CARO BABBO NATALE…¸ LUANA VERGARI E CLAUDIO CALIA

North Pole, il paese dove è sempre Natale

CARO BABBO NATALE…¸ LUANA VERGARI E CLAUDIO CALIA

“Natale tutto l’anno”. Uno slogan da panettone che può nascondere risvolti tutt’altro che limpidi. Perché se la magia (o la tollerabilità) di giornate sature di palline colorate sugli alberi e musichette allegre (?) ripetute sino allo sfinimento, nasce dalla brevità del tutto, dal sapere che i primi di gennaio il gioco finirà, immaginare un’esistenza in cui ogni ora è Natale, in cui a scuola, invece dei grembiulini, si indossano le orecchie da elfo, non può evocare pensieri felici.


    Spesso l’orrore nasce dal sorriso sforzato di chi non ha voglia di sorridere (non a caso i clown possono essere figure spaventose), da un modello di felicità fasullo e imposto, da consuetudini talmente assurde da trasformare la follia in un’opzione accettabile.


   Nell’aprile 2006 a North Pole, in Alaska, sei ragazzi vengono arrestati con l’accusa di aver progettato una strage nella scuola che frequentavano. Un fatto di cronaca purtroppo non nuovo, con però una particolarità inquietante: a North Pole è sempre Natale. Nel senso letterale del termine. Una città votata (per marketing) a vivere 365 giorni all’anno il 25 dicembre, dove i padri di famiglia, invece delle tute da meccanico o della divisa da cameriere, indossano il costume di Santa Claus, dove i bambini sono costretti a rispondere in classe alle letterine per Babbo Natale arrivate dai coetanei di tutto il mondo.


   Questo mondo gelato e impossibile, in cui anche il ciclo notte-giorno detta tempi inusuali (il giorno più lungo, il 21 giugno, ha 21 ore e 49 minuti di sole, quello più corto, il 21 dicembre, soltanto 3 ore e 42 minuti), viene raccontato da Luana Vergari e Claudio Calia in “Caro Babbo Natale”, piccolo gioiello a fumetti che, per le tematiche, atmosfere, silenzi e inquietudini, rievoca il drammatico “Elephant” di Gus Van Sant. 


   Gli autori scelgono di non esprimere – almeno esplicitamente – giudizi, di non cercare spiegazioni sociologiche o psicanalitiche al perché ragazzini di 11 o 12 anni pianificarono un piano per massacrare i compagni di classe: più che le persone, viene indagato il luogo, un paese che è una pubblicità vivente (leggere tra le righe dei danni di una certa mercificazione non pare forzato), in cui tutti sono vittime, anche i bambini carnefici.


   Il lavoro attento sul disegno e sui dialoghi, ridotti all’essenziale, quasi congelati per meglio spiegare il cuore  freddo di North Pole, rende ancor più ineluttabile la follia che esploderà.


   Sembra succedere poco in “Caro Babbo Natale”, ma ogni parola e ogni inquadratura sono utili e necessarie per raccontare questa vicenda ai confini del reale, e vedere i possibili bersagli “immaginati” come pupazzetti di Lego trasforma tutto il “gioco” in un orrore ancora più grande.

Luana Vergari e Claudio Calia, Caro Babbo Natale..., Black Velvet, pagg. 96, euro 10