di una strage lontana nel tempo e a mettere così tanti animali, vivi o morti, nella storia del suo romanzo.

Dal Canada allo Utah, dal secolo XXI al 1867: come mai?
   E’ tutto un po’ strano: avevo letto un articolo in Canada che parlava del fondamentalismo dei Mormoni di oggi e ne sono rimasta affascinata. Ho iniziato a leggere sulla poligamia, sulla storia della chiesa mormone, sul massacro di Mountain Meadows e la maggior parte delle fonti diceva che erano sopravvissuti 17 bambini, una però dava il numero di 18 bambini. A un certo punto è venuto così in vita il personaggio di Dorrie, un sopravvissuto immaginario. E a un certo punto seppi che dovevo scrivere questo libro: c’era il personaggio e c’era la sua storia..

Quanto si sa, negli Stati Uniti, sul massacro di Mountain Meadows?
   E’ conosciuto tra i Mormoni naturalmente, perché è il loro scheletro nell’armadio, è conosciuto nell’Ovest del paese, ma quasi tutte le persone con cui ne ho parlato non ne sapevano assolutamente nulla. E’ solo in questi ultimi tempi che si è iniziato a scriverne. Vent’anni dopo i fatti un mormone fu giustiziato per quella strage: uno solo ed erano una cinquantina quelli che avevano assalito la carovana!

Parlare della poligamia dei Mormoni in un’epoca in cui si parla della poligamia dei musulmani: c’è un legame? Era sua intenzione marginale portare l’attenzione a questa analogia?
   In realtà c’è sempre della politica in quello che scrivo, non è deliberata, ma c’è. E penso che finiamo per creare sempre le stesse storie anche se diciamo che sono diverse. Quando la chiesa mormone divenne potente, ci fu contro di loro una forte opposizione, a causa della poligamia. La loro risposta era però che, in fin dei conti, le loro donne erano le loro mogli, mentre i loro oppositori che cosa facevano? Andavano con prostitute o praticavano l’amore libero…

Come sono i Mormoni oggi? Che vita fanno? È ancora simile a quella che descrive nel romanzo? Sono ancora concentrati nello Utah?
   I Mormoni sono ancora nello Utah e c’è una chiesa ufficiale, conservatrice, che si basa sui valori della famiglia e poi ci sono le sette fondamentaliste. La chiesa ufficiale nega la connessione con le sette fondamentaliste che praticano la poligamia. La chiesa stabilita vuole essere considerata l’unica ufficiale e non ama leggere gli articoli sui giornali riguardo ai ‘cugini’ poligami. La rinuncia ufficiale alla poligamia risale al 1890, eppure quando i Mormoni, cha abitavano in un Territorio, chiesero di entrare nell’Unione, la loro richiesta non venne accolta. In realtà la rinuncia alla poligamia era una rinuncia alla pratica, non alla dottrina. Perché la dottrina viene considerata come una rivelazione da parte di Joseph Smith che fondò la chiesa. Smith diceva di avere la rivelazione direttamente da Dio. La dottrina sulla poligamia è la chiamata al matrimonio celeste, è una delle rivelazioni più importanti, è difficile rinunciarci. Il risultato è che c’è un ritorno fondamentalista a questo insegnamento. I Mormoni sono una comunità molto ricca, con molti uomini di successo negli affari, è la chiesa più grande nel mondo occidentale con molti missionari: la loro Chiesa è una macchina organizzata.

Uno dei filoni del romanzo è la tassidermia di Dorrie: Lei la fa sembrare un’arte e forse lo è. Risponde ad un desiderio di dare la vita eterna?
   Credo che Dorrie sia impegnata in un tentativo di risurrezione. E’ una cosa molto triste: la tassidermia è qualcosa di meraviglioso e triste. Per farlo, devi uccidere gli animali. Ma credo che Dorrie lo faccia per creare la vita eterna e poi anche come un balsamo per le sofferenze che ha provato.

L’occuparsi di animali morti da parte di Dorrie è in opposizione alla coltivazione dei bachi da seta da parte di Ruth e l’intesa e la cura di Bendy per i cavalli: quale era il suo messaggio dietro questa serie di immagini di animali?
   Tutto quello che ho scritto contiene degli animali, animali morti per lo più. Fa parte della mia infanzia, in luoghi immersi nella natura selvaggia: ho passato l’infanzia nel nord del Canada, mio padre insegnava Educazione all’Aperto, il che significava che portava i ragazzi in campeggio e insegnava loro sulla flora e la fauna. Ho dei ricordi molto vividi: di mio padre che trova un gatto e dei gattini mummificati, ad esempio, e ci spiega tutto quanto. Mio fratello è una Guardia Forestale, lavora con i grandi animali, con gli orsi…Lui si occupa della vita vera con gli animali, io l’immagino.

Bendy e il pellerossa sono due interessanti personaggi minori e le storie delle loro vite potrebbero essere romanzi di per sé: qual è il loro ruolo, oltre ad essere strumenti della trama?
   Sapevo che Dorrie avrebbe avuto un interesse amoroso e l’uomo in questione sarebbe dovuto essere un uomo diverso. Ha a che fare con la storia del West: è un luogo duro e ci sono uomini duri, ma a me interessavano uomini gentili, e Bendy è il figlio gentile di un uomo duro, è il simbolo della capacità di rigenerazione e di speranza. Quanto al pellerossa, volevo che la storia emergesse in vari modi e che Dorrie fosse riunita con la madre alla fine- era qualcosa di necessario perché lei tornasse ad essere ‘intera’. E questo era possibile solo con le lettere della madre adottiva che le spiegavano il passato e con i disegni di sua madre conservati dal Battitore e con i suoi sogni. Il Battitore è un recipiente di memoria. Volevo esplorare la solita storia dell’Ovest in cui i Pellerossa sono asserviti e guardarla da un punto di vista diverso. Il Battitore è un morto vivente, perché lui sa che ha fatto male a usare il suo talento per la caccia in quella maniera ed è per quello che alla fine libera gli spiriti degli animali. Sia in Canada sia negli Stati Uniti sono molti i suicidi tra gli indigeni: queste storie non scompaiono finché non saremo noi a cambiare. Eppure la maggior parte di noi pensa che non sia qualcosa che ci riguardi, che ci tocchi.

Quali possibilità narrative le dava il corvo, per farne un personaggio parlante?
   Pensavo a come dire la storia del massacro in modo non troppo duro da sopportare, per me e per il lettore. A volte si sente parlare di persone che hanno l’esperienza di sollevarsi al di sopra della scena traumatica e di guardare tutto dall’alto. Ho scelto il corvo, l’uccello che vede tutto, lo spirito animale per Dorrie che poteva continuare a vivere con quel ricordo. E, essendo così interessata agli animali, mi attraeva scrivere dal punto di vista di un animale.