INCUBI, MICHELE PENCO

Storie che ricreano mondi difficili anche solo da concepire, atmosfere striscianti e creature senza tempo

INCUBI, MICHELE PENCO

Mi è capitato, anni fa, di interrompere dopo poche pagine la lettura di un libro di Dostoevskij. Non era la prima volta che succedeva, anche con Bradbury c’erano stati problemi simili.


   Erano pessimi libri? No (fidatevi, è impossibile mettere vicino a quei due nomi aggettivi negativi), assolutamente no. Il motivo semmai era opposto: l’improbabile coppia di scrittori russo-americana scriveva troppo bene. Anzi, no, di più: regalava pagine perfette. E allora, davanti alla perfezione, è consigliabile, se non farsi da parte, almeno centellinarne la fruizione. Per rispetto e per non veder crollare la propria autostima.


   Ecco, certe tavole di “Incubi”, opera prima di Michele Penco, possono produrre effetti simili: si sfogliano le pagine, ci si sofferma in silenzio sui ricami dell'autore e si chiude il fumetto. 


   Un’esagerazione? Guardatevi questa pagina, leggetevi l’introduzione al volume di Gipi (“… La prima volta che vidi un suo disegno dal vero - era la prima volta che ci provava ed erano delle colline lucchesi - pensai di ammazzarlo. Lo pensai davvero: assassinarlo e fare una buca con una pala e metterlo nella buca. Chi lo avrebbe trovato? Lo pensai davvero. L’invidia, per un disegnatore, è una bestia terribile...”) e capirete di cosa sto parlando.


   Penco è talento puro, grazia e poesia color china. E coraggio. Perchè la scelta di raccontare per immagini gli orrori di Lovecraft, di inciderne sulla carta le atmosfere e inquietudini, richiede consapevolezza dei propri mezzi, un pizzico di incoscienza e tanto coraggio. 


   L'autore toscano propone quattro storie, due ispirate all’immaginario dello scrittore americano, e due, altrettanto spaventose, in cui trovano spazio alcune idee-paure dello stesso autore.


   I protagonisti di queste escursioni nel terrore sono pittori contagiati dalla follia creativa della loro arte (“L’autoritratto”), viaggiatori sperduti in paesini sul mare abitati da ombre e sussurri (“La città sull’Oceano”), artisti fenomenali la cui fantasia è sorprendentemente legata a una realtà che deve rimanere segreta (“Il modello”) e uomini svaniti nel nulla dopo peregrinazioni (reali?) in luoghi sulla linea di confine tra il sogno e l’incubo, la ragione e la follia.


   Storie che ricreano mondi difficili anche solo da concepire, atmosfere striscianti e creature senza tempo.


   Un esordio notevole che colpisce nel segno: se già all’inizio della seconda storia, dopo poco più di una decina di tavole, chi sta scrivendo questa recensione ha preferito accendere un’altra luce in casa, oltre a quella dell’abatjour, questo significa che gli “Incubi” di Penco hanno senza dubbio fatto il loro dovere.

Michele Penco, Incubi, Double Shot, pagg. 80 euro 8