CATERINA ZANFI

È possibile fare della filosofia una professione? Caterina Zanfi, ventottenne modenese, c'è riuscita

CATERINA ZANFI

Atipici per scelta o perché non c’erano alternative? Precari a tempo indeterminato o determinati a non essere per sempre nel precariato?
Da anni il percorso lavorativo per i giovani (e meno giovani ) è diventato sempre più tortuoso, con un fiorire di contratti di somministrazione, a chiamata, COCOCO, COCOPRO, stagionali, ecc ecc. L’unica cosa “indeterminata” è purtroppo la certezza di trovare un’occupazione stabile.
   Eppure… eppure c’è – e sono tanti - chi si rimbocca le maniche e si dà da fare per riuscire, anche nell’atipicità, a emergere. E costruire un futuro.    Da questa settimana Stradanove inaugura una nuova rubrica dedicata a giovani atipici modenesi. Ragazzi in gamba. Eccellenze di cui è giusto parlare. E da cui prendere esempio.
La redazione


Caterina Zanfi, ventottenne, è una giovane modenese che lavora nel campo della filosofia. Diplomatasi al Liceo Classico Muratori, ha conseguito una laurea in Filosofia presso l'Università degli Studi di Bologna, proseguendo l'attività accademica con un dottorato di ricerca che l'ha portata più volte all'estero, tra Francia e Germania. Autrice del saggio di filosofia vincitore del Premio filosofico Castiglioncello 2011 nella sezione giovani autori, Caterina ci ha raccontato la storia della sua passione evolutasi in professione.

Quando nasce il tuo interesse per la filosofia?    In parte alle scuole superiori, ma a quei tempi non avevo ancora le idee molto chiare. Mi interessavano tantissime cose e ho scelto la filosofia perché era la disciplina che mi permetteva di non specializzarmi e di avere uno sguardo ampio sulle cose.

Ti occupi anche di ricerca?    Sì, sto lavorando soprattutto sul modo in cui la cultura ha interagito con la natura nell’evoluzione dell’uomo, e su come i filosofi hanno interpretato questo fenomeno all’inizio del Novecento. Trattare questo tema dal punto di vista della storia della filosofia è un modo per interrogarsi su come oggi si stiano spostando i confini tra artificiale e naturale nella nostra esperienza quotidiana. È molto coinvolgente. E poi questa attività mi permette di conservare un buon margine di libertà: riesco a gestire con una discreta autonomia sia le tematica di ricerca che i tempi e i luoghi di lavoro. Ad esempio mi è capitato spesso lavorare lontano dalla mia Università, anche in un orizzonte internazionale.

In quali Paesi esteri hai lavorato?    Dopo l'Erasmus a Parigi nel 2003 ed uno stage a Roma alla Commissione Nazionale Italiana per l'Unesco, nel settore del Patrimonio Culturale, sono tornata a Parigi nel 2009 per un soggiorno di ricerca di sei mesi presso il Centre International d’Étude de la Philosophie Française Contemporaine all'École Normale Supérieure. In Francia esistono strutture importanti, centri di ricerca all'avanguardia, biblioteche e archivi gestiti molto bene. Nello stesso anno, a Berlino, ho trascorso i restanti sei mesi lavorando con l'équipe scientifica del Centre Marc Bloch, un istituto di ricerca franco-tedesco per le scienze sociali. Si tratta di un grande laboratorio interdisciplinare in cui lavorano studiosi di varie nazionalità che si occupano di sociologia, filosofia, arte, storia, politica, economia... Un ambiente davvero stimolante.

La città estera che più ti ha gratificata?    Ho trascorso circa due anni in Francia, e sono molto legata alla città di Parigi. Lì ho preparato la tesi di laurea specialistica, prendendo contatti con professori che mi hanno seguita per il dottorato. Anche a Berlino però mi sono trovata benissimo: una volta superata la barriera linguistica la Germania è un paese molto accogliente, Berlino in particolare oggi ha un’energia e un’apertura che non ho trovato in nessun’altra città europea.

Hai notato differenze con l'Italia, nell'approccio alla Filosofia?    All'estero è più forte la dimensione del lavoro di equipe: in Italia i ricercatori lavorano molto di più da soli. Essendo poche le persone che si occupano delle mie stesse tematiche, e scarsi i fondi a disposizione, le occasioni di confronto diminuiscono. In Francia e Germania, invece, ci sono più possibilità di partecipare a workshop con colleghi anche di altre discipline. Inoltre mi è sembrato che all’estero ci sia una considerazione maggiore del lavoro del filosofo, forse anche perché i filosofi stessi partecipano di più alla vita pubblica e si dedicano di più alla divulgazione, considerandola una parte importante della loro missione scientifica. Ad esempio sia in Francia che in Germania ci sono trasmissioni filosofiche per radio e in televisione, al contrario che da noi.

Hai mai partecipato ad uno di questi programmi?    Mi è capitato in Francia, dove sono stata ospite di una trasmissione televisiva filosofica in cui si discuteva sul tema della tecnica. Paradossalmente è più difficile parlare di filosofia in tv che ad un convegno di specialisti: riportare un discorso astratto in termini colloquiali e facilmente comprensibili non è affatto semplice.

Oltre alla ricerca, insegni?    Sì, da gennaio collaboro con un College americano a Bologna. È un ambiente molto diverso dall’Università italiana, tutti i docenti sono giovanissimi. Mi ha colpito che il direttore abbia considerato positivo il fatto che fosse la mia prima esperienza didattica, perché ha visto in questo una grande disponibilità ad imparare e a sperimentare.

A cosa aspiri?    Concluso il dottorato, il mio sogno è di poter continuare a fare ricerca qui, in Italia, magari a Bologna. Tutto quello che ho fatto, anche in Francia e Germania, l’ho potuto realizzare grazie all'Università italiana, e le devo molto: vorrei riportare qui quello che ho imparato.

La tua opinione sul modenese Festival della Filosofia.    Nel suo genere è l’iniziativa più importante d’Europa, e guarda caso in molte città stanno cercando di imitarla. Mi sembra un ottimo esempio di come si possa rendere accessibile al pubblico anche un dibattito filosofico di livello molto alto.